mercoledì 23 dicembre 2015

Stille Nacht 2015


“Portare una cintura nera non significa che sei imbattibile.
Significa che non hai mai mollato,
hai lavorato oltre il dolore,
hai superato le delusioni,
non ti sei perso nei tuoi dubbi,
hai affrontato le tue paure,
e hai imparato abbastanza
per renderti conto di quanto poco,
per ora,
conosci realmente”

 

 

Gli allievi praticanti
La sala, immersa nell’oscurità. Il silenzio, scosso dai respiri e dallo scalpiccio dei passi.
Ognuno di noi saprebbe certamente nascondersi dentro il buio che sta fuori, dentro il buio che sta dentro, quello che danza incauto dentro e fuori dalle righe dei guai e delle paure.
Ognuno di noi potrebbe rubare la luna rossa della rabbia e del dolore.
Invece siamo qua, a masticare e sudare di Kenpo Taiki Ken.

Nessuno parla: questa sera è il silenzio a farla da padrone. Nessun futuro trionfale né piccola o grande impresa da appiccicare sulla bacheca del villaggio degli scemi, né magia di moda di stampo orientale.
Solo masticare e sudare di Kenpo Taiki Ken.

Troppi i mesi senza praticare perché le movenze di Tina non siano appesantite, eppure lei non molla, si impegna, c’è. Forte ringhia il “motore” di Giovanni, che ogni proposta è una salita ripida, scoscesa, a cui lui si accosta deciso a capire, a provare, a riuscire. Sento gli sforzi  sinceri di Renato, vedo Valerio immerso nei suoi giochi di bacino, Francesco si sbatte concatenando pugni e calci, Celso ansima, suda, colpisce più forte che sa, Davide cerca un’ardita coniugazione tra la sua rapidità e la forza di gravità che lo trattiene al suolo.
Ognuno mastica e suda di Kenpo Taiki Ken
La buona tavola

Questo giorno è un altro giorno, nessuno lo può saltare, tantomeno chi è qui stasera, chi è qui a ripercorrere la nascita per poi morire. Due ore di buio e di silenzio, una candela rossa accanto ad una statua sfregiata da vernice che colora di sangue. Nascere per poi morire, questo è Stille Nacht, il Natale, l’anno nuovo del guerriero che mastica e suda di Kenpo Taiki Ken.
E poi rinascere, forse, probabilmente, diverso.
Senza un alito di vento fuori, solo vento forte, di tempesta, dentro. Vento che cambia il tempo, le  stagioni come il suo stesso scorrere. E lo fa solo per sempre,  in un  istante che resta lì eternamente. Paradosso, schiaffo in volto ad ogni logica, ad ogni sequenza matematica.

La vita non ascolta, mai. Allora siamo noi a lanciarle il guanto di sfida, persino a sfidare noi stessi, tra immense posizioni di Chi Kung e repentini spostamenti ad aggredire. Sfidiamo il monotono ripetersi delle cose e degli eventi, la prigionia di fughe e diversità che sono solo sparute ore d’aria in un ergastolo infinito, le colpe proiettate sugli altri e il volgare consumo senza uso.
Sfidiamo il nostro essere bambino capriccioso che pretende sempre attenzioni ed amore incondizionato; il nostro essere adulto, egoista irriducibile, incapace di condividere il mondo suo  e degli altri; il nostro essere genitore sistematicamente punitivo o paternalista, asfissiante o assente, sovente squalificante.
Sfidiamo, mentre mastichiamo e sudiamo di Kenpo Taiki Ken.

Si accendono le luci e con loro i sorrisi e le parole.
Abbiamo lottato, non certo per un compenso, e quale mai ?
Abbiamo  lottato per amore, per conoscenza umana di noi stessi e per l’erotismo sano e pieno che dà il vivere. Vivere da guerriero, a vegliare quando gli altri dormono, quando costoro  fanno del loro giorno un’unica, continua, indistinta notte.

La tavola offre cibo e birra e vino.
Attorno, i guerrieri dello Z.N.K.R., uomini come tutti. O forse no.

 
Grazie a tutti coloro che, pur avendo altro da fare, hanno scelto di condividere Stille Nacht.

 





lunedì 21 dicembre 2015

Come ali nel vento


“Una grande nave
rimorchia una piccola nave
nella nebbia”
(Masaoka Shiki)

 

E sarà sentore, calore, di amicizia, mentre siamo una ventina e più attorno ad una tavola.
Grazie all’intraprendenza di Donatella e Giuseppe, anche quest’anno si ripete quella che è ormai la “tradizionale” cena di Natale.
Cena che vede riuniti attorno ad un tavolo amici e praticanti Arti Marziali ed ex praticanti e fidanzate e mogli e figli, alcuni già cresciuti altri che muovono ora i primi passi nella vita, e genitori di questi figli.

La verità, la verità di un rapporto che per molti di noi si snoda lungo un arco di trent’anni, ci chiama, qui attirata dal sorriso innocente di un bimbo o dal burbero borbottare di chi ormai avanza con i capelli e la barba bianchi.
A lei apriamo la porta della simpatia, dei buoni sentimenti, dell’accoglienza.
Lei che è amicizia vera, profonda.

Vivere ci ha portato e ci porta da un luogo all’altro, da un incontro all’altro. Eppure nessun ostacolo, nessun fraintendimento, nessun oblio, ha sottratto cuore e corpo ai fili forti di quest’amicizia.
Amicizia che ci scorre accanto, mite e sorniona insieme, colma di differenze e insieme pervasa di richiami al benessere che dà lo stare insieme.

E’ quest’amicizia, sugli occhi sgranati di Marta, adolescente curiosa ai primi richiami della femminilità, nell’inconfondibile voce di Claudio, nell’armeggiare confuso di Matteo, negli abbracci teneri e delicati di Barbara, nello stare insieme di tutti, a riunirci attorno ad una tavola riccamente imbandita, condividendo il buon cibo e l’alcool che scorre generoso. E dove  se no, se non a tavola, nei piaceri di gola e pancia, ci possiamo ritrovare noi che, chi dentro o chi gravitando attorno, chi per anni e chi per pochi mesi, siamo stati Z.N.K.R. ? D’altronde, ogni buon taoista è un amante del buon vivere !! Ogni artista del combattere, del “dare la morte”, non può non essere un artista del buon vivere !! Se mangi e bevi solo per nutrirti e non per godere del mangiare e bere, che vitalità, che erotismo del vivere, puoi mai coltivare ?

Sono le due di notte quando, con Monica, Lupo e Kalì, ci lasciamo la porta alle spalle.
Resta la fiducia di riaprirla e varcarla altre ed altre volte ancora; se non quella stessa porta, ogni porta che ci riconduca dagli amici e dalle amiche.

Grazie ancora, Do e Giu.

 “Ho imparato che le persone dimenticheranno quanto detto, quanto fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”
(M. Angelou)

 





giovedì 17 dicembre 2015

Star Wars 7


Da vedere, per immergersi in due ore di spensierata assenza da ogni problema, due ore di assoluto svago, di immagini enormi ed enormi “panzane. La Walt Disney la fa da padrone e ci mostra il “lato chiaro” della vita, le iperboli e gli eroi di celluloide, inserisce battute ironiche e figure a tutto tondo.

Chi si ricorda i patemi d’animo, anche solo accennati, le mani a scavare nel contorto animo umano, l’Ombra e i suoi richiami delle opere di Lucas, sia, invece, qui disposto ad accogliere una simpatica favola per bambini. Bambini ben pasciuti, tenuti al caldo e protetti, accuditi  ogni ora del giorno da quella instancabile mamma robot che è la televisione, con un progetto di vita che, presumibilmente, li porterà, quando avranno “dieci centimetro di pelo sotto le ascelle”, a continuare un’anaffettiva e priva di erotismo vita nel gregge.  

Allora … via le mani dagli occhi, ma soprattutto via dai pensieri, dai tormenti che sfondano emozioni e ti mangiano l’animo.
Diventa semplice far  finta che niente ti appartenga, che il tuo respiro sia solo meccanica di mera sopravvivenza.
Tutto accade, sullo schermo, qui ed ora, e ti viene elargito, in elegante carta patinata, come un dono di Natale.

Qualche critico, nel disperato tentativo di sfoggiare un po’ di sapere colto  (e che diamine, avrà pensato, sono un critico cinematografico e dunque pur sempre un intellettuale) e regalare al film una minima patina di pensiero adulto e critico, ha preso la figura di Ky Loren, il nuovo cattivo, come esempio di tormento tra Bene e Male, e per fortuna che non si è spinto nelle paludi del complesso edipico per spiegarci l’uccisione del padre. Poi c’è chi ha agitato le immagini di violenza di massa sui villaggi per celebrare un presunto crudo realismo, una “violenza genocida effettivamente percepibile”.
Troppo poco, e troppo generosamente appiccicato ad una pellicola di puro svago, per colpirmi davvero.

Che di svago, e pure piacevole, si occupa Star Wars 7. Si tratta solo di decidere se ti vanno due ore di vacanza nel fantastico mondo zuccheroso della Walt Disney.
I bambini, eravamo in sedici di cui dieci tra bambini e ragazzi, se la sono goduta allegramente.
Io pure.

Certo, nella sala accanto davano Moby Dick. Però, se ricordo un libro affascinante e tormentato, altro che lettura per ragazzi come a indicare un testo superficiale, piuttosto un corposo addentrarsi nelle viscere e nell’oscuro dell’uomo, non vorrei trovarmi davanti un film che sia la solita “caramella” al miele dolciastro per fan di face book, battitori insaziabili e compulsivi sui tasti del WhatsApp, rincoglioniti  da una società di un’unica stagione sempre quella, un unico pensiero ( o “pensiero unico”), un unico gusto. Un “unico”, insomma, che lasci sopravvivere mediocremente senza mai rischiare di vivere.
Mah, ci penserò.

lunedì 14 dicembre 2015

Cialtroni in vendita


“Mi ha colpito” disse, quando riuscì a mettersi seduto.
Il vecchio era nell’angolo del ring, appoggiato alle corde.
“Non ascoltare mai stronzate come uno che ti dice ‘Attaccami’. E’ da idioti. Rischi di finire in una situazione che potrebbe non piacerti. Fai il tuo gioco”.
“Ma me l’ha detto lei”.
“Giusto, ragazzo, te l’avevo detto io. Questa è la prima lezione. Pensa con la tua testa e non ascoltare un coglione che ti dà consigli; e, come ho detto, fai il tuo gioco”.
(J.R. Lansdale)

 

 Da qui, nel solco che è grande scavato in quasi quarant’anni di pratica, è tutto più triste, più greve, più di quanto non lo sia già.
La fortuna guadagnata in ore ed ore di fatica e sudore e tempo e soldi spesi  ed energie profuse a tutto corpo, mi dona il privilegio di guardare cialtroni e disgraziati come da una balconata.
Se mi volto indietro, quarant’anni di distanza, ero un “pischello” di vent’anni e poco più, armato solo di tanta rabbia e violenza, giocata per strada, tra pestaggi di gruppo e corpo a corpo, sprangate date e prese, un coltello in tasca qualche volta in mano, la cariche della “pula” e gli agguati ai “fasci”.
E’ andata come è andata, altre volte l’ho, in qualche modo, raccontata. Poco dotato alla motricità, progressi lenti, quanto lenti, mai mollato un allenamento o una gara, mai tiratomi indietro dal fare un’esperienza nuova che mi facesse intravedere una possibilità di migliorare, di imparare sui pugni  o sui calci, sulle schivate e sulla potenza nel colpire.
E le soddisfazioni, quelle nascoste dietro le ore in cui ero messo a rifare forme e gesti già imparati, come fossi uno scolaro ripetente, un po’ più tardo degli altri, per poi trovarmi davanti il Maestro che mi chiede di insegnare ai corsi nei giorni in cui lui non c’è. Ecco cos’era quel purgatorio di ripetizioni della “scuola dell’obbligo”, era il viatico, la formazione per accedere all’insegnamento al posto del Maestro.
Quella dell’altro Maestro che, a cena a casa mia, semplicemente mi chiede di insegnare a mia volta, ai miei allievi, quanto lui va diffondendo, di abbracciare il suo stile la sua Arte perché, correggendomi nel portare l’onda, vede che il mio praticare è proprio come e quel che lui vuole.
Quella degli occhi stupiti, e se ne accorge Monica mentre duetta con me, di chi mi sta attorno, in una palestrina sperduta in terra d’Emilia, poi viene a chiedermi dove e come ho imparato e se può raggiungermi a Milano per imparare a sua volta.
Quella degli scambi con atleti campioni, di molto a me superiori, che vogliono da me quello sparring deciso e senza fronzoli che altri non sanno loro dare.
Queste e altre, poche ma sentite, le soddisfazioni. Tutte strappate a forza, a fatica, da me che resto ancora oggi ospite poco desiderato tra gli invitati alla festa della buona motricità, che resto ancora a faticare e penare per carpire e capire un movimento e come meglio fare.
Soddisfazioni, queste sì tante, nel proporre, nel guidare chi entra allo Z.N.K.R., digiuno di qualsiasi pugno o leva articolare o già messosi alla prova da anni  con i guantoni del Full Contact o gli stili di questo o quel Karate.
Forse, l’allievo arriva solo per quella che altri chiamano fortuna ma io sto con chi ne nega l’esistenza, affermando invece che non è “fortuna” bensì  è l’intuito che incontra l’occasione, forse è la voglia di uscire dal gregge, forse è una banale paura di chissà quale aggressione, comunque ci godiamo il percorso, il momento di anni o di pochi mesi. Ci godiamo  tutto ciò che lasciamo e lasceremo ancora , e anche quel poco, ma così prezioso, che tra un pugno ed una bastonata, le sere nel chiuso del Dojo e quelle a praticare sulla neve o sulla spiaggia, una cena in massa e due chiacchiere tra pochi, schizzati sotto un cielo nero d’inchiostro, andiamo ad incontrare.
Perché non basta essere un buon praticante per essere anche un buon docente e ancor più complesso è essere un buon conduttore di un gruppo. Così mi beo, praticante concedetemi almeno discreto se non eccelso, di aver saputo trovare, tra errori e cadute, un modo così prezioso ed efficace per capire chi ho davanti ed accompagnarlo nel sapere delle Arti; di più, mi beo di aver saputo, con il contributo di tutti, ma proprio tutti, costruire un gruppo che è clan, che è famiglia allargata, in un posto che è sì Scuola e non solo palestra o club. Una Scuola di vita.
E vedo gli allievi, negli anni, crescere e molti altrove andare. Ma ovunque, resta loro addosso quell’imprinting, quel tocco che sa ed odora di Z.N.K.R., che, poco o tanto che sia, resta loro dentro e contribuisce a farli ovunque apprezzare.
Ora, tra maestri e docenti e professori e guru di ogni specie, guardo chi si arrampica sugli specchi, incauto esegeta di un parkour minore; chi, praticante magari ottimo, non ha niente di meglio da dare, agli allievi, che il suo sarcasmo e la sua boria a coprire l’incapacità di accettare il proprio malessere invece vomitandolo su chi davvero in lui crede e si affida per imparare, se tempo, energia e .. soldi gli va a dare; chi ripete monotono formule vecchie e vecchie panzane per continuare un tempo che è morto e sepolto e non ha più niente da dare; chi inventa, fa e disfa, apprendista stregone di  formule e pozioni che promettono ai calvi la ricrescita miracolosa dei capelli e ai grassi di dimagrire in un giorno solo.
Lo so, sarà che me ne sbatto della gloria, della fama e della riverenza di maniera; sarà che, scegliendo di non fare della docenza la mia professione, ovvero quel che da cui dipenderei per portare la “pagnotta” a casa, sono del tutto libero di scegliere sempre e comunque il meglio per i miei allievi, pochi o tanti che siano; sarà che di cialtroni, disgraziati, apprendisti stregoni, maestri italiani che parlano coi verbi all’infinito per sembrare giap, energumeni in tenuta militare che il militare nemmeno l’hanno fatto o se l’hanno fatto erano di presenza in fureria  o a marciare, campioni di un titolo guadagnato in mezzo ad altri tre concorrenti, se c’erano e quando c’erano questi tre, ne ho incontrati tanti; sarà che, come mi disse, più o meno, un amico ed allora allievo “Non è che sono diventato acido, è che, con gli anni che sono passati, non ho più tempo da buttare per le stronzate”; sarà per tutto questo ed altro ancora, che ai cialtroni e ai disgraziati, anche comprendendo che dietro la maschera da duro, magari portano un bambino ferito nell’orgoglio, forse da un padre assente o squalificante, portano una debolezza che fa quasi ( quasi) tenerezza, non ho più niente da dare. O poco, e in cambio di quel poco, ora sono io a volere molto.
 
“per il bambino gli adulti sono degli stronzi
per l’adulto i bambini sono delle piaghe
Per il genitore i bambini e gli adulti
sono dei disgraziati che devono crescere”
(G.C. Giacobbe)
 
Post illustrato con immagini del mio attuale ufficio
  
 
 

martedì 1 dicembre 2015

L’amore per se stesso


… finché non ti deciderai a crescere, ad avere stima in te stesso, a coccolarti da solo, non diventerai mai un adulto.
Nessuno di noi è come l’altro, né nell’aspetto né nel cuore; nessuno di noi vive come l’altro. Pare difficile ad accettarsi ma è così, che ognuno di noi canta e danza dentro un mondo tutto suo, dove le ombre, i chiaroscuri e le luci sfoggiano colori e tonalità diversi per ognuno. Poi, certamente, la melassa del conformismo ci avvolge tutti ( beh, quasi tutti ….), pecore in gregge per riti tutti uguali, beceri sostenitori del “pensiero unico”.
Ma ognuno di noi sa, anche se fatica ad ammetterlo, che è unico in questo mondo.
Qualcuno, ci prova a tenere testa, a vivere una vita di confine, fuori dalle consuetudini, ad attraversare il mondo incidendo segni e segnali in ogni cosa, in ogni relazione che incontra. Che appaia agli sguardi o si nasconda nell’antro della penombra, qualcuno c’è ancora a camminare solitario tra noi.

Impugnare un katana nel terzo millennio, italiani di nascita e di paese armati di acciaio    medioevale che viene dal Giappone: pare una follia, è uno sberleffo al conformismo imperante.
E’ imperio a mai dimenticare chi sei, perché sicuramente il mondo attorno a te non lo dimenticherà. Allora trasforma chi sei nella tua forza, riconoscendone l’Ombra, così non potrà mai essere la tua debolezza.
E’ sfida all’ovvio, allo scontato, che è tale anche quando si traveste di quell’eccentrico che è sempre fuga in un altro gregge, ancorché diversamente colorato: trasgressioni di consumismo materiale e culturale per una pratica dell’obbedienza.

Nel Dojo, i guerrieri in keikogi si muovono piano, portando in superficie, cuore che pulsa forte e mani potenti, il meglio che possono. Una pratica d’acciaio mortale che prende la mano, frugando in un cuore solitario che batte solo per ognuno di noi, per poi concedersi al cuore grande del gruppo. Minuscolo gruppo di ultimi rimasti a combattere per conoscersi, crescere e donarsi adulti consapevoli. Come probabilmente, da qualche parte, fanno altri gruppi a noi sconosciuti, ai più sconosciuti, perché anche loro come noi privi di belletto e cipria a fingersi star. Quel “belletto e cipria”, comunque li si chiami, atti a mistificare una qualità, a vendere un prodotto, come società dei consumi reclama.
“Belletto e cipria” per giustificare una personalità che non si è liberata di un padre castrante e disconfermante e perciò abbisogna di gonfiare il proprio ego e di squalificare chi ha accanto, figli, partner o allievi che siano, nella ripetizione di un “copione” servo e modesto; di celare la propria vulnerabilità dietro un trucco osceno e pesante, invece di farne la fragile forza intima del proprio cuore.

Se, come recitano i testi di scherma,  la lama è un prolungamento del tuo braccio, allora puoi forse lasciar cadere il tuo braccio ? Certo che no !
Così si lotta, nella sala di una Milano che sta altrove, dentro a duelli in cui nessuno mastica pietà, quando resti solo perché nessuno c’è ad abbracciarti e proteggerti, e ogni cosa, suono e gesto pare prendere il volo mentre tu stai volando sempre più giù. Fino a schiantarti al suolo per rimetterti in piedi e riprendere il cammino: cammino di spada e vitalità, di erotismo del vivere e frugalità dei costumi. Cammino di guerriero.

 

 
“Esiste un solo dio e il suo nome è morte. Ed esiste una sola cosa da dire alla morte: non oggi”
(G.R.R. Martin)