lunedì 30 settembre 2019

Parole sputate nel cuore




“ I tatuaggi bisogna ‘soffrirli’. Dopo aver vissuto qualcosa di particolare,
lo si racconta tramite il tatuaggio come in una specie di diario”
(N. Lilin)

Io non ho tatuaggi. O, almeno, non ho tatuaggi volontariamente incisi da una mano estranea.

Sul corpo, ho segni (simboli), incisi dalle cose, dagli eventi.
Un cicatrice sulla  testa, caduto dalle scale quando, bambino, mi atteggiavo a David Crockett e una sotto l’arcata sopraccigliare, colpito quando credevo che noi sessantottini avremmo cambiato il mondo.

Ma i segni che più sento miei sono quelli degli eventi che il corpo ha somatizzato: Escrescenze  sotto pelle a ricordare.
La prima quando, ventenne, sboccando sangue, entrai in ospedale per poi trattenermi in un sanatorio.
Una, da poco superati i quarantacinque anni, quando l’Amore (con la A maiuscola) mi cacciò dal campo che pure insieme avevamo costruito e condiviso e progettato per il nostro futuro insieme.
Una, quando i primi referti medici tratteggiavano i contorni di un male assassino e fu solo a dipinto terminato che le fosche tinte mutarono in colori pastello.
Una, quando la morte di mio padre Renzo venne annunciata come ormai alle porte.

E la vita è tutto un mutare, panta rei, ma che fatica capirlo ed accettarlo davvero con tutto me stesso;  e che riconoscere, scriveva  Thomas Elliot (poeta e saggista), è esplorare dal punto da cui siamo partiti per tornarci e trovarlo diverso.

Allora, in questi che per me sono giorni sbagliati ed io stesso sono sbagliato a rantolare e dibattermi su una strada sbagliata, faccio fatica a comprendere, a stare in un tempo che, nell’attesa, sembra non passare, ma passa. E fa male.
L’equilibrio, pur incerto, è stare lontani dal buio e dal non - riconoscimento che porta al mal di vivere, che io abitai in alcuni anni della mia tormentata e turbolenta adolescenza, e dall’ottimismo fissato e per sempre, da una sorta di delirio di onnipotenza, che io cavalcai fiero e tronfio di me quando ripetevo “Io non vado in ferie, la mia vita, io, sono sempre in ferie” prima di quel doloroso cartellino rosso e di un incontro terapeutico fortemente destabilizzante con il dr. Michele Mozzicato, medico, psichiatra e psicoterapeuta.

A volte mi chiedo se questa fatica di stare nel mezzo, Tao indefinito e incerto, sia meglio o peggio dei due estremi.

Intanto, in questi che per me sono giorni sbagliati ed io stesso sono sbagliato a rantolare e dibattermi su una strada sbagliata, a masticare malamente un inconscio che è un estraneo, (ma per me, non tanto estraneo) che mi abita; a cozzare la mia ragione contro quella che difende ed addirittura protegge il ladro a cui mi si dice nessuno, tanto meno il derubato, può chiedere di assumersi responsabilità ed eventuali conseguenze del suo entrare furtivo, del suo rubare, del suo essere privo, per scelta o per incapacità, di un habitat suo in cui costruire cose ed amore ed è dunque lecito dai!!, che rubi qui e là pezzi di cose e di vita di altri.


“Nei tempi antichi, barbari e feroci,
i ladri s'appendevano alle croci:
ma nei presenti tempi più leggiadri,
s'appendono le croci in petto ai ladri.”
(G. Mazzini)

“Dichiarandoci anarchici proclamiamo innanzitutto di rinunciare a trattare gli altri come non vorremmo essere trattati noi da loro; di non tollerare più la disuguaglianza che permetterebbe ad alcuni di esercitare la propria forza, astuzia o abilità in maniera odiosa.”
(Pëtr Alekseevič Kropotkin)

Intanto, appunto, il mio personale confliggere è stare lì con ciò che è anche incomprensibile, aprirmi alla presenza dell’altro che mi permette di capire di me. E accingermi a cambiare, se ne sarò capace ma voglio e devo esserne capace se non voglio annegare, se voglio ancora abitare questo habitat condiviso anche se privato di alcuni mobili che mi erano cari.

La domanda è: dove si poserà questo nuovo “tatuaggio” somatico ? Su questo “pene che non ha più nessuna fantasia” (https://www.youtube.com/watch?v=lQLAlIlJeKQ) o sulla mano vecchia da vecchio a segnalarmi le trombe sempre più prossime dei settant’anni?
Non è una risposta che io non ne ho, ma forse comprendo che l’Amore, (quello con la A maiuscola), non è giudicante, spesso è esigente e mette a nudo; che l’Amore, (quello con la A maiuscola), è permettersi di mostrare la propria fragilità, le proprie parti Ombra, senza che l’altro ne approfitti. E che l’Amore ( quello con la A maiuscola), è l’altra faccia del Conflitto, perché, puntino nero in quella parte bianca, il riconoscimento, declinato in tutte le sue versioni e senza il quale non c’è Amore, è nel conflitto. Nel conflitto, nello stare nel conflitto, i doppi impresentabili di noi possono essere presentati e, forse, riconosciuti. Così prendendo le distanze dalla confessione che invece divide bene e male.

Eros e Thanatos, "pulsione di vita" e "pulsione di morte", non c’è vita senza morte. Nello sciamanesimo è la compresenza nell’individuo e nelle cose del “vivente” e del “morente”, nel Taoismo, l’ho già scritto, è data dall’unione sempre mobile di Yin e Yang, nelle raffigurazioni simbolo-immaginali è rappresentata dagli Amanti Divini ed alchemicamente indicata dal Matrimonio Mistico.
Un vivere, ci ricorda Wilhelm Reich (medico, psichiatra e psicoanalista) in cui la vita è sempre e contemporaneamente, coesistenza di contrazione ed espansione.
La morte è l’aroma dell’esistenza. Essa sola dà sapore agli istanti, essa sola ne combatte l’insulsaggine. Le dobbiamo all’incirca tutto” scriveva  Emil Cioran, filosofo del ‘900.

A me, a tutti noi credo, e soprattutto quando arrivano i giorni sbagliati e noi stessi siamo sbagliati a rantolare e dibatterci su una strada sbagliata, tocca impegnarsi in questa danza antica liberando le nostre potenzialità disoccupate, apprezzando dell’attendere, ancorché questi sia e dia sofferenza, la sua prossimità semantica all’attenzione.
Alle mia spalle, canta e suona Beth Hart (https://www.youtube.com/watch?v=sP-ub5wF-_0)
war in my mind…. black in my soul…..














giovedì 19 settembre 2019

Le pallavoliste non lo sanno




Scorrono sul televisore le immagini del campionato europeo femminile di pallavolo.

Quando di apre la contestazione per una palla “in” o “out”, le nostre azzurre, come le rivali del momento, sono colte naso all’insù ad aspettare le immagini decisive.
Lo fanno accorciando il rachide cervicale, la porzione posteriore del collo, ovvero comprimendone le vertebre.
Splendide atlete, ottime “macchine” da competizione, sfugge loro che una migliore e completa osservazione di quanto posto in alto, una postura che non ingeneri fastidio e, col tempo, probabili dolori cervicali, richiede l’intervento anche del tratto alto della colonna vertebrale: la porzione immediatamente sopra e tra le scapole.
Tra l’altro, un uso corretto del tratto alto della colonna vertebrale limita, fino ad impedirlo, l’accorciamento della parte bassa, lombare, della colonna, con relativa compressione vertebrale.
Insomma, per guardare più agevolmente, per ampliare lo spazio guardato, per farlo rispettando la fisiologia del nostro corpo, la salute del nostro corpo, occorre coinvolgere la colonna vertebrale tutta!!

Ma loro non lo sanno. Loro, come tutti gli sportivi, sono il risultato di allenamenti tesi a ripetere  e ripetere e ripetere ancora questo o quel gesto senza alcuna attenzione alla salute, a coordinare in sé collegamenti funzionali tra le diverse parti del corpo, alla consapevolezza (sai cosa e come lo stai facendo?) e neppure al binomio efficacia ed efficienza. Senza trascurare come questa consapevolezza inciderebbe positivamente sulla capacità emotiva di reggere lo stress e prendere rapidamente le decisioni gestuali più adatte al momento.

Pensate a che formidabili esecutrici, che formidabili atlete, sarebbero se fossero coinvolte in una pratica che realmente mettesse a loro disposizione tutto il sapere del corpo, tutto il perfetto funzionamento del corpo.
Perché questo a loro, come a tutti gli sportivi, non accade?
Credo per diversi fattori: l’ignoranza, mi duole scriverlo, dei loro preparatori; il tempo più lungo che una simile formazione corporea comporta impedendo, con ciò, di avere rapidamente pronte, ovvero già in giovanissima età, delle “macchine” da competizione; l’età stessa di queste atlete. Sì perché la capacità di ascoltare il proprio corpo fino a diventare, come Natura vuole, noi stessi corpo, e la pazienza curiosa ed entusiasta di osservare ogni minimo dettaglio gestuale per poi integrarlo in un gesto più ampio, difetta ai giovani.

Tali capacità sono, invece, concesse agli adulti e agli anziani, sia per una maggiore maturità psichica che per un diverso equilibrio energetico.
Sempre che anche costoro, benché non si guadagnino la “pagnotta” con lo sport ma pratichino sport ed esercizio fisico per divertimento e per stare in salute, non siano irretiti dal miraggio della prestazione (presunta) eccellente, non siano portati ad usare (male) il corpo come una macchina, nella quale, restando in quest’esempio, premere l’acceleratore mentre tengono tirato il freno a mano, scalare le marce senza usare la frizione, pretendere di avanzare pur avendo le ruote rivolte all’esterno.
E tu, che intendi fare?

Prenditi cura di te per non doverti curare!!