mercoledì 30 agosto 2017

Un viaggio immodesto



 

 
LA PRIMA PARTE
si snoda in terra friulana

 

- E chi l’avrebbe mai detto di entrare in un gioiello minuscolo e prezioso come si è rivelata essere Cividale del Friuli?
Lunghi occhi di luce chiara ne illuminano strade e case. Mura solide, la cui bellezza m’incanta, come femmina dagli anni trascorsi senza che il dolore e le ferite del vivere ne abbiano scalfito il fascino, posandone invece su pelle e portamento la dignità di una sovrana.
Il silenzio e la pulizia e il parlare sommesso.
Pare quasi di attraversare un sogno, di passare  senza che io abbia lasciato un passato, di perpetrare un danzare, lento e lieve , in un tempo immanente, senza prima né dopo.
Sono i musei, le chiese, gli unici a dirmi che c’è stato un passato e, giocoforza, ora c’è un presente e, da qualche parte, un futuro.
L’Ipogeo celtico, sotterraneo, misterioso, anfratti di roccia, fango al suolo.
Visita intima, abbiamo chiesto le chiavi d’ingresso, solo in tre: io, Monica, Lupo e, ah già, la piccola Kalì, porta richiusa alle spalle.
Respiriamo il senso di un tempo lungo, lunghissimo, dove l’aggettivo “secolare” ora sì acquista il suo significato. Dove il senso di “storia” si fa senso profondo, a entrarmi nel ventre, a battermi nel cuore.
Ma anche il Ponte del Diavolo, leggenda di uomini che, incapaci nelle loro forze, al Diavolo chiesero aiuto. Solo un caso beffardo impedì che lo sciagurato patto stretto con il Signore delle Tenebre (“Possiederò l’anima del primo che attraverserà il ponte”) fosse rispettato.
Dai, Monica, fermiamoci a vivere qui!”. So già la risposta, che arriva immediata.
D’altronde, io e Monica, viviamo immersi in un continuo vorticare del Tao, bianco e nero, nero e bianco, coppia di opposti che insieme si attraggono e si respingono, gusti diversi, diversi in mille e mille aspetti e scelte e, per questo, finché le forze centripete avranno la meglio, INSIEME.

- Non manca una giornata intera dedicata ad Aquileia.
Quando leggo che è la “Piccola Roma”, mi viene da ridere e penso “Sì, come quella conoscente biondona che chiamiamo la ‘Marylin Monroe de noiatri’”
E, ovviamente, mi sbagliavo.
Aquileia  è davvero una piccola Roma, con resti di epoca romana, ottimamente conservati, a cielo aperto e disseminati ovunque, che ovunque ti giri trovi resti dell’antico impero romano.
Una lunga passeggiata tra i resti del porto fluviale, ci conduce fino al centro della città: chiese ed ancora scavi di rara bellezza.
Il Museo paleocristiano di Monastero è l’esatta rappresentazione di come deve essere un luogo di memoria per poter attrarre attenzione e partecipazione di ogni tipo di visitatore.
Un piccolo capolavoro in cui ci perdiamo e riperdiamo, in cui mi entra nella pelle il quotidiano del vivere di sconosciuti, i loro matrimoni e la loro morte, i loro litigi ed i loro amori.
Ovunque memorie di una civiltà che fu, a ricordarmi quanto siano piccole, minuscole, le briciole che compongono la mia vita e che, pur briciole che siano nel grande fiume della vita e dei secoli, dei millenni, sono però tutto quanto io abbia oggi e che mi rappresenta. Perciò, briciole preziose, uniche.

- Queste piccole, pregiate vacanze friulane, attraversano altre città incantevoli, tra l’imponente piazza di Palmanova e l’incredibile sensazione di solcare in auto il mare, a pelo d’acqua, per lasciarsi abbracciare dal porto e dalle case di Grado. Attraverso la burbera ma calorosa accoglienza della gente friulana; b & b incastonati in colline ubertose e distese di verde; cibo abbondante e vino di qualità.
Attraverso la commozione, il dolore, del Sacrario di Redipuglia.
Ricordo che brucia, giovani  immolatisi a difendere un suolo, una patria, dei valori.
Mentre qui, aitanti giovanotti dalla pelle di ogni colore scuro, lasciano morire la loro terra e scappano, inferociti nelle pretese di un lavoro e di mille comodità e garanzie, invadendoci ad ondate senza sosta, lassù, nel Sacrario di Redipuglia, il ricordo di chi non è scappato, di chi è rimasto a combattere perché io, tu, possa prendersi un gelato e fare figli, scegliere una vacanza e leggere un libro.
Come successe alle migliaia di uomini e donne che, oppressi dalla feroce dittatura fascista, non scapparono a pretendere sicurezza altrove, ma restarono a combattere, a morire, costruendo con il loro sangue quelle sicurezze, quegli agi, che i giovanotti dalla pelle scura ora pretendono anche per sé.
Sotto il portone dove abito, c’è una corona che ricorda la morte, il sacrificio, di due giovani ventenni antifascisti. Ogni volta che vi passo accanto mi commuovo, mi sento un privilegiato perché io ho amato ed amo, ho gioito e sofferto, in una parola ho vissuto ed ancora sto vivendo, mentre loro ben poco hanno goduto in un paio di decenni.
La libertà di vivere, mi insegnano costoro ed i morti del Sacrario, la si conquista nella propria terra, non la si pretende scappando. Lo devo anche per questi giovani morti per me, per te.
Ma questi sono i tempi della codardia e della sig.ra Boldrini, dei politici abbronzati e in giacca e cravatta che sentenziano di accoglienza e società multiculturale mentre vivono in luoghi sontuosi, protetti dal loro potere e dalle loro sfacciate ricchezze.
Un pensiero beffardo immaginare la sig.ra Boldrini vivere una vita da impiegato a 1.200 euro al mese in quel di viale Padova o piazzale Gabrio Rosa, pendolare sulla linea ferroviaria Milano – Mortara.
E, “intanto”, là, tra le montagne del Friuli e non solo, come anni dopo nelle stesse montagne o in altre, in città e paesi, italiani a magliaia morirono, sangue e suolo, mentre qui, ora, continua l’invasione dei codardi nella loro terra, ma spacconi e prepotenti nella nostra. Qui in Italia, dove grandi collusioni politiche, economiche  e mafiose; interessi ladri di italiani stessi e malaffare spicciolo; buonismo di chi ha sulle spalle, con il peso volgare della pedofilia diffusa e protetta, anche quello della spinta alla procreazione incontrollata, che i metodi anticoncezionali hanno ragione cristiana in Europa ma non in Africa, prosperano e si ingrassano anche sulla pelle di questi poveri disgraziati in fuga.

 

LA SECONDA PARTE
si avvia a rilento, colpito io nelle “parti basse” da un male tipico dei maschi di una certa età, che mi inficia il normale fare.
- Ciò non mi impedisce, raggiunti da Giovanni ed Elise in compagnia della loro vivace Luce, di andare insieme là, sulla diga del Vajont.
Tragico disastro voluto dall’incuria e dall’insaziabile sete di denaro dei soliti uomini di potere e senza scrupoli. Duemila morti, di cui centinaia i bambini.
Un’opera che là non doveva essere fatta ma là fu fatta. E la natura diede, 1963, il suo tragico responso, scaricando tonnellate di pietre e massi, sollevando un’onda gigantesca, radendo al suolo interi paesi, uno dopo l’altro.
L’orrore profondo che mi prende le viscere convive con il senso di inutilità di quanto accaduto: nulla impararono gli uomini di potere da quel genocidio.
Negli anni a venire, negli anni che sono questi, altri uomini di potere, chi apertamente e chi nascondendosi dietro alle leggi del “mercato”, hanno perpetrato altri crimini, grandi e piccoli.
Ma sempre innocenti, uomini, donne e bambini, incolpevoli, sono morti per saziare l’ingordigia e sete di denaro di pochi uomini di potere: la nube tossica a Seveso, le scorie di fonderia altamente tossiche smaltite illegalmente nel veneto, i rifiuti ed i roghi tossici nella “terra dei fuochi”, i veleni ammorbanti dell’ILVA di Taranto che hanno diffuso tumori tutt’intorno, la discarica di Bussi nel pescarese …
D’altronde, nella società dell’effimero e del “consumo senza uso”, dell’apparire forsennato e ridicolo su fb e dell’egoismo diffuso, della frustrazione e dell’invidia di massa verso chi ostenta ed ha di più (1), ovunque, le pecore abbondano, belanti e pronte ad essere tosate, mentre “Lor signori” se la ridono a crepapelle e preparano nuovi disastri, nuove eclatanti o silenziose stragi massa.

- I giorni in compagnia degli amici proseguono sereni, tra riflessioni profonde e chiacchiere amene, un “mezzo e mezzo” da Nardini e la scoperta di una Elise docente di matematica impeccabile, una gita in uno dei tanti laghi che circondano Bassano, qualche bicchiere di buon vino bianco e ipotesi di corsi marziali e di benessere nell’abbiatense.
Gli abbracci, la sera, sotto una volta di stelle luminose: Arrivederci a Milano!!

- Il libro di queste giornate estive è “Psicologia della paura”, di Anna Oliverio Ferrario.
Mi colpiscono queste pagine: “ Contatto fisico: la persona spaventata non si limita a sottrarsi al pericolo ma può cercare di raggiungere qualcuno che lo protegga e lo conforti attraverso un contatto fisico. E’ il caso, per esempio, del bambino che inseguito da un cane salta tra le braccia della mamma; ma è anche il caso dell’adulto che dopo un grosso spavento cerca conforto in un abbraccio. Di fronte a situazioni minacciose i bambini cercano istintivamente quel contatto fisico rassicurante a cui sono abituati fin dalle prime fasi della vita, tant’è che quando nei primi anni di vita questo tipo di conforto è stato insufficiente essi appaiono insicuri e ansiosi, a volte bisognosi in maniera eccessiva della presenza materna in una età in cui potrebbero ormai fronteggiare le normali separazioni quotidiane. Il problema di questi bambini è che non sono riusciti a interiorizzare quel senso di sicurezza di base che consente di affrontare autonomamente tante diverse situazioni di vita quotidiana.”
Ho sempre pensato che la giocosa voglia di lottare, di spingersi al suolo, fosse semplicemente dettata da una infanzia in cui tali giochi “maschi” fossero, per diversi motivi: madre apprensiva, scarsa o nulla vita “di strada”, assenti e/o vietati, e così ci fosse, finalmente, il piacere liberatorio di recuperare, pur adulti, una pratica giocosamente maschia.
Ora, però, mi sovviene una riflessione azzardata, forse irriverente.
Quest’ansia di voler lottare, ricercando, in uno scontro, subito il contatto corpo contro corpo, questo piacere nell’avvinghiarsi e stringersi l’un contro l’altro, quanto rimanda alla distanza infantile da un padre assente o iper – giudicante ed alla vicinanza ad una madre iper – protettiva e iper – accudente?
Chissà se la vita privata di costoro, degli amanti del buttarsi l’uno nelle braccia dell’altro, non veda, quand’anche adulti, una madre, o una moglie – madre, a sostenerli emotivamente, economicamente, in un habitat maschile dai contorni perlomeno incerti quando non ambigui?
Lo so, pare una riflessione paradossale, ma …para doxaaffermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile”.
O forse è solo una superficiale elucubrazione che mi è venuta così, di getto, impigrito dalla brezza mattutina e dal cielo azzurro sopra di me.

- I giorni si susseguono.
Una gita ad uno dei più bei laghi d’Italia, il lago di Braies, incantevole, tanto che non mi sarei stupito di vedere danzare sulle acque qualche eterea ninfa. Da tornarci assolutamente.
I momenti di formazione marziale, soprattutto volti al Chi Kung ed al Tai Chi Chuan.
Le passeggiate in centro Bassano e nell’antico palazzo settecentesco che ospita la libreria Roberti; ad occhieggiare  i coltelli esposti nel negozietto di piazza Garibaldi; a bighellonare  sotto le mura di  ville austere, mentre il fiume Brenta ci scorre accanto; una camminata lungo gli argini del torrente Musone e una cena alla veneta presso la Caneva, la “cantina” che si affaccia nei pressi del Terraglio; una serata a Vicenza, il cui centro storico è tanto bello quanto affollato di vitaioli affaccendati a chiacchiere e bevute (2).
A giorni, il ritorno a Milano.
Beh, sono state le mie ultime ferie estive… dal prossimo Maggio, sarò in pensione e, dunque, SEMPRE in ferie!!

- Purtroppo, il “male tipico dei maschi di una certa età” ha il sopravvento e mi mette letteralmente in ginocchio, anzi, ripetutamente e dolorosamente in bagno.
Una visita specialistica in tutta urgenza, il rientro a Milano: quattordici giorni di letto e riposo, dieta in bianco, medicinali “a manetta”.
La “bilancia del corpo umano”, come viene chiamata quella ghiandola che mi sta torturando, ha dato il segnale che ogni limite l’ho davvero passato.
Allora, come dicono i taoisti: “Da una disgrazia, una opportunità”,
Due settimane di formazione marziale mancata, diventano, quando il dolore si è fatto meno lancinante, due settimane di pratica sulla postura: quando cammino per casa, quando mi siedo a leggere, quando mi sdraio sul divano a stordirmi di TV.
Diventano preparazione ad una pratica alimentare dove gli eccessi, una volta guarito, saranno tali e non la regola; dove imparare a dormire almeno sette ore per notte.
Diventano un altro, faticoso, passo nel mio cammino personale, di vita e marziale, incontro ad un tramonto che sarà bellissimo.

 

“Non esistono testimoni tanto terribili o accusatori impalcabili, quanto la coscienza che abita nell’animo di ciascuno”
(Polibio)

 

1 Personalmente, cresciuto in una famiglia economicamente modesta; in anni in cui frugalità e rispetto dell’uso consapevole erano valori ancora ampiamente diffusi; formatomi, tra il ’68 e gli studi e la militanza politica prima ed il percorso Gestalt dopo, una coscienza sobria e capace di dialogare con me stesso senza proiettare sugli altri le mie mancanze e debolezze; non sento un gran che di aspirazioni modaiole e consumistiche, di concorrenza con le altrui vanità. Ma pensando a chi ne è succube, a chi vive “un doloroso raffronto tra se stessi e gli altri, raffronto che può essere vissuto come svalutazione di sé” (Gli Enneatipi nella Psicoterapia, di C. Naranjo), mi sovviene un’espressione di Indro Montanelli: “Quando un italiano vede passare una macchina di lusso, il suo primo stimolo non è averne una anche lui, ma tagliarle le gomme”.
Anche perché, salvo per i “figli di papà”, averne una comporterebbe scelte, rischi, stili di vita frenetici, anche opere di malaffare certo, per cui, comunque, si ha da correre dei pericoli, si ha da “mettersi in ballo” .. si ha da avere, nella legalità o fuori, comunque ardire e coraggio e spirito d’iniziativa.

 
2 Quante belle soprese ha da svelarci la nostra Italia, nonostante l’incuria, il degrado, gli sfregi che autorità varie e “popolo bue” le sferrano ogni dì. “L’uomo che non è mai stato in Italia, è sempre cosciente di un’inferiorità” (S. Johnson), eppure guarda le italiche masse sgomitare per una qualsiasi meta, purché estera!!

 

















 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 4 agosto 2017

Nel silenzio della notte


I miei occhi sfiorano cose e luci e colori, ma è il cuore che sente dentro il buio e il freddo bollente della notte.
Effettivamente non so cosa avvenga di fuori, e, francamente, poco mi importa.
Lascio che sia il cuore a battere e condurmi negli spazi e nel tempo.

So che sono stato colpito e poi ferito da qualcuno e qualcosa; anche da me, in anni che non potevo prevedere.
Ma ora, da tempo, mi prendo mi cura di me. Non importa piangere, non importa, a volte, vedermi dentro spegnere la strada che mi indica la Via.
Importa danzare, lieve non so, forte nemmeno, ma io sono io e questo sono e so fare, tra le figure e le forme di un’Arte mai doma, mai schiava.

Ho imparato a prendermi cura di me, ad asciugarmi gli occhi ogni volta che piango, a rallentare il passo per ascoltare chi bussa da dentro il mio cuore, il mio ventre.

Ho imparato a cedere il passo davanti agli ostacoli ottusi e, a volte, quando ci riesco, a farne motivo per un salto in avanti, che è sempre anche un salto dentro.

L’ora è tarda, il cielo si lascia sfregiare dalle luci di una luna tonda e chiara come burro.

Pratico piano, per non svegliare nessuno, Monica che dorme nella camera accanto, Kalì che ha alzato un occhio solo per capire che accade ed ora giace beata nella cuccia.

Respiro profondo, le mani che segnano l’aria, il corpo che a volte pare pietra affondare nell’acqua, altre una belva fendere il buio.
Corpo ed ossa e muscoli si compongono e ricompongono in una melodia di sensi e schizzi d’umore.

Sento il colpo del mio cuore. Tutto quello che ho da fare è accompagnare il respiro e mantenere lo sguardo su di me.
A volte, non sempre ma sempre più spesso, prendo una graziosa rivincita sull’età e l’improbabilità di un corpo che nulla ha di “sportivo”, di ammiccante ai canoni estetici e di performance che dominano oggi.

Paradossalmente, proprio ora che sono gli anni del tramonto, so aspettare, ma mi piace anche ribaltare una piccola probabilità del destino. Era da giovane la fretta assillante di imparare, ora mi gusto il tempo dell’imparare. E progredisco meglio e più rapidamente.

Le giravolte si smorzano, come i passi ed il frusciare nelle mani nell’aria.
Il corpo sa attendere la pause e con esse l’avvicinarsi al letto e il dormire.

Ciao, notte piena. A Dio, o al grande coniglio o a chi volete voi, piacendo, domani danzerò ancora di Tai Chi Chuan.




 

martedì 1 agosto 2017

Chi ha paura dell’autonomia?



Avete notato come sia diffusa l’insana abitudine di informarsi, studiare, confrontarsi sempre negli stessi, rassicuranti, ambiti: Le persone che, tendenzialmente, la pensano come noi; le riviste e le pubblicazioni che riportano quel e come noi pensiamo; i gruppi ed i luoghi in cui ci sentiamo riconosciuti e rappresentati?

Quando sconfiniamo, volutamente o meno, in territori “altri” da noi, la piazza di fb ne è un esempio, lo facciamo poco, pochissimo, per ascoltare e molto per affermare (urlare) le nostre verità, la nostra identità.

Ho definito “insana” l’abitudine di cui sopra, perché essa rivela la pigrizia, l’insicurezza, per alcuni la paura, di esporsi al confronto (il conflitto) e, così, anche scoprirsi “nudi” davanti all’altro (e a sé), scoprirsi portatori di maschere e corazze per coprire le proprie fragilità, incapaci di capire ed adattarsi a nuove ipotesi incontrate.
Confrontandosi con le opinioni altrui, si rischierebbe di confliggere con le proprie credenze, giungendo a riconoscerle come instabili pregiudizi, cominciando ad apprezzare quelle degli altri. Tuttavia, ciò implicherebbe il faticoso e incerto rischio di doversi mettere in gioco e, ancor peggio, di ricredersi ed iniziare un piccolo, (o grande) percorso di crescita e trasformazione.

Sì perché, formatisi dalle e nelle nostre credenze, una volta che queste siano messe in crisi, diverrà improcrastinabile re-imparare di sé e, con ciò, re-imparare a vivere, impresa affascinante che richiede energia e tempo, nutrendosi di apertura, fiducia, rispetto ed apprendimento; nutrendosi di incontri e confronti e relazioni costruiti con una reciprocità feconda; incontri tali, pur e forse proprio grazie alla diversità e al confliggere che ogni diversità porta in seno, da farci apprezzare i frammenti di serenità, persino di felicità, che una vita di apertura e ricerca ci dona.
E’ così semplice e facile, privilegiare i fatti e le opinioni che supportano il nostro punto di vista, piuttosto che considerare accoglibili quelli che lo contraddicono e, con ciò, far vacillare la fiducia in noi stessi. E’ così semplice e facile, ridurre l’ambiguità aggrappandosi a un punto di riferimento stabile, per poi operare degli aggiustamenti e, infine, raggiungere una decisione finale che non ci turbi, non ci contraddica.

Ecco perché tratteggio sempre come

semplice, ma non facile

il nostro praticare Arti Marziali, laddove non esiste né uno stile da imparare, né un modello da imitare, né un percorso di apprendimento lineare da seguire.

Personalmente, trovo insostenibile la possibilità di poter avere una qualche forma di conoscenza “oggettivamente vera” della realtà.
Lo strutturalismo, la meccanica quantistica, hanno smontato ogni rozza definizione di reale.
Numerosi esperimenti di psicologia sociale, ad esempio, hanno dimostrato come il modo in cui una persona si sente quando deve elaborare un giudizio su un’altra persona, influenzi notevolmente la sua percezione.

Questo ha da far riflettere chiunque cerchi un approccio valido al combattimento, che è prima di tutto uno scontro vorticoso di emozioni, di sensazioni di sé e dell’altro davanti a sé.
Ancor più per chi, non accontentandosi di giocare al “guerriero”, di sfogarsi “menandosi”, di tessere farneticazioni (seghe) mentali sull’autocontrollo e l’imperturbabilità, faccia del percorso marziale, di pugni e calci e bastonate e coltellate, un percorso di individuazione e crescita personale.

Qualsiasi “intellettuale” storca il naso davanti ad una proposta che fa dell’agire, del movimento, un percorso di crescita, dovrebbe sapere che

se comprendere è edificare una rappresentazione del mondo esterno,

agire, invece, contempla da subito un’immagine degli effetti desiderati di un’azione e poi prosegue nella sua evoluzione.

Agire, muoversi nello spazio, come ci spiegano neurobiologia e psicobiologia, significa procedere da una mappa dell’ambiente, cioè da coordinate che obbediscono alla corteccia parietale e all’ippocampo, responsabili di molteplici aspetti delle memorie spaziali.

Dunque, con una pratica che più volte ho definito un caffelatte composto di maieutica e paradossi, domande ed imprevedibilità, in cui a volte più forte è il sapore del caffè, altre quello del latte, ma, ormai uniti, è impossibile separare l’uno dall’altro, sono da anni passato dall’idea, tipicamente razionalista e scientista, che si possa risolvere un problema solo una volta che lo si sia conosciuto fino in fondo, all’idea che “si conosce il problema mediante la sua soluzione”.
Ecco il saper interpretare la forza della sensazione che ci sta limitando e sfruttarla per spingerci al di là dei nostri limiti, come a dire il trito e ritrito ma ben poco praticato, in un combattimento, sfruttare a nostro favore la forza dell’avversario.

Questo percorso di continua eretica ricerca, significa necessariamente, che io inviti i miei allievi a verificare la bontà della loro scelta provando presso altri docenti, altre scuole, altri praticanti e poi condividere con me quanto esperito, tanto quanto stuzzicarli perché la loro ricerca eretica non si limiti alla stretta pratica marziale ma si confronti anche nella quotidiana vita di relazioni affettive, di lavoro, in uno scambio continuo in cui la pratica marziale impari dalla vita e viceversa, toh, di nuovo il caffelatte.

E questo, necessariamente, vale anche per me.

Certo, dopo decenni di Musha Shugyo, percorso errante di scoperta e formazione nei diversi campi marziale, motorio, terapeutico, ora mi permetto di selezionare, di centellinare i “sorsi del bere” in ragione anche dell’età e del tempo di vita che inevitabilmente si va riducendo.
Eppure, tra i miei amici più cari, dunque a … “influenzarmi”, contribuiscono adepti dei pesi e del “No pain no gain” con fini cultori del “No pain, more gain” e del distacco da ogni esercizio con sovraccarichi esterni; praticanti volti ad una visione “interna” e sottile del fare motorio con aitanti sportivi volti alla periodizzazione dell’allenamento e a macro, meso e micro ciclo. Più in generale, lucidi appassionati di musica colta con divoratori di MTV; mescolatori incalliti in grado di apprezzare indifferentemente film di Pasolini e di Lillo & Greg con puristi di genere, assidui frequentatori di mostre e musei con altrettanto assidui frequentatori di locali di tendenza.

Io stesso procedo aperto ed accogliente, critico ma mai pregiudizialmente chiuso, tra una serata da Mc Donald’s ed una cena in un ristorante stellato, una intima cena tra amici ed una tavolata gridando di stonato karaoke, alla ricerca di un concerto di Petra Magoni e con in tasca il biglietto per quello di Caparezza, a scorrere le righe di una rivista di gossip, mentre sulle ginocchia ho un libro di Fagioli.

Oddio, lo confesso, a tirar di pugni in una palestra affollata di maleodoranti maschioni urlanti, a sfogarsi delle repressioni di una minuscola vita rattrappita picchiando sul sacco, a sudare massacrandosi di deleteri crunch e rovinandosi le articolazioni ripetendo balzi e squat, sarà difficile vedermi. Anche perché, passi la compagnia di ventenni, a cui posso concedere l’innocenza e l’ignoranza dettate dall’età e dalla poca esperienza, ma quando vedo stravolgersi in simili pratiche over quarantenni e cinquantenni, magari pure padri di famiglia, le mie considerazioni sul genere umano e sullo stato attuale della società, piombano irreversibilmente nel buio più nero.
Va bene, dai, non sono perfetto !!!!!!

 

 

Post illustrato con foto scattate al festeggiamento di Giovanni per i suoi quarant’anni.