giovedì 26 aprile 2012

Tameshigiri e il cerchio degli elementi


Senza toccare con mano l’acqua e il fuoco, non si può dire di conoscerli davvero
(Takuan Soho)

Senza toccare con mano l’acqua e il fuoco, non si può dire di conoscerli davvero
(Takuan Soho)


I piedi ben piantati a terra. Sono dentro la forza di gravità. La terra è sia attrito per ogni minimo spostamento che base di slancio per ogni traslocazione.  Essa è il femminile, la madre che ci ha nutriti, nutriti di forza e di valori, su cui poggiamo per ergerci, maschili, nell’esplorazione attorno a noi. Ed ogni volta che “spicchiamo il volo” a lei, sempre a lei, dobbiamo tornare. Nel contempo, in un cerchio che, come tale,  non ha né inizio né fine, in una visione che fa giustizia di ogni tentativo di schematizzare, di rinchiudere in uno steccato, colgo la sensazione del mio peso che mi porta verso terra, centripeto, dunque energia yang, quanto del suo essere pesante, dunque energia yin.
Le mani le avvolgo attorno allo tsuka di “Lama danzante”. La linea forte ed equilibrata dell’acciaio pare fronteggiare l’aria, il vuoto che sta tutt’attorno.
Guardo la stuoia, fallica e ferma, che ho di fronte.

Mi affido alla sensazione dell’acqua, come elemento fluido, che tanto sa adattarsi alle circostanze quanto sa travolgere e rovesciare ogni ostacolo. Nel palato, sulla lingua, formo la lettera “L”, un suono che richiama il liquido salivale.
L’acqua permette il movimento” (1). Il richiamo dell’acqua esige un dono totale, un dono intimo. Così “… presteremo grande attenzione alla combinazione dell’acqua e della terra, combinazione che trova nell’impasto il suo pretesto realista” (G. Bachelard “Psicanalisi dell’acqua”)
Sarà per questo che il mio corpo inizia a vibrare, le mani scivolano sullo tsuka accettando di non possedere, di non padroneggiare più il katana, tanto da socchiudersi e, addirittura, aprirsi completamente, mano destra con le dita rilasciate e volte al soffitto.
Come a dire, in un processo omologico corpo - mano, che anche il mio corpo è aperto, centro / diaframma, le cui dita (i prolungamenti, ovvero gambe e braccia) sono pronte all’azione quanto prive di alcuna intenzione, di alcun progetto, piuttosto aperte al succedersi delle cose in un qui ed ora del tutto inverosimilmente immobile, sospeso nel tempo.

Libero il fuoco che covo dentro. Energia selvaggia che svetta, incalzante e mai doma, verso l’alto. Quasi a congiungersi, in un atto violento, con l’aria sopra di me. La forza del fuoco è, insieme, la sua condanna: per bruciare, ha bisogno di consumare ciò che gli da energia. Per vivere,  moriamo giorno dopo giorno.
Sento il tronco, che ospita cuore e polmoni, funzioni respiratorie e regolazione della circolazione, vale a dire il luogo che partecipa integralmente di tutte le emozioni. E noi prendiamo coscienza delle emozioni grazie al corpo, perché è attraverso le sensazioni del corpo che le registriamo e le rievochiamo. Uno scambio incessante in cui convivono una semiotica (2) del corpo rivolta verso l’esterno, ed una rivolta verso l’interno che struttura l’Immagine di Sé.
Che immagine ho di me adesso ? (3 Feld) C’entra qualcosa con l’imago junghiana ? (4)
“Lama Danzante”, ed io con lei, scendiamo in picchiata, rapidi come un predatore affamato, a divorare in un solo morso la preda.
Lo “ha”, il filo tagliente, deve necessariamente impattare preciso, chirurgico se voglio tagliare di netto. Altrimenti il bersaglio si staccherà scagliandosi lontano, invece di cadere al suolo immediatamente sotto il makiwara, come accade ad un esile stelo reciso; oppure esso si mostrerà slabbrato, deformato come i denti nella bocca di una vecchia donna o in una impressionante figura di Enrico Baj a testimoniare che la lama ha colpito e frantumato, ma non tagliato; o, peggio, la lama scemerà la sua potenza arrestandosi impigliata, preda inerme, tra le trame fameliche della stuoia.

L’acciaio ha fatto il suo corso. Il metallo, l’elemento tigre, ha tranciato di netto, in maniera irreversibile, la stuoia; Il metallo, l’elemento dell’assertività, del taglio netto, dello spirito di sopravvivenza.
L’eco del mio urlo si è perso nel Dojo. Le vocali genitali, pulsionali, U ed O, hanno urlato la loro violenza.
Stringo tra le mani la pelle che avvolge lo tsuka, ne sento la consistenza, l’appoggio sicuro dei menuki.
Guardo il trancio di stuoia, inerte, morto, al suolo. Ho ucciso ed una parte di me ne è stata uccisa.

by sadjuk
Respiro a pieni polmoni, prendo aria e do aria. L’aria è ovunque, permea ogni cosa, la penetra.  L’aria è libertà: ogni cosa che cerchi di attaccarsi ad essa vede vanificato il suo tentativo. L’aria è calma, immobile, l’aria è vento e tempesta.
Chi sono io adesso ?

Paolo, mio compagno in questa cerimonia di Tameshigiri, alle mie spalle, respira piano, senza far rumore.
Il rumore lo faccio io, lasciando “Lama Danzante” a riposare sulla vecchia cassapanca di legno: una storia secolare alle spalle, Monica che l’ha portata a Milano dalla natia Bassano, le abili mani di Angelica che le hanno ridato vita e, con essa, figure di cavalli, angeli, dei e demoni.
Raccolgo il trancio di stuoia.
L’ odore acre dell’incenso mi riempie il naso. La luce sghemba del sole attraversa il Dojo.
Ed io, anche per oggi, sono vivo.

Noi non facciamo quello che vogliamo, ma comunque siamo responsabili di ciò che siamo
(J.P. Sartre)

(1)   “A ritmo di cuore: la Danza Terapeutica” di E. Cerruto.
(2)   Semiotica, dal greco sēmeîon, significa "segno" ed è un settore di studi che si occupa di tutto ciò che l'uomo usa per comunicare.
(3)   Impossibile agire efficacemente se l’immagine che abbiamo di noi, la nostra consapevolezza corporea, è distante da quel che davvero siamo: forme e proporzioni. Su questo, parole interessanti le scrive M. Feldenkrais nell’introduzione al suo “Judo per cinture nere”.
(4)    Termine junghiano che designa il prototipo inconscio, elaborato a partire dalle prime relazioni intersoggettive reali o fantasmatiche, con cui il soggetto percepisce gli altri. L'imago, quindi, non è l'immagine, ma uno schema inconscio con cui il soggetto considera l'altro. Non è neppure una rappresentazione del reale, sia pure più o meno deformato, perchè, come dice Jung, l'imago di un padre terribile può benissimo formarsi anche in presenza di un padre buono. L'imago è connessa al complesso con la differenza che, mentre questo si riferisce all'effetto che la situazione interpersonale ha determinato nel soggetto, l'imago designa la sopravvivenza fantasmatica dei membri della situazione relazionale.
       (www.psicologi-italiani.it)





giovedì 5 aprile 2012

Sovvertire l'ordine

La lezione più importante che l’uomo possa imparare in vita non è che nel mondo esiste la paura, ma che dipende da noi trarne profitto e che ci è consentito tramutarla in coraggio
(R. Tagore)

Ma come ?

Attingere dai gesti istintivi di paura / difesa trasformandoli in gesti di attacco, laddove il predato non reagisce, con ciò restando down rispetto all’aggressore, ma agisce così posizionandosi up e diventando lui il predatore.
Ecco esempi, attingendo da quella ricca fucina che è il Wing Chun come noi, allo Z.N.K.R., lo interpretiamo:
braccia distese davanti a  sé a fermare l’aggressore, a porre una distanza di sicurezza, diventano “pugni a catena”, ovvero le proprie armi puntate a colpire;
braccia flesse davanti al viso a proteggersi da un assalto improvviso, che ci sorprende / da un aggressore giunto a distanza ravvicinata, diventano “cuneo corto”, ovvero gli avambracci a protezione ed i gomiti direttamente puntati sull’aggressore a colpire;
atteggiamento iperlordotico / irrigidimento delle gambe, impietriti dalla sorpresa, diventano accettazione della forza di gravità con tratto lombosacrale allungato e articolazioni flesse;
respiro bloccato e superficiale nell’attimo della paura, diventano respiro profondo e consapevole.
Con queste premesse, ovvero:
Ø  impossibilità ad insegnare tecniche di combattimento ad individui che non fanno esperienza consapevole del loro essere corpo;
Ø  inutilità dell’insegnare tecniche (modelli) in un contesto di alto disordine e totale imprevedibilità motoria e gestuale;
Ø  secondarietà delle tecniche (saper fare) rispetto al saper essere (intelligenza emotiva), in un contesto, lo scontro, il cui tratto distintivo e fondante è la ridda di pulsioni ed emozioni che lo animano,
dunque, l’agente dello scontro è un organismo fisicoemotivo, il cui “non perdere” è innanzitutto determinato dall’essere
vigile
Prestare attenzione a qualcosa ed essere consapevoli della sua presenza non sono la stessa cosa (…) Questo sdoppiamento fra consapevolezza ed attenzione potrebbe essersi evoluto come meccanismo utile alla sopravvivenza: essere in grado di notare qualcosa di insolito senza rendersene conto avrebbe potuto rappresentare un vantaggio, per esempio per la sopravvivenza nella savana” (G. Guerriero in “Mente & cervello” Dicembre 2011)
autotelico
Il senso cinestetico che ci permette di prendere coscienza di noi stessi è attivato dai numerosi ricettori propriocettivi, collegati a muscoli e tendini che sono numerosi intorno alle articolazioni, poiché vengono stimolati nel movimento (S. Guerra Lisi – G. Stefani “Il corpo matrice di segni”)
intraprendente
Coraggio è una parola che ricorre spesso nella leadership. E richiede coraggio percorrere quel vicolo buio dove gli altri non vogliono andare. Ma la vera audacia nella leadership ruota effettivamente attorno al grado di coraggio nelle proprie convinzioni che una persona riesce a conservare. Quel tipo di coraggio porta all’ostinazione nel continuare a credere in se stessi e capacità di recupero per risollevarti dopo ogni sconfitta, ogni passo falso, ogni caduta. Portando a compimento i tuoi piani, i tuoi impegni, i tuoi sogni, anche quando chiunque altro dice che non puoi riuscirci: questo è il coraggio” (M. Krzyewski “Le strategie di coach K.”)
 

Con queste premesse, come attivare azioni istintive di difesa  e contrattacco efficaci ed efficienti ?
Nella nostra Scuola, propongo koan zen fisicoemotivi, stratagemmi tattici e strategici, che inducano il praticante ad attingere alle proprie risorse inconsce riconoscendo  emozioni (emos – azioni) che si traducono in tono muscolare, il quale agisce (secondo la teoria dei neuroni a specchio) in sincronia e sintonia con come e quanto egli stesso abbia interiorizzato l’ambiente esterno, il contesto.
L’antica saggezza asiatica della guerra, raccolta in “L’arte della guerra”, “I 36 stratagemmi”, “il libro dei cinque anelli”, solo per citare alcuni testi, ci viene in aiuto:
o    “Attraversare il mare ingannando il cielo”, inducendo il praticante a porre attenzione su gesti e particolari del tutto ininfluenti durante l’agire, evitando così il successivo disfunzionale tentativo di controllo del sintomo, gestuale o emotivo, e delle proprie reazioni.
o    “Osservare l’incendio sulla riva opposta”, lasciando che il praticante si consumi in gesti ed emozioni del tutto inefficaci, perché solo “la tazza vuota si può riempire di the”. 
o    “Portar via la pecora che capita sotto mano”, trasformando qualsiasi pur piccola negligenza, gesto parassita, del praticante in occasione di “vantaggio” per la sua crescita.
o    “Spegnere il fuoco aggiungendo legna”, invitando il praticante ad accentuare consapevolmente gesti ed emozioni inefficaci ed inibenti si che, per omeostasi, torni poi a riequilibrarsi.
o    “Intorbidire l’acqua per catturare i pesci”, creare confusione, dare suggerimenti contraddittori, per lasciare il praticante senza punti di riferimento confezionati, affinché sia lui ad assumersi la responsabilità del cercare e scoprire.

Una didattica maieutica, ovvero fatta di domande verbali e fisicoemotive. Modalità operativa che sollecita nell’individuo la personale motivazione all’apprendere invece che introiettare ordini, modelli, certezze impartite dall’alto; nella forte convinzione che a stare nei conflitti, negli scontri, si impara solo attraverso i conflitti, attraverso gli scontri; che a vincere le resistenze si impara solo utilizzandole come “piede di porco” per aprire nuove ( e vecchie) porte.
 Un sovvertire l’ordine in cui, per dirla in termini più vicini alla nostra cultura, si privilegi l’azione dell’emisfero cerebrale destro, quello deputato a funzioni non verbali, sintetiche, concrete ( quel che accade qui ed ora), spaziali (sintetizza nello spazio), globali (coglie la forma nel suo insieme): “(…) i circuiti emozionali hanno la prevalenza sui circuiti logico – razionali, soprattutto nei momenti critici –paura, rabbia, coraggio, intuito". (J. Whitmore “Il Coaching”).

Per me, solo così il praticante coglie l’Arte Marziale, è la personale espressione di quell’Arte Marziale, è artista del confliggere, in pedana come nel vivere quotidiano.
 
Immagini tratte dai Seminari di  Wing Chun Boxing da me tenuti preso il DAO del M° Valerio, San Benedetto d. Tronto (AP)