lunedì 21 settembre 2015

Festa Sport in Zona


Domenica 20 Settembre
L.go Marinai d’Italia

 

Sole, verde, bambini, adulti, famiglie, tanta, tantissima gente, da non crederci.
Noi, su invito dell’US ACLI a cui va il nostro grazie ( in particolare al simpatico ed efficiente Claudio che coordinava le diverse iniziative) per quest’opportunità dataci, ci siamo andati per fare gruppo, per il piacere di cementare e rinnovare un’amicizia nata nel sudore e nella fatica di un percorso di conflitto, turbamento interiore, scontro fisico che è sempre anche scontro e scambio fisicoemotivo. Amicizia che poi, con gli anni, si è estesa alle cene a casa di uno o dell’altro, alle vacanze estive trascorse insieme, alle confidenze sui drammi e sulle amare sconfitte della vita quotidiana, agli abbracci ed alle risate per tutte le volte che la vita ci ha regalato una soddisfazione, una canzone d’allegria.
Ci siamo andati per divertirci a praticare all’aperto, che è gioia e sensazione diversa dalle mura del Dojo, praticare in quella zona di Milano in cui da oltre trent’anni proponiamo il nostro percorso marziale, che è dunque anche la “nostra” zona.
Ci siamo andati per proporci a chi ci avrebbe visto e, memori di esperienze precedenti, senza alcuna aspettativa.

Invece …. invece è stato un oceano di presenze, di domande, di affollarsi di gente allo stand, di richieste di informazioni, di persone curiose attorno alle materassine dove praticavamo e di qualcuno che è entrato a condividere.
Magari non verrà nessuno a provare in Dojo, magari nessuno si iscriverà. Ma è stato bellissimo, emozionante, snodare gesti e balzi e calci e pugni sotto la sguardo attento di chi, esplicitamente o meno, ci diceva “Bello, mi piace, voglio farlo anch’io”.
Ci siamo sentiti insieme a tanti e tanti sconosciuti. E non importa se abbiano colto il travaglio, se abbiano colto il senso forte del “formare” come fatica interiore di conoscenza e trasformazione, di individuazione; se abbiano colto il senso audace, spericolato dell’ “educare”  come viaggio non verso le certezze del sapere, che è spazio perciò stesso angusto e ristretto, spazio asfittico del “pensiero unico” ma come viaggio verso gli spazi ampi, viaggio che è rapire, sedurre, portare fuori dalla strada ovvia per curiosare nei sentieri e nei viottoli, che è aprirsi alla radura, all’orizzonte infinito.

Non importa.
Importa che si si siano incuriositi e divertiti e, con la loro presenza, ci abbiano donato il calore di uomini, donne, bimbi e ragazzi, ci abbiano fatto sentire comunque insieme.
Certo, se poi qualcuno verrà e farà un tratto di strada marziale e di formazione con noi, sarà ancora meglio. Meglio perché ogni individuo è un’energia, energia che scambia e si relaziona, energia che porta vitalità. Poi è anche una quota, un contributo economico e ne abbiamo bisogno, che tutto  l’anno, dodici mesi l’anno, arrivano le scadenze dell’affitto e le bollette di luce e gas e le spese per questo e quello.
Staremo a vedere.

Allora, che gran bella festa insieme, insieme agli allievi che sono venuti ad organizzare lo stand e a praticare, e tra questi mi piace citare Jacopo & Jacopo, uno allievo “anziano” l’altro appena arrivato, entrambi del corso Kenpo Ragazzi dell’Insegnante Celso: una  giornata ai giardini per i fatti loro a giocare, a curiosare, ma anche per praticare Arti Marziali, per fare gruppo, clan, con la Scuola che è anche la loro Scuola, per farsi nuovi amici “adulti” oltre ai soliti, per aprirsi al mondo, insomma ,invece della solita Domenica con le solite persone di ogni giorno.
Un grazie anche a chi è comunque venuto a salutarci, a vedere che facevamo: fare gruppo, fare clan, perché praticare Arti Marziali come noi le proponiamo, vivere lo Z.N.K.R. come noi facciamo è tale quale il vivere di ogni giorno in famiglia, nel lavoro, a scuola: un’avventura individuale in seno al gruppo. E qui da noi impariamo ad essere insieme individui e parte di un gruppo, senza scadimenti narcisistici e senza appiattimenti fusionali.
Una gran bella festa insieme.






venerdì 18 settembre 2015

L’energia artistica


1° gruppo esperienziale Wing Chun Boxing, Ottobre 2012
Parafrasando  Eugenio Barba, regista teatrale, potremmo dire  che le Arti Marziali, come le intendiamo noi, s’intende, ovvero come erano alle origini:
Bujutsu (1), metodo con cui uccidere per non essere uccisi,
e poi
Budo, La Via, processo di conoscenza, crescita ed individuazione, terapia fisicoemotiva,
sono “un’isola galleggiante, un’isola di libertà. Derisoria, perché sono un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambiano il mondo. Sacra, perché cambiano noi.”

Cambiano noi”, ecco il senso profondo del Budo. Ecco perché noi pratichiamo e proponiamo l’Arte del lottare, del confliggere, distanti da chi ha ridotto le Arti Marziali a un fare semplicemente fisico, ginnico, di tecniche e posizioni, uccidendone le radici soteriologiche, la passione trasformatrice; ovvero distanti da chi, in esse, abbia tranciato sia l’attitudine sia lo scopo di accompagnare il praticante  fuori, oltre, il malessere, il disagio, le nevrosi che, latenti o meno, sono compagne di ogni vivere umano.
Insomma, costoro praticano un Bujutsu di dubbia efficacia combattiva e di nessuno spessore in quanto a crescita e conoscenza di sé, dunque del tutto privo dello stato di Budo.
Due calci, due pugni, una proiezione al suolo, qualche gesto a vuoto e poi tutti in doccia !! Qualcuno pure convinto di essere un combattente e / o un saggio per il semplice aver fatto quanto sopra !!
Il riposo dei guerrieri dopo la Festa di via Cadore, 2011

Perché si pratichi un Bujutsu efficace e perché, tramite esso, ci si addentri nel bosco profondo delle pulsioni e delle emozioni in cui agire Budo, occorre ben altro.
Su questo blog, ne ho già scritto diverse volte e in vario modo, sia con un linguaggio rigoroso (“Andragogia marziale e non solo” Maggio 2013; “Io ci sto e tu?” Dicembre 2013), sia utilizzando metafore e racconti di stampo “leggero” (“Di una bella, dei suoi cortigiani e dei suoi possenti amanti” Giugno 2013; “Perché scegliere me” Settembre 2011; “Del dare la morte” Febbraio 2014)
Qui voglio solo ricordare che praticare, fare esperienza di sé corpo è sempre, sempre, indissolubilmente legato a un fare /trasformare olistico: Fare e soprattutto come fare, ti cambia anche gli aspetti psichici, ti cambia come individuo, come persona. Per questo è hon (fondamentale), essere cosciente di come agisci corpo, come ti  muovi corpo, perché, che tu ne sia consapevole o meno, questo induce dei cambiamenti in quel che sei.

Allora, così, anche in forma disordinata, mi preme scrivere che una sana pratica marziale

dal punto di vista dei contenuti:
Seminario Kenshindo 2008
- mette in secondo piano potenziamento e condizionamento muscolare, lavorando invece sugli organi interni e sulla consapevolezza  corporea, fino ad affinare propriocezione e viscerocezione, a modulare l’attività endocrina;
- limita sforzo e contrazione muscolare, privilegiando la distensione muscolare e l’affidarsi alla muscolatura profonda;
- mira a non spezzettare l’attenzione sul proprio gesto o sull’altro da me, come a non finalizzare il “voler fare” (intenzione ?) sull’altro, quanto a riunirle in un’unica grande apertura in cui intuito e senso del predare, senso dello spazio, del ritmo e della relazione (yomi e yoshi) giochino un’unica danza armoniosa;

dal punto di vista della didattica e dell’andragogia
- afferma che il sapere del docente, il Maestro o come lo si  voglia chiamare, “non è mai ciò che colma la mancanza, quanto ciò che la preserva” (M. Recalcati), perché il sapere (qui marziale, ma per me vale per ogni sapere autenticamente tale) si costruisce attraverso un percorso individuale, proprio di ogni singolo praticante, senza che esista a garantirne l’acquisizione, un tracciato definito a priori, un modello da imitare, una sorta di “foglio delle istruzioni” per montare il mobile Ikea;
- sostiene non solo che l’allievo non è un vuoto da riempire, quanto un vuoto da aprire, uno spazio per aperture impensate prima, e anche che ogni allievo abbia già in sé le risorse e le energie per apprendere il sapere;
Stage Estivo 2010
- incoraggia l’espressione fisica delle emozioni (emos – azioni), accogliendo turbamenti e resistenze nel processo di pratica che è crescita e trasformazione, ben sapendo che: “La terapia è come sputare nella minestra di qualcuno. Può continuare a mangiarla, ma non può più gustarla”. (A. Adler);
- utilizza un metodo maieutico, ovvero l’apprendimento come comprensione individuale e non supino adeguamento a modelli e contenuti esterni: niente imitatori ma solo attori, protagonisti. Il tutto avvalendosi di domande, Koan zen fisicoemotivi ed eleggendo l’errore a strumento di comprensione invece che farne un atto da biasimare, perché solo errando si scopre consapevolmente il “giusto”. Solo sbattendo ripetutamente contro un vetro dopo l’altro, troviamo la strada per uscire dal labirinto.

Proprio poche ore or sono, avvicinato dal solito fanatico da palestra, ossessivo consumatore di tapis rulant e supino ripetitore di balzi e slanci nell’ora di zumba, mi scusavo con lui perché, avendo io una particolare idea del movimento e delle pratiche corporee, totalmente critica verso quelle infauste e stupide pratiche, conscio per altro di essere del tutto “fuori dal coro”, preferivo evitare di affrontare una discussione sull’argomento. “Non sono un venditore di saponette”, gli dicevo, cioè non sono qui per convincere nessuno. Ecco, nel mentre, giungeva una mia collega, praticante di Arti Marziali, le solite, che si chiamino Judo o Viet Vo Dao, Karate o Aikido, che siano “antiche” come il Ju Jitsu o moderne creazioni come il Krav Maga, insomma, non importa quale.  Ebbene, mi sono immediatamente defilato per evitare che la fanciulla mi presentasse come un insegnante di Arti Marziali. Non voglio assolutamente essere scambiato per un ammaestratore da circo, per una signorina Rottermaier il cui modello di insegnamento è tutto correttivo – repressivo, in cui l’allievo va istruito (riempito) ed educato come fosse creta da plasmare. Non voglio assolutamente che si scambi il mio, il nostro praticare, con le goffe pantomime presenti nelle palestre e nei Dojo, con le convulse e tracotanti scazzottate di giovani ( e meno giovani !!) tatuati da ring.

E come fare,
- ad un edonista – consumista che si spompa e suda su una bici sempre ferma (spinning) o che solletica i suoi tratti ossessivo- compulsivi spostando lo stesso peso su e giù per decine e decine di volte allo scopo di “farsi il fisico”, sviluppare una muscolatura (superficiale) ben evidente o, l’ultima sentita: “Se voglio, faccio le scale di casa salendo i gradini quattro a quattro” (bella performance, ma, a che pro ?);
- ad una coriaca imitatrice di gesti, assolutamente priva di sensibilità fisicoemotiva, illusa di essere una buona combattente perché in pedana imita il Maestro / modello e lancia gambe e braccia contro un sacco prima e contro un'altra fanciulla, altrettanto povera di intelligenza e sensibilità fisicoemotiva e motoria, dopo (2);
come fare ad instillare loro un benché minimo dubbio ?

Come fare a parlargli, perché ascoltino (3), di praticare del confliggere corpo a corpo (Bujiutsu) come metafora e metonimia del confliggere con sé e con l’ambiente (Budo) ?

Stage Invernale 2013
Lascia stare Tiziano, che “La maggior parte delle discipline nascondono effetti negativi, essendo concepite non per liberare, bensì per limitare. Non chiedete ‘perché?’ e siate cauti col ‘come?’. ‘Perché?’ conduce inesorabilmente al paradosso. ‘Come?’ v’intrappola in un universo di causa ed effetto. Entrambi negano l’infinito”. (F. Herbert).

 

 

 

1. Uso qui termini giapponesi in omaggio alle mie origini marziali, ma andrebbero bene anche termini presi da arti cinesi, vietnamite, coreane e di combattimento e lotta in genere.

 

2. In effetti, la fanciulla, in difficoltà nel saper calciare forte e in equilibrio, a sua richiesta, la coinvolsi, mesi addietro, nel retro del suo ufficio, in un breve, brevissimo viaggio di dieci minuti nell’affascinante mondo del praticare come noi facciamo. Risultati immediatamente eccellenti, espressione stupefatta sul viso, poi più niente. No, non è che io immaginassi di vederla varcare la soglia del nostro Dojo, ma almeno  chiedersi che cosa le aveva dato praticare due volte la settimana per anni, fino alle soglie della cintura nera, se poi era bastato un anzianotto, con tanto di pancetta da bevitore di birra, e soli dieci minuti di tempo rubati in un angolo, a farla progredire in quel modo. Niente, è passato quasi un anno ed ancora oggi mi narra estasiata di aver imparato la forma del “drago”, di come si applichi faticosamente nel maneggio del bastone, del bel livido che ha rimediato sotto l’occhio.

 

3. Beh, se poi uno pratica per “pettinare bambole” (rubo l’espressione al buon Bersani) o esplicitamente per sfogarsi, allora tutto quanto ho scritto non vale. Io mi rivolgo ad adulti o a chi cerchi di essere adulto, “guerriero” ( colui che sa stare nel conflitto), consapevole, a chi scelga una forte e sana pratica fisicoemotiva  che, attraverso il  Ridare all’uomo il senso del corpo come luogo delle nostre dipendenze e come luogo della nostra potenza come ricettacolo del mondo reale attraverso i sensi, come proiezione del mondo possibile attraverso l’azione” (R. Garaudy) lo accompagni dentro se stesso, lo accompagni a vivere coraggiosamente e autenticamente.





 

martedì 8 settembre 2015

Io amo le vite storte


E oggi, Martedì 8 Settembre, si riprende.
Non so ancora bene con chi, dei “vecchi” e “meno vecchi”, non so ancora se qualcuno di “nuovo” verrà a rimpinguare il clan Z.N.K.R.

Perché le Arti Marziali non tirano più come una volta, soppiantate da pratiche edonistiche più in linea con il narcisismo e l’estetismo dominante, tra l’ossessivo anelare ad un corpo scolpito come un bronzo di Riace, le agitazioni frenetiche dello Zumba e le varie tecniche corporee che gli U.S.A. smerciano in tutto il mondo.

Perché noi abbiamo rinunciato alla pratica sportivo – agonistica, che potrebbe attirare i giovani col miraggio di un trofeo o di una medaglia.

Perché, per come noi le proponiamo, prive di machismo muscolare, di riferimenti totalizzanti alla forza del fisico (1) ed alla preparazione atletica, affidandoci invece all’ascolto corporeo, al fare fisicoemotivo, al lavoro di muscolatura profonda ed articolazioni, esse sono un rebus da affrontare, una provocazione all’immagine generalmente conosciuta e condivisa del praticante di Arti Marziali, atletico e “fisicato”.

Perché comunque noi “ci meniamo”, lo scontro fisico c’è, eccome, il che tiene lontani gli “intellettuali” della pratica misticheggiante o le fanciulle, generalmente poco propense al sudore e ai corpi che si incontrano, si toccano.

Perché praticare Arti Marziali come Budo, ovvero terapia di conoscenza e individuazione, destabilizza, scuote forte il cuore, apre alle pulsioni profonde e istintive. Per molti, meglio scegliere un posto dove sudare e sfogarsi e stordirsi senza pensare, senza fare i conti con se stessi; anche se poi si torna, sfiniti nel corpo, a quella medesima vita, incontri, lavoro, affetti e relazioni, che è sempre lì a presentarci il suo conto e il suo pesante malessere (2), in attesa delle prossime ore di evasione in palestra. Un paio d’ore d’aria, prima di tornare in cella ? Una tirata di droga, di sostanza eccitante, del tutto consentita, anzi incoraggiata, dalla società del consumismo e del “giù la testa, prima di tornare nella palude  ?

Perché se io, il docente, il Sensei, mi rifiuto di ridurre la passione per la conoscenza marziale a semplice amministrazione di un sapere che non riserva più alcuna sorpresa in quanto “E’ uno dei nemici acerrimi del lavoro dell’insegnante: la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere sempre uguale a se stesso” (M. Recalcati), l’allievo si disorienta, a volte si spaventa. Lui paga e vuole “il servizio”, vuole le istruzioni, passo dopo passo, che lo conducano alla perfetta padronanza dell’Arte per cui ha pagato, che gli svelino il segreto per diventare Rambo o Bruce Lee, che scaccino le sue paure umane, così umane, per farne un robot, un individuo “senza macchia e senza paura”: patetico superuomo da fumetto.

E siamo ancora qua, a più di trentacinque anni dalla fondazione dello Z.N.K.R., da più di trent’anni in via Simone d’Orsenigo.
Allora, un grazie enorme al prezioso Giovanni e con lui a Giuseppe, Celso, Gianluca, Lupo, Roberto, Luigi, Marco, Monica, e mi scuso con chi ho dimenticato.
A loro che, venendo a sistemare e pulire il Dojo, oggi permettono anche a chi si è chiamato fuori, si è tenuto alla larga, di ricominciare il viaggio d’avventura insieme.
Viaggio di scoperta ed emozioni, di conflitto come linguaggio, di pugni e sudore e sorrisi.
Ricominciamo !!

 “Più originale è un pensiero, più ricco diventa il suo Impensato. L’Impensato è quanto di più prezioso un pensiero possa donare”
(J. Derrida)

 
1. Ho scritto appositamente forza “del fisico e non “fisica” perché sia evidente la differenza tra chi si muove nell’ambito ginnico e chi, come noi, invece attinge a piene mani dalle leggi della fisica. Fisica letta con le allusioni poetiche del linguaggio orientale ( terra, cielo, “come una barca sull’acqua”) o con le parole nude della nostra cultura “scientifica”, poco cambia. Per chi fosse interessato a saperne di più, un ottimo testo è “Le basi del metodo” di Moshe Feldenkrais.

 

2.Nel 2011 il 27% della popolazione europea ha sofferto di almeno un tipo di disturbo mentale “ (C. Risé)
Il 38,2 % della popolazione europea soffre nel corso della vita, di almeno un disturbo psichico” (C. Mencacci).
Questi sono dati che, ovviamente, si riferiscono solo ai casi conclamati e da cui restano, in genere, escluse tutte le forme di nevrosi di cui l’individuo soffre ma preferisce evitare di affrontare, ovvero quegli stati che non compromettono stabilmente l’adattamento sociale e la capacità di distinguere tra realtà esterna e realtà interna. La nevrosi nelle sue diverse manifestazioni (fobie, atteggiamento ossessivo compulsivo, continui stati d’ansia, umore tendente alla depressione, stress post-traumatico,reiterati sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione, ecc. )  è pertanto una modalità di relazione disturbata del soggetto con l’ambiente, per un modo di porsi della persona stessa che complica e depaupera la sua capacità di relazionarsi con gli  altri e l’ambiente che lo circonda, inducendolo ad azioni e stati d’animo a loro volta insoddisfacenti, portatori di malessere e di fuga dal prendere nelle proprie mani il proprio destino.








giovedì 3 settembre 2015

Liberiamo l’intelligenza


Trent’anni or sono, alle prese con la creazione del settore cultura in un comune dell’hinterland milanese e, in particolare, operando una serie di interventi nella scuola dell’obbligo tesi a proporre un rapporto con il cibo e la cucina che fosse fuori dagli angusti confini del ripetitivo e dell’ovvio, con l’equipe della struttura commerciale che sponsorizzava l’evento coniammo lo slogan “Tutti i gusti sono giusti”.

Fatto salvo ciò, ogni “gusto” implica conseguenze e relazioni diverse.

Una sera a casa, film “leggero”, per mediare i gusti di tutti e tenere conto della giovanissima età di nostro figlio, anche Monica e Lupo si sono rapidamente accorti che quel film era un’autentica sciocchezza ( per altro, la trama e la partecipazione di un povero guitto come tal Frank Matano avrebbero già dovuto dare loro un robusto avvertimento). Come penoso quel tal squinternato film a cui la coppia Lillo  & Greg, irrobustita dalla presenza di un’impalpabile Ambra Angiolini ( fulgido esempio di eterna raccomandata, passata tranquillamente dallo schermo televisivo, ove mostrava le scemenze erotico-caserecce di una teen ager pruriginosa, a calpestare qualsiasi linguaggio attoriale là dove, ora anagraficamente adulta, porta la sua pretesa professionalità di attrice) donava il timbro dell’imbecillità totale.
Attenzione, mi piacciono anche i film “leggeri”, le cosiddette “commedie”. Ho più volte scritto che nelle pellicole di Arti Marziali, classificate come “ B movie”, spesso ci sono autentiche perle di saggezza ed insegnamenti profondi.
Sono convinto che alcuni libri, recintati come per “ragazzi”, tipo Moby Dick,  Il Richiamo della Foresta, El Loco, dovrebbero essere avidamente letti anche dagli adulti come fonte di riflessione.

Ma, anche questo già scritto più volte, per citare Feuerbach, “L’uomo è ciò che mangia”: nutrirsi di certi “gusti” culturali piuttosto che altri, induce a coltivare valori, a tessere relazioni e pratiche di un certo spessore piuttosto che di un altro.
Ascoltare quotidianamente la musica “marmellata” spacciata da MTV o le anonime ( tra cinque, dieci anni, chi se le ricorderà più ?) lagne cantate da Alessandra Amoruso, Marco Carta, Paola e Chiara, Laura Pausini, che effetto fa su di noi, sul nostro sentire emotivo ?
Diversi scrittori, filosofi, neuroscienziati, psicologi e psicoterapeuti, si sono soffermati su quella che è stata chiamata la “mente meccanica”,  ossia quella mente automatica, priva del consenso dell’individuo, che opera per conto suo senza la sua approvazione.  Soprattutto, senza che l’individuo ne sia consapevole.
Questa “mente meccanica” ingoia e trattiene parole e suoni, persino concetti ed emozioni.
Essa, come ogni manifestazione della vita, non è di per sé e sempre negativa: grazie alla “mente meccanica” ripetiamo gesti basilari nel nostro vivere quotidiano, quelli d’ordinanza di tutti i giorni.
by Albiona
Il problema, grave, è quando per noia, superficialità, conformismo,  questa “meccanica” lasciamo che investa ogni nostro agire e sentire, ci adagiamo su suoni, parole, immagini su cui non interveniamo  ma introitiamo supinamente, senza una membrana filtrante, senza masticazione  completa di gusto, sapore ed odore. Semplicemente, questo cibo “culturale”, libro, film, musica, lo buttiamo giù per la gola. Un processo di introiezione del tutto privo di sensibilità e consapevolezza.
Che però fa i suoi danni, che plasma sicuramente il carattere e, probabilmente, pure la personalità.

by Delun
Roberto Cerri, studioso e docente di musica, nonché appassionato di Yoga e meditazione, ha scritto pagine davvero interessanti, per esempio, sulla funzione della musica “parassita”, quella che ci propinano nelle sale d’aspetto, al bar, sulla spiaggia o nei negozi.
Ha messo a nudo la ripetitività di melodia, ritmo ed armonia. Egli scrive che “ nella musica parassita non esiste variazione, se non un elementare variazione del tema appena camuffata. Non c’è un vero ritmo, ma una ripetizione ossessiva del battito, della melodia e dell’armonia” ( Per caso, vi ricorda qualcosa ? Magari la musica da discoteca con cui si stordiscono giovani e non più giovani ? Oppure quelle canzonette del tutto identiche le une alle altre  e che sappiamo differenziare solo grazie al volto del cantante ?). Continua spiegando come tale grossolanità musicale induca ad identica grossolanità e ripetitività emotiva.

by Maures
Ecco, fermiamoci a pensare su quali libri leggiamo ( ma, leggiamo ?), quali trasmissioni televisive e film guardiamo, quale musica ascoltiamo. OK, la leggerezza, l’insulsaggine, nel farsi la barba, sotto la doccia, in qualche ora di “stacco”, di musica, immagini e parole superficiali e ripetitive. Ma quando queste ultime, e ci metto pure le relazioni fatte di maschere e inibizioni e parole meccanicamente espulse e distrattamente udite, oltre ai momenti saltuari e oltre alle situazioni imposte dal vivere comune, investono massicciamente la nostra vita, divengono la massa, divengono egemoni, che ne è , che ne sarà, di noi e della nostra consapevole e creativa adultità ?
Ogni nostro gesto, dunque anche leggere un libro o ascoltare una musica, privo di desiderio, di erotismo, è solo routine, automatismo svuotato di ogni senso, fluire di un tempo nato già morto. Ci riduciamo da soggetti, da attori, a comparse, a contenitori inerti e passivi da riempire di contenuti omofoni.
Cibo non saporito, musica ripetitiva, film malamente recitati dalle trame e dalla sceneggiatura inesistenti, libri che sono romanzetti da “Biblioteca delle signorine”, altrimenti detti “Harmony”: quello che già Pasolini definì “Il nuovo fascismo della società dei consumi”, quello della società della plastica, del consumo immediato e superficiale proprio di occhi vuoti di un soggetto depresso.

Eh no, accidenti, liberiamo l’intelligenza, la nostra vitalità, la sana spinta a cercare e volere altri esseri umani che siano concreti e veri, il nostro desiderare e capire !!

 “Un pensiero è come un seme deposto nel terreno, poiché fa nascere un raccolto corrispondente, si moltiplica e cresce”
(N. Hill)