lunedì 24 novembre 2014

L’ala protettrice


“Nella pratica delle Arti Marziali, tutti sono utili, tutti servono. Nessuno, tranne il Maestro, è indispensabile”
(M° Yamazaki Ansai)
 
Resto immobile, cercando di capire, di ragionare.
L’allievo, scomposto come un kick boxer in affanno, sciorina diretto e gancio, malfermo sulle gambe, una spalla ridicolmente sollevata, forse a proteggere la guancia ? Forse perché fa “tipo tosto” ?
La mia proposta, in sintonia con gli insegnamenti del M° Aleks, è di colpire in movimento. Questo lo facciamo già da anni, ma ora non ci affidiamo più alla muscolatura superficiale, che origina scatti e strappi e pause, ma alla sinergia muscolatura profonda / articolazioni.
Solo così, il movimento sarà realmente fluido, il combattente scivolerà sul terreno come vento che corre.
 
Resto immobile, cercando di capire, di ragionare.
Perché c’è chi fatica a togliersi i movimenti “vecchi”, ed è giusto che sia: ti hanno dato tanto, è difficile allontanarli per abbracciarne di nuovi, anche se questi ultimi funzionano di più e meglio.
Ma c’è anche chi, è evidente, di questo modo di “tirare”, che non è nostro da almeno vent’anni, guardia pugilistica “sportiva” e spalla avanzata alta, si è appropriato in questi mesi.
 
Resto immobile, cercando di capire, di ragionare.
Forse starà facendo delle esperienze di Kick Boxing o di Daido Juku (l’ultima moda importata dal Giappone, una sorta di Yoseikan Budo ma più grezzo), di pratiche simil sportive. Libero di farlo, ma che c’azzecca con quanto ho proposto da vent’anni a questa parte, e che c’azzecca con la straordinaria pratica intrapresa da un paio d’anni a questa parte ?
Sempre alla ricerca del meglio, del fluido, dell’efficace ed efficiente.
E mi vengono alla mente, si aggiungono, immagini di una paio di settimane or sono, al Raduno. Vedo che, tra gli allievi, certe differenze di qualità, nel movimento, nel realizzare i colpi a segno e nell’evitarli, si sono affievolite, fino a diventare incerte. Chi prima svettava, ora incespica, arranca: la pratica discontinua allo Z.N.K.R.; l’aver scelto di abbracciare una pratica altra, ben diversa dalla nostra; l’orgoglio delle proprie certezze che impedisce alle nuove di nascere e crescere. Questi sono tutti fattori che, inevitabilmente, livellano, fino a iinficiare, ad intorpidire, qualsiasi progresso.
 
Non sono io a dovermi abbassare al vostro livello, siete voi a dovervi alzare al mio”, più o meno sono queste le parole pronunciate dal M° Aleks in uno degli ultimi nostri incontri, ad Opera.
Dunque, per me, questo significa spingere, incoraggiare tutti affinché comprendano; accogliere le resistenze di ognuno come leva per svellere quanto ancora appesantisce, infiacchisce, la pratica nuova; metter mano alle tentate soluzioni ridondanti di ognuno, quelle che, ripetute e ripetute ancora, tengono lontano dal nuovo e indeboliscono la voglia di sperimentare, per farne “cavallo di Troia” verso l’acquisizione di una gestualità diversa, potente e fluida insieme.
Questo voglio continuare ad essere in pedana.
Ma, nel contempo, non voglio essere la mamma iperprotettiva che accudisce i figli fino ai quarant’anni e oltre. La mia ala protettrice sarà occasione per aiutare a spiccare un volo libero. Non sarà né ala soffocante su “pulcini” ormai cresciuti, né si farà stanca e stremata per riportare forzosamente ogni sera quei pulcini enormi e gonfi al limitare del volo.
Così, oggi come ieri, io propongo un certo modo di praticare: chi vorrà sperimentarlo, provarlo e riprovarlo ancora fino a riuscirci, troverà sempre in me un buon facilitatore, un buon “Sensei”, sempre al suo fianco. Chi vorrà fare altro, anche in pedana, anche al Raduno o agli incontri la sera, sarà, come sempre, libero di farlo, ma io non potrò né vorrò, accompagnarlo in quel volo sgraziato e traballante che si è andato scegliendo.
Certamente c’è e ci sarà sempre spazio per tutti. Per quelli che, con passione e costanza ed umiltà, tengono aperto il cuore e la testa su quanto vado loro proponendo e per chi fa spallucce, chi sceglie di praticare altro, chi pretende un insegnamento a mò di manuale per montare un mobile Ikea, chi… col tempo, resterà a terra, naso all’insù, a vedere i compagni librarsi in volo libero.
 
“Non serve aspettare a lungo o guardare lontano, perché ti venga ricordato quanto sottile è la linea tra l’essere un eroe e l’essere una capra”
(M. Mantle)
 


 

 

lunedì 17 novembre 2014

E sono 63 !!


“Quando mi troverò di fronte a dio alla fine della mia vita, mi augurerò di non avere neanche un briciolo di talento rimasto, in modo da dirgli : ‘Ho usato tutto quello che mi hai dato’”
(E. Bombeck)

 Lo scorrere degli anni. Gli incontri, gli scontri. Le forti volontà, le forti idee ed i ripensamenti, le negazioni che giungono improvvise, malcelati assassini nell’ombra. E uccidono, decapitano, sogni e credenze, aspettative e aspirazioni.
Qualcosa resta della caccia vecchia, dei vecchi (giovani) passi, a volte felpati a volte chiassosi come imberbi studenti all’uscita da scuola. Qualcosa resta per quello che è, oppure si trasforma, prendendo sembianze sfumate, indistinte: magia nera di donna sinuosa, tremolante, nelle luci chiaroscure del vivere quotidiano.

La vita sceglie una strada, una direzione e, non sempre, è quella che preferiamo. A volte, più spesso raramente e in modo frammentario, scomposto, invece sì.
Ed io sono qui, nei locali vetusti, dal canniccio il cui colore gli anni hanno sfaldato tra le tonalità del marrone. Tatami di judo coloratissimi disposti in pedana grande e drappi di divinità asiatiche abbracciate, incastonate nell’atto più bello del mondo: Fare l’amore.  Qui, nella sala della guerra e della formazione alla guerra.
Ma questa è serata di pace, di amicizia, di festeggiamenti: oggi, Venerdì 14 Novembre, compio sessantatre anni.
Sono nato nel giorno dell’alluvione del Polesine, quando il fiume Po straripò definitivamente fuori dagli argini; il giorno della più aggressiva e disastrosa alluvione dell’Italia contemporanea. E questo vorrà pur dire qualcosa.
Qualcosa che riecheggia, bestia solitaria e famelica, nelle viscere, tra impulsi e pulsioni selvaggi, oscuri, primordiali.
Eppure i sorrisi degli allievi, degli amici; lo scorrere fresco nel palato della birra; gli occhi profondi di Giuseppe, amico ritrovato per alcuni minuti in pedana, nel Randori d’Entrade, empatia, di più, simpatia mai persa. La premura di Milena, con i suoi paninetti al wurstel e una misteriosa torta di cioccolato e fondi di caffè. I consigli di letture fantasy di Walter. Gli abbracci teneri con Alessandro, e poi Celso, Renato ed altri ancora.
Con loro la mia famiglia, Monica e Lupo, ma anche Kentaro, almeno nei miei pensieri.

Grazie, a tutti voi per esserci stati.
Grazie per il sorriso nel cuore che mi avete donato nel festeggiare insieme, come si suol dire, le mie 63 primavere.
 
“Un uomo è veramente ricco quando i suoi figli corrono tra le sue braccia, anche se è arrivato a mani vuote”
(Anonimo)

  
 
 
 
 
 
 


sabato 15 novembre 2014

La parte bella del valore


“Tutti i praticanti di Arti Marziali sono dei ‘principianti’.Diciamo che alcuni di noi lo sono da più tempo”
( J. R. West )

 C’era una volta e c’è ancora, un luogo, una comunità, di individui che, pugni e calci e bastonate e acciaio affilato, masticano di paura e di coraggio, di mani affondate nella propria melma interiore. Uomini per cui le ore, i giorni, financo, per alcuni, gli anni ed i decenni che scorrono ineluttabili, portano , con la sensazione di perderli lungo la narrazione del tempo che va, anche l’ebrezza del viverli, del gustarli appieno, “senza se e senza ma”, coraggiosamente.
Coraggio di vivere che si erode, si mutila, ad ogni scontro, ad ogni ferita per trasformarsi, se non in tutti almeno in alcuni di loro, in piena consapevolezza dell’unicità, fragile ed incerta e irripetibile, del proprio stesso vivere.
Ognuno di loro, chi più chi meno, a seconda dello scurirsi della cintura, di ferite se ne è procurate tante ed ancora se ne procura.
 
Come in questo Raduno di Novembre 2014.
Ognuno di loro si pone davanti al vivere sapendo che esso si nutre di cose che accadono mentre altre se ne aspettano.
Lacerazione, questa, che la pratica marziale compone, o tenta di comporre, imponendo il “qui ed ora” fisicoemotivo, la presenza totale nello scontro, l’immergersi responsabile nell’attimo presente.
Da lì, per i più temerari, i più coraggiosi, la pratica marziale prende i colori della convivenza ardua e scontrosa  tra immediatezza del presente e anticipazione del futuro: Nel lampo di un gesto che insieme è difesa ed offesa, nell’esplosione di uno spostamento repentino che insieme evita ed occupa.
La formazione marziale, metafora e metonimia della vita, mostra che ogni incontro, ogni relazione, ogni combattimento, contiene in sé i tratti della vittoria e della sconfitta: inutile, a volte dannoso, lasciarsi abbattere da una sconfitta o esaltarsi per una vittoria, perché ogni combattimento le contiene entrambe.
“Per seguire la Via, il samurai deve mantenere l’attenzione (…)”. Così riporta Yamamoto Tsunetomo nell’Hagakure.
Mantenere l’attenzione” alla vita è essere presenti e partecipi di ogni attimo, è dare importanza anche alle cose, agli accadimenti, piccoli, è non proiettare, non scaricare su altri o altro ciò che noi stessi siamo e facciamo.
Allora la formazione del corpo marziale, attraverso ilTai Chi Chuan, come ora insegnatomi dal Maestro ed amico Aleks. La pratica del KenpoTaikiKen riletto con le componenti di cui sopra. Il combattimento libero, uno contro uno, poi la rissa, lo scontro  tra schiere e ingruppo.
Sudati, stanchi, un poco ammaccati, al saluto finale.
Un piccolo rinfresco appena terminato il Raduno, poi, per chi ha voluto esserci, la serata si conclude in pizzeria, tra cibo e birra, chiacchiere e fiumi larghi e forti di amicizia condivisa
 
(Anonimo)

 Un grazie a Donatella per le belle immagini





giovedì 6 novembre 2014

Basta piangere

“… e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia”
(dal film “Blade Runner”)

Pamphlet agile e scorrevole, “Basta piangere”, di Aldo Cazzullo, si presenta come manifesto di riscossa degli over quaranta per, in realtà, narrare vivacemente cinquant’anni di storia d’Italia e, un po’, del mondo.
A volte esagerato e generoso, altre spiacevolmente superficiale, il tutto, però, come si conviene ad una narrazione  condensata in poco più di cento pagine.
Mi permetto di consigliarne la lettura … a tutti, ai quarantenni / cinquantenni, ovvero i coetanei di Cazzullo, ma anche a chi, come me, è un over sessanta e a chi, invece, di decenni ne ha solo un paio, o poco più, sulle spalle. E, perché no, a quei genitori che vogliano leggere ai loro giovanissimi figli di un passato appena prossimo ma che, per certi versi, appare “preistoria”.
Lo consiglio perché, di agile lettura, consente uno sguardo complessivo, attento e divertito, su mondi, avvenimenti e “culture” dagli anni ’60 ai giorni nostri.
Quando mio figlio Kentaro, nato nel 1986, era un bambino, stentava a comprendere che, io bambino, non avessimo in famiglia il frigorifero: la roba da mangiare stava, in inverno, fuori sul davanzale della finestra e, in estate, mamma faceva la spesa tutti i giorni; oppure che, per nettarci il culo, usavamo le pagine del quotidiano o la “carta oleata”, quella con cui il panettiere incartava le michette. Bisognerà aspettare gli anni ’60 per avere in casa la “carta igienica” !!
Proprio in questi giorni, a mio figlio Lupo, nato nel 2004, ho parlato delle “pattine”, strumento d’obbligo ai piedi per entrare in ogni appartamento di città; o del papa precedente a questo, reazionario convinto, attivo nelle manipolazioni finanziarie e politiche. Come non ricordare la conduzione dello IOR, la banca vaticana, attraverso scandali di ogni tipo, per esempio una tangente di 108 milioni di euro, attraverso Raul Gardini, fatta passare per “aiuto ai bambini meno fortunati”; oppure il foraggiare economicamente e politicamente qualsiasi movimento anticomunista e antiprogressista, fino al coinvolgimento nel rapimento di Emanuela Orlandi o alla sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare di un delinquente di primo piano come De Pedis, uno dei capi della “banda della Magliana.
Su questi avvenimenti, per inciso, Cazzullo, da buon cattolico di destra, scivola lieve e candido …
Dunque, un bel libretto che aiuta “grandi e piccini” a ripercorrere decenni di storia, grande e piccola, del nostro “Belpaese”.
Del libro, condivido appieno l’invito al rischiare in prima persona, all’unirsi in gruppo, in collettività, per cambiare, privato e pubblico, del nostro vivere, del nostro ambiente, ovvero la società in cui viviamo.
Come ben ricorda Cazzullo, per quelli come me,di cui scrive  “Quelli che vengono comunemente chiamati ‘sessantottini”, al nostro confronto, sono una falange macedone. Chi è rimasto comunista e chi è andato a lavorare per Berlusconi (magari dicendo di essere rimasto comunista) sono comunque uniti da un vincolo cementato nel tempo in cui si affidava alla comunità la vita e la morte” fare gruppo ed operare in gruppo, ha un senso profondo che affonda nell’adolescenza e nelle esperienze intense, appunto, del ’68. La vita dello Z.N.K.R. sta lì a mostrarlo.
Per chi è venuto dopo, la sbornia individualista ha lasciato scorie che è certamente dura trasformare in forza piena di cambiamento collettivo.
Taccio delle pecche e delle generalizzazioni, e non sono poche, che costellano il libro, tra un incauto apprezzamento a Balotelli e l’affermazione generica “i giovani chiedono lavoro” che cozza, quest’ultima, con la mia esperienza di quasi vent’anni proprio a contatto di giovani alla ricerca di un lavoro e, soprattutto, con le esperienze e gli scritti di operatori del settore che operano su scala nazionale.
Preferisco sottolineare il piacere e le emozioni legati ai ricordi che il bel libro mi ha suscitato: Anche tu hai voglia di emozionarti ?

“Trovo che la televisione sia molto educativa, ogni volta che qualcuno l’accende vado in un’altra stanza a leggere un libro”
(Groucho Marx)

Post illustrato con foto scattate in un sereno pomeriggio all’Idroscalo di Milano, con famiglia ed amici.








lunedì 3 novembre 2014

Un’offerta e un dono


“La gentilezza delle parole crea fiducia. La gentilezza di pensieri crea profondità. La gentilezza nel donare crea amore.”
(Lao Tze)

 Passano gli anni, i decenni, e le cose cambiano. O forse sono io a notare le stesse cose in un modo diverso. A sentirle più pesanti, ruglio sgraziato in un oceano di voci e suoni e rumori.
Offerta e dono, che sono la stessa cosa.

Quando mi dici “Stasera non vengo a lezione”, “Sai, non mi iscrivo al Raduno”, a me basta. Sei cortese ad informarmi, mostrando che il Dojo, la Scuola, non è il bar dove bevi il caffè la mattina, prima di entrare in ufficio, quel posto dove, che tu ci vada o meno, non importa a nessuno: né a te, né a chi sta dietro il bancone. Te ne ringrazio.

by el1as
Quando aggiungi “Sai, un’improvvisa marea ha inondato la strada per arrivare in Dojo”, o “Mi hanno  invitato a cena”; oppure “E’ caduto un asteroide sul pianerottolo di casa” o “Ho un po’ di mal di testa”; o anche “C’è tanto traffico” come “Uno zombie si è appisolato sul mio divano”, beh, io resto attonito.
Io non ti ho chiesto spiegazioni o giustificazioni: Cosa ti spinge a darmele ? Come stai, nel pronunciare quelle parole ?
Tu non sei un minorenne che deve delle spiegazioni al genitore, né, per me, sei un minorato che le deve al suo tutore.
Ma accetto la tua offerta di spiegazioni, il tuo dono di giustificazioni e li prendo per come sono. Un dono un po’ goffo, quel soprammobile che stona con l’ambiente, che è un impiccio in più da spolverare. Viene da te, io ti voglio bene, l’accetto col cuore, senza chiedere a me o a te se sia un dono simile a quegli oggetti riciclati che si passano di mano in mano, “sbolognandoli” alla prima occasione o se c’è del tuo, sforzo e ricerca, in quell’oggetto; anche perché, a volte, anche gli oggetti riciclati, quelli “sbolognati”, vengono donati col cuore e allora va bene così: a me basta.

Ecco, nel momento in cui tu, però, pretendi che io, sempre e comunque, creda e ti compatisca, condivida la tua afflizione, per la marea d’acqua infuriata e violenta, eruttata improvvisa dalla bocca nera del mare, o al perentorio e improcrastinabile invito a cena; allo zombie appisolato sul divano di casa come all’ostacolo insormontabile di un groviglio d’auto che sigillano le strade della città, qualcosa in me si incrina.
by Xythanon
Quella semplice tua offerta, quel tuo piccolo dono, assumono sembianze distorte, emanano un odore sgradevole. Sembianze ed odore goffi, oso ipotizzare, su di te perché offendono la tua intelligenza e, con essa, la tua libertà di essere e fare, individuo consapevole ed autodiretto anche, e soprattutto, nei confronti del proprio vivere e relazionarsi.
Poco graditi a me che pure sono consapevole, certamente, che le cose tutte accadono a volte anche fuori dalla nostra volontà; che, per le leggi della fisica moderna, nessuno può escludere di trovarsi uno zombie in casa; che, a volte, un’occasione piacevole o spiacevole che sia, la prima la si accetta di subire, anche se di malavoglia, la seconda la si vuole accettare di buon grado. Poco graditi comunque e te ne spiego il motivo. Mi chiedo perché tu mi doni il biglietto per un concerto di Marco Carta o Cesare Cremonini, io che questi cantantucoli, come  tutta la loro genie  di “poppettari” squinternati e omofoni, aborro e pretendi che io lo apprezzi; perché, sapendo del mio disgusto per frutta e verdura, mi inviti a cena in un ristorante vegano e pretendi che ne apprezzi la cucina.

Allora, per favore, la prossima volta che accadrà , e accadrà di nuovo e poi ancora, più volte, che il mare si riversi mugghiando per le vie della città o che il mal di testa o l’invito a cena o lo zombie sul divano entrino di prepotenza nella tua vita, e me li offrirai con una smorfia triste ( Perché poi ? Almeno per me, andare a cena con persone che gradisco, è un piacere, così come, se mai accadrà, osservare dal calduccio di casa la forza del mare che tutto spazza per le strade ) non premurarti di coprire frettolosamente, al momento, con un tratto di pennarello, il prezzo ancora stampato sull’oggetto che mi vai donando; non raccontarmi che quel coccio di vetro è un antico reperto della cultura marziana approdata in terra nel 1.000 avanti Cristo; non mi chiedere di colludere con le tue presunte sofferenze. Offri e dona così, semplicemente.
Perché un’offerta è anche un dono. Allora, lascia che sia.

 “Il rischio, qualsiasi sia la forma in cui lo si pensa o si presenta, appartiene alla vita.
Azzerarlo non si può. Si può volerlo fare a tutti i costi ma si chiama controllo, ossessione, possesso, malattia”
MP. Veladiano)