venerdì 27 ottobre 2017

Del corpo e delle emozioni



La chiusura della storica sede di via Simone D’Orsenigo, con relativo trasferimento in via Labeone e modifiche della “struttura” della Scuola stessa, mi lascia con più tempo libero per i miei interessi extra, o meglio, “para” Arti Marziali.
“Para” perché, in linea di massima, la mia passione principe, le Arti Marziali e la pratica fisicoemotiva, mi indirizza verso temi e terreni comunque riconducibili alla corporeità, al confliggere come momento ineludibile di crescita, di conoscenza di sé.

Eccomi allora partecipare ad alcune delle serate che il Centro Studi di Terapia Gestalt, la scuola in cui mi sono formato counselor nel Marzo del 2007, propone lungo tutto l’autunno.
Prima un incontro sull’ipnosi ericksoniana e il mondo dei sogni, poi una serata sul Wingwave coaching.
Ora è la volta di Cristina Tegon, counselor, esperta di terapia corporea, nonché shiatsuka e massoterapista, docente ai corsi di counseling, che ci coinvolge in una serata a tema “Quando le parole non hanno niente da dire”.

Siamo in otto, in cerchio in sala, pronti a sperimentare i primi accenni di comunicazione corporea, di espressione emozionale attraverso il corpo.
Per me è bellissimo entrare nuovamente nel mondo delle relazioni silenziose, del contatto di sguardi.
Sento l’emozione di contatti velati dal mistero e dall’incertezza, dalla sospensione di ogni giudizio. Contatti che tracciano disegni incerti, in cui quanto di me si mischia, si sovrappone su quanto di un altro sconosciuto che mi sta di fronte.

Ogni volta che accade qualcosa di reale… questo mi commuove profondamente”, scriveva Fritz Perls, il fondatore della terapia gestaltica. Ed ogni contatto è sempre un luogo di emozioni profonde. Impossibile sfuggirvi, tuttalpiù ci è possibile provare a negarle, oppure rinchiuderle a forza in qualche interno anfratto sperando che lì restino sepolte per sempre. Ma non è così: le nostre emozioni, quello che siamo “dentro”, torna regolarmente a trovarci, evade dalla cella in cui l’abbiamo rinchiuso e bussa forte, forte per farsi riconoscere ed accettare, forte per incrinare maschere di facciata e sicurezze ostentate. Allora, di nuovo, le ributtiamo dentro, in un alternanza, in un “braccio di ferro” senza sosta che, in realtà, ci logora e ci impedisce di vivere appieno. E’ una sotterranea nevrosi che è indice del tradimento perpetrato a spese della propria visione della vita, della propria autonoma prospettiva della realtà.

Non così per me.

E questa sera è l’occasione per calcare nuovamente lo spazio delle emozioni scoperte, gestite, condivise. E’ l’occasione per riandare agli intensi anni di formazione gestaltica in cui corpi e sguardi si sono toccati, si sono incontrati e scontrati; in cui le parole, pur necessarie, hanno sottostato agli impulsi del corpo inteso come “korper”, parola tedesca intraducibile in lingua italiana se non come “io sono corpo”.
Un paio di semplici giochi, che il tempo è quello dato, mi consentono di vibrare appieno, di lenire la mancanza di contatto umano di cui mai sono sazio.

E penso a luoghi altri da questo, a, che palle!!, quando, al primo incontro, ti chiedono “Che lavoro fai?” (voglia di sbattergli in faccia un paio di righe prese dal “Piccolo Principe”), quando vacanze e trasmissioni TV e frequentazioni di social e cellulari ostentati e “Vai in palestra?” e rigidità corporee esibite in un mix di tatuaggi sconclusionati e sciocchi insieme a inutili muscoli ipertrofici o in carcasse amorfe, decadenti, orribilmente gonfie o stortignaccole di corpi che svelano “corper” in fuga da ogni autentico sé che abbia davvero il coraggio di fare i conti con le proprie pulsioni, sono la norma, sono la regola. Appunto, “Che palle!!
Ogni incontro è per l’individuo anche un nuovo incontro con se stesso, occasione incredibile per approfondire, conoscendo l’altro, la conoscenza di se stesso, osservando le proprie reazioni e cercando di individuarne e comprenderne le motivazioni profonde.
Perché perdere una siffatta splendida opportunità?

Ma questa sera, almeno in parte, quest’opportunità io non l’ho persa, nello scambio con la giovane e sorridente fanciulla che mi stava davanti, né con la metafora squisitamente fisica dell’albero.
Peccato che Cristina non abbia voluto accogliere il desiderio dei più di continuare ancora un poco, giusto per non lasciarci in piena “agitazione emozionale”. NO, così non si fa.
Chissà che queste esperienze, queste “Pillole di Gestalt”, in prossime occasioni, si smarchino da un “brusco coito interrotto” per lasciare a chi si è dato partecipando, il gusto di un distacco, di un post contatto, per dirla in termini gestaltici, meno affrettato e più salutare.

Salgo in auto e torno verso casa.
Comunque, bellissima serata, sia per le emozioni del “Qui ed ora”, sia per gli intensi ricordi che sono affiorati in superficie, ricordi di un triennio che mi ha turbato, sconvolto e mostrato di me e delle mie relazioni un mondo in parte sconosciuto, in parte che io non volevo riconoscere. Grandi e reali insegnamenti di vita.

Accantonate alcune delle prossime serate, scelgo, a metà Novembre, di esserci alla serata dedicata alla “Danza tribal fusion”… il viaggio continua e non si ferma mai.

 

Post illustrato con opere di Henri Matisse, uno dei miei pittori preferiti
 



martedì 10 ottobre 2017

Outfit



Ecco cosa ti chiedo, ecco cosa chiedo a te che hai appena varcato la soglia del Dojo: lascia fuori le tue convinzioni, le tue credenze, persino le tue aspettative.
Come fai con le scarpe, che riponi accuratamente nella scarpiera, per poi attraversare la sala a piedi scalzi o in comode e informali ciabatte, così fa con le tue convinzioni. Lasciale lì, le ritroverai di nuovo all’uscita, terminata la serata, se vorrai ancora indossarle. Nessuno te le porterà via e forse sarai tu stesso, nell’indossarle, a sentirti meno comodo, quasi a disagio, ricordando quell’ora o due in cui hai camminato libero, libero hai percorso una strada del tutto nuova, inesplorata, libero ti sei scoperto corpo agente, corpo vivente, corpo integro.

Certo che è difficile. Sei entrato qua con i tuoi schemi mentali e motori, le tue certezze, a volte una fragilità nascosta dietro espressioni da “duro”; spesso una maschera sul volto, maschera a cui si adeguano, schiavi passivi e infelici, i tuoi gesti, la tua corporeità tutta.

Tocca a me aiutarti a scoprire che i movimenti non sono un semplice meccanismo, un mezzo per raggiungere uno scopo, perché le azioni motorie esercitano un ruolo fondamentale nella formazione della mente, delle idee, condizionano ogni nostro apprendimento.
Movimenti, schemi motori, contatto fisico, sviluppano e plasmano la logica mentale, “melodie cinetiche” le chiamava Alexander Lurija, creatore della neuropsicologia.
Anche solo immaginare un gesto, un azione, attiva nel cervello la corteccia premotoria, nel lobo frontale.

Tocca a me accompagnarti in quella che le neuroscienze ora chiamano “Stimolazione bilaterale degli emisferi”, “Stimolazione neurosensoriale polimodale”, e già secoli or sono l’intuito taoista la chiamava semplicemente “Equilibrio del Tao”.

Allora ti invito a mimare nell’aria, con le braccia, il segno dell’infinito, dell’otto rovesciato, e già solo così, con un gesto semplice e povero, emisfero destro ed emisfero sinistro iniziano a dialogare, ad entrare in connessione. (1)
Sì perché il nostro cervello non è una struttura completamente formata e immodificabile, ma un processo dinamico, in continuo mutamento e sviluppo.

Ogni volta, ad esempio, che incontriamo qualcuno, con qualcuno ci scontriamo, si attivano numerosi sistemi neuronali e aree del cervello. Sono esperienze che, scrive il neuropsichiatra Jean Michel Oughourlian, concorrono a influenzare e modificare, la nostra stessa personalità. Si tratta di un “rapporto mimetico” definito da Oughourlian con il nome di “terzo cervello”. Al cervello cognitivo e al cervello emotivo si aggiunge così il “cervello mimetico”, il terzo cervello, il quale mette in evidenza il rilievo della relazione e della reciprocità. E’ il cervello del sistema dei neuroni specchio, dell’empatia, dell’amore e dell’odio.

Se Perls, il fondatore della terapia gestaltica”, scriveva “Contatto è saper apprezzare le differenze”, ecco che qui, in Dojo, nel contatto che a volte è reciproco aiuto altre è scontro diretto, impari a cogliere e coltivare le differenze, quelle tra te e l’altro ma, prima ancora, quelle che scorrono, si rincorrono, si azzuffano, si mescolano, dentro di te.

Sempre che tu abbia il coraggio, l’azzardo, di lasciare fuori di qui le tue certezze e la tua maschera, o, almeno, tu sia disposto a provarci. Tu sia disposto a fare della tua fragilità, che nascondi e ti spaventa, la leva per creare una forza enorme, inimmaginabile. (2)
Sempre che io sia in grado di accompagnarti, senza annoiarti né stancarti, senza lasciarti deluso per i successi che stentano ad arrivare o spaventato per i successi che, arrivati così inaspettatamente, tanto ti turbano.
Sempre che tu abbia voglia di riaccendere in te quella fiammella guerriera che arde dentro ognuno di noi e che, sovente, le nostre scelte piccole e conformiste, quelle deboli ed insicure che si sono piegate di fronte ad un percorso di studi da prendere, ad un posto di lavoro da lasciare, ad una donna o ad un uomo a cui dire “Basta”, ad un figlio che ci spaventava far nascere, hanno ridotto ad un misero lumicino.

Ti va di ardere nuovamente?

 

 

 

1. “Possiamo dunque pensare al cervello rettiliano di MacLean come corrispondente dell’Es di Freud, cioè degli istinti primordiali, così al cervello paleo mammaliano come sede dell’Io e alla neocorteccia come il luogo del Super-Io, preposto quest’ultimo, come ci ricorda Raffaello Vizioli, alla coscienza morale, alla critica e al giudizio. Si tratta di una concezione che MacLean ha verificato scientificamente, che Platone ha intuito e che Freud ha percorso su altri fronti” (Guido Brunetti)

 

2. L’immagine è atto fondamentale nel processo formativo dell’uomo. La psicologia ci dice che, a livello di strutture ancestrali, gli istinti vengono condotti originariamente attraverso immagini anticipanti. Questo a suo modo legittima la concitata ricerca, e con essa la smodata attenzione mediatica, che induce uomini e donne di ogni età ad essere sempre più succubi dell’ossessione del corpo, con “un atteggiamento simile a quello dello scultore che mai è soddisfatto della sua statua che ricava dal marmo” (Claudio Lombardo); si tenta, così, di ottenere un corpo diverso dai corpi cosiddetti normali e che sia invece ammirato, o almeno accettato, dal proprio Super Io così gracile ed insicuro, come dalla collettività.
Ma quando l’immagine interiore (autoimmagine) – raffigurata artisticamente nel proprio Io – non ricalca l’immagine esteriore (il corpo) si suscita un disallineamento che si manifesta a livello comportamentale. Quest’ultimo, generalmente porta all’indebolirsi dell’interiorità e, nei casi psichicamente più gracili, genera frustrazione, senso di estraniamento, indecisione, disattenzione, confusione dei sentimenti e anche anaffettività.