giovedì 27 febbraio 2020

Gauguin Matisse Chagall




E’ un’assolata domenica mattina, qui sui Navigli. Gazzetta dello Sport spianata davanti, lo specchio d’acqua milanese che dorme ignaro del frastuono e della confusione che lo attendono tra un paio d’ore.
Mi alzo dai gradoni assolati e mi dirigo verso il Museo Diocesano là dove sono esposte opere di

Gauguin Matisse Chagall
 la passione nell’arte francese dai Musei Vaticani

Si tratta di opere di artisti francesi: Paul Gauguin, Auguste Rodin, Maurice Denis, Georges Rouault, Marc Chagall, Henri Matisse e altri, attinenti la Passione di Cristo.
Tra la fine del diciannovesimo secolo e la prima metà del ventesimo, il dibattito, all’interno della Chiesa come del mondo dell’arte, si accende attorno alla trasposizione  figurativa dei concetti spirituali. Il che porta ad opere che rinsaldano il rapporto, inteso come imprescindibile, con la verità del fatto sacro, mentre altre introducono a piene mani tradizioni popolari e riferimenti alla storia contemporanea.
Le nuove domande di sacro come le aspre critiche alla Chiesa ed al sentimento religioso che nascono nella società moderna, costringono gli artisti, credenti o meno, a riflettere e sperimentare stili, espressioni, tecniche differenti in un crogiuolo in cui passato e modernità paiono a volte integrarsi, a volte divergere.
La Chiesa stessa, nelle sue più alte espressioni, dovrà fare ammenda di anni, di secoli, in cui l’arte è stata piegata a precisi voleri dottrinali e di potere, quando non trascurata e negletta.
Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione.
E questo grazie alle vostre mani” (Concilio Vaticano II. A. 1965)

Che ci faccio io, anarchico e spirito ribelle, al cospetto di opere dall’intenso sentimento religioso?
Accanto all’innata curiosità per ciò che risuona diverso dal mio quotidiano, mi spingono un mai sopito anelito spirituale che, benché tale e non religioso, ama coniugarsi con il mondo delle religioni, insieme alla passione per le opere pittoriche, comunque si connotino.
Il “Christ en croix” di Jean Fautrier mi colpisce immediatamente, con un viso che ricorda le maschere africane e mi impone di guardarlo, anzi, di fissarlo, lasciando sullo sfondo una insolita corona di spine  a tre punte ed un corpo dal colore bruno.
E’ Chagall, con la sua “Crucifixon grise”, a trovarmi ammutolito, con un Cristo sofferente ad occupare quasi tutta la tela, sovrastando la folla che protende una scala, ponte tra terra e cielo, ed una sconosciuta figura femminile accanto a lui.
Sala dopo sala, opera dopo opera, anche quando si tratta di sculture,(eppure io, verso la scultura, nutro un’indifferenza frutto di ignoranza in materia, ma sembro un deficiente a rimirare nei particolari l’opera di Auguste Rodin, ovvero una mano a racchiudere l’abbracciarsi di Adamo ed Eva) mi incanto, mi misuro con un respirare che si fa diverso, corto o lungo, superficiale o profondo, proprio per assaporare di corpo, di emozioni, ciò che di altrettanto emozionante, sensibile, arriva dalle opere esposte.

All’uscita, una simpatica chiacchierata con un’altra visitatrice che condivide il mio dispiacere per il numero davvero esiguo delle opere esposte. La bellezza, l’intensità, non si discutono ma lei, che si divide tra Italia e Francia, non esita ad informarmi che in territorio d’Oltralpe le possibilità in materia sono ben più ricche e che, nella terra del Vaticano, si sarebbe aspettata una raccolta ben più nutrita.
Il sole del mattino ora è alto, le strade si sono popolate, io cerco un angolo di tranquillità per lasciar decantare le emozioni, per la sciar danzare l’anelito spirituale che si agita dentro.





lunedì 24 febbraio 2020

Coronavirus, tra ignoranza, disinformazione e attacchi mirati





Non sono un virologo e dunque, nel merito, non mi pronuncio.
Anche se, tra i virologi stessi, le vedute sono assai differenti, persino contrastanti, e gli insulti tracimati come in un qualsiasi “bar sport”.
Basti vedere il famoso e sovraesposto Burioni dare del “virologo della domenica” alla collega che dirige il laboratorio di analisi all’Ospedale Sacco, ovvero una delle eccellenze in materia. Che se davvero al Sacco chi ha ruoli di responsabilità fosse una “della domenica”, allora saremmo tutti messi davvero male, e non solo in merito al Coronavirus.

Non sono un virologo, ma, dati alla mano provenienti da diverse fonti, so quanti ne uccide lo smog nel mondo, in Italia, a Milano.
- L’Organizzazione mondiale della sanità stima che, ogni anno, circa 8 milioni di decessi siano attribuibili all’inquinamento atmosferico, sia in locali chiusi (4,3 milioni), sia all’aperto (3,7 milioni). Si tratta dello 0,1% della popolazione mondiale.
- Uno studio, relativo al 2015, a cura dell’International Council on Clean Transportation (ICCT), afferma che Milano e Torino sono le prime due aree urbane al mondo per numero di morti premature ogni 100.000 abitanti, attribuibili all’inquinamento atmosferico causato dai trasporti
- Dall'Istituto Mario Negri di Milano arriva l’affermazione che, "A Milano, il numero di morti attribuibili alle condizioni di esposizione all'inquinamento negli anni recenti è tra 160 e 200 all'anno",

Pensate se televisioni, giornali, esperti vari e mass media, di queste morti, dessero quotidianamente notizia, snocciolandone il numero, giorno dopo giorno.
Che impatto avrebbe? Così, giusto come caotica ed irrazionale “lista della spesa”: niente più runners tra le vie della città, tutti in giro con la mascherina, locali privati e pubblici sottoposti regolarmente a disinfestazione, sanificazione e tutto quanto occorra per abitare un locale asettico, niente più trasporto privato e pubblico a benzina o diesel, piantumazione estesa in ogni via cittadina, riscaldamento privato e pubblico totalmente ecologico, abolizione degli allevamenti animali intensivi con conseguente abbraccio di una alimentazione vegetariana in cui solo i danarosi, cioè quelli che la carne possono pagarla a “peso d’oro”, fanno accezione, scomparsa delle pizza tradizionale cotta col forno a legna, fuga dalla città verso zone remote e isolate ecc.
Ma non lo fanno. Ed io non so il perché. Qualcuno tra di voi lo sa?

Intanto, certo credo giustamente, televisioni, giornali, esperti vari e mass media puntano l’attenzione spasmodica sul Coronavirus mentre istituzioni varie dettano regole di restrizione sempre più accese.
E di Coronavirus sappiamo che ci si ammala e qualcuno muore; ogni giorno siamo subissati di notizie ed informazioni; ogni ora, ogni giorno veniamo aggiornati sul numero dei decessi. 

Questo  mentre di quel malefico e nient’affatto sconosciuto assassino di massa che è lo smog, chi se ne occupa? Chi ci informa?

“Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, 
per paura del senso comune”

(Manzoni A. nei “Promessi sposi” a proposito della peste)



mercoledì 12 febbraio 2020

Formazione, cosa è oggi




Da almeno quindici anni ho abbandonato la parola “allenamento” o, peggio, “addestramento,” per abbracciare il termine “formazione”.
Scrissi più volte spiegando il “perché” di questa scelta e il “come” essa sia avvenuta.
Così come più volte scrissi spiegando perché mi tengo ben lontano da “Maestro”, considerandomi invece un “Sensei” (parola giapponese che significa “nato prima”), un facilitatore.

Ora intendo spiegare, per come lo vedo io, il rischio di appiattimento, di conformismo, meglio di “conformazione” che la parola e la pratica “formazione” sta correndo tra le mani e le menti di docenti e “formatori” appiattiti su una andragogia / pedagogia ed una didattica comunque vecchia, che non ha preso le distanze dall’ossessione dell’insegnare ed imparare un modello, un sapere, dato; che continua a ritenere gli allievi dei vasi neutri da riempire di un sapere già confezionato; che non ha saputo rinnovarsi e creare un percorso antagonista, quando non alternativo, al conformismo e dogmatismo imperante; che  non sa affatto rispondere ai bisogni di senso ed identità  emergenti da una società in continua trasformazione.

Scriveva il filosofo Gilles  Deleuze  (concetto ripreso nell’area lacaniana dallo psicoanalista Massimo Recalcati) , che 
più che fare come il Maestro 
è fondamentale fare con il Maestro.
Dunque la formazione, contrariamente all’allenamento ed all’addestramento, non è la ripetizione di gesti / esercizi prestabiliti tesi al raggiungimento di un obiettivo esso stesso prestabilito, sotto i comandi di un maestro / docente depositario del sapere.
Infatti,
- la pratica ripetitiva, che è il cuore di allenamento ed addestramento, è assimilabile ad un comportamento ossessivo – compulsivo. Possiamo arrivare ad affermare che la gestualità ripetitiva, indotta meccanicamente e priva di una presenza sensoriale estesa e profonda, rimanda, certo inconsciamente, ad una sorta di regressione consolatoria. (in “Globalità dei Linguaggi” Settembre 2012 n°14).
- il prestabilito (1), il compiuto, che è intero, completo, esauriente, possiamo affermare che sia indice di una nevrosi. Scrive Massimo Recalcati:  “Si tratta di cogliere la conformazione come la malattia più propria della nevrosi: conformazione del desiderio alla domanda dell’Altro (altruismo permanente), conformazione della pulsione all’Io (ascetismo sacrificale), conformazione dell’avvenire al passato (coazione a ripetere), conformazione della propria vita all’Ideale dell’Altro (inibizione dell’atto).”

Cosa intendiamo, allora, con formazione?
La formazione, il formare, partendo dall’unicità di ogni individuo, si propone di accompagnare e incoraggiare un cambiamento, una trasformazione che possa accrescere ed ottimizzare le potenzialità dell’individuo in vista di un suo benessere psicofisico /fisicoemozionale, di una rinnovata capacità vitale ed erotica, fino al raggiungimento di obiettivi personali autonomamente scelti.
La formazione, in sintonia con lo scorrere ed il mutare del vivere,
non porta a compimento un processo, ma lo mantiene aperto.
È un facilitare, un accompagnare che permette all’individuo di riconoscere ed elaborare, con il proprio sé, obiettivi propri nutriti di  propria efficacia e proprie prestazione.
Per fare questo è necessario il pieno e totale coinvolgimento del e con il praticante.
Il coinvolgimento consapevole comporta:
- un atteggiamento favorevole alle novità,  che consente di arginare la noia figlia della routine (2);
- un atteggiamento favorevole alla curiosità, che consente di ripudiare la tendenza tutta umana a mantenere  lo status quo;
- un atteggiamento favorevole alla prospettiva, che impedisce di guardare le cose da un unico, e sovente ristretto, punto di vista; (3)
- un atteggiamento favorevole alla diversità, che permette di non subire gli stereotipi ed  i pregiudizi;
- un atteggiamento favorevole alla presa in carico di noi stessi, di quel che pensiamo e di quel che facciamo, senza scaricarne la responsabilità sul destino, la sfortuna o gli altri. (4)

Questo modo di operare, di procedere, è autentica formazione. Altrimenti, la si chiama “formazione”, ma è il solito allenamento, il solito addestramento.






1. Prestabilire  - omissis -  Stabilire, fissare in precedenza: p. una serie di provvedimenti; p. un piano di sviluppo. Part. pass. prestabilito, anche come agg.: tutto si è svolto nei modi prestabiliti, secondo il piano prestabilito; l’incontro è avvenuto alla data, o all’ora, prestabilita. (In “Vocabolario Treccani”)

2. Ma, attenzione a non confondere la capacità di selezionare ed eventualmente accogliere la novità con il seguire ogni capriccio, infatti “coerenza è intima adesione perché derogare è imbrogliare se stessi” (Body Counseling Milano” pagina fb dello scrivente).

3. Vanno in palestra a farsi i muscoli, ad indurirsi il fisico e lo fanno ripetendo meccanicamente gli stessi esercizi… rigidi e compulsivi.
Così
- riducono l’elasticità della fascia, atrofizzano la muscolatura profonda, ostacolano il lavoro delle articolazioni, schiacciano gli organi interni;
- costruiscono una corazza di rigidità corporea che influenza pesantemente la sfera psichica ed emozionale, riducendosi ad essere, tendenzialmente, individui chiusi al dialogo e refrattari alle novità; incapaci di ascoltare e confrontarsi; emozionalmente rachitici e poco sensibili.

4. Altrimenti diviene comodo non ammettere di avere sbagliato, di avere causato del dolore ad altri, e quand’anche lo si ammettesse, si ometterebbe che ogni errore, prima di essere tale, è stato una scelta!!






martedì 4 febbraio 2020

Jo Jo Rabbit




Io e Monica sprofondiamo nelle poltrone del cinema Anteo: ci attende la proiezione di

Jo Jo Rabbit
regista Taika Waititi

Ci ha incuriosito un trailer divertente che lasciava intravedere note di profondità; ci ha ulteriormente spinto il gradimento espresso da una coppia di amici.
E la pellicola non delude le nostre aspettative, anzi.

E’ un film che danza spericolato in bilico tra il dramma e la commedia, il grottesco e l’umoristico, senza mai perdere un colpo di autenticità, senza mai smettere di farti riflettere mentre ridi di gusto o le lacrime della commozione (almeno a me) invadono gli occhi. Dunque, una storia intensamente umana dal sapore agrodolce e dalle tinte surreali.

Non è che la sua realizzazione sia sta cosa semplice.
Osteggiato dalle case di produzione, con una sceneggiatura realizzata già nel 2011, ci sono voluti ben sei anni perché si trovassero i finanziatori disposti a mettere in scena una parodia del regime nazista.
Perché di questo, e altro, tratta il film.
Esso è una delicata ma irriverente satira anti-militaristica, che prende lo spunto dal contesto della Germania nazista; un fluire di ironia dissacrante ed irriverente che si fa surreale e investe i temi della diversità, del condizionamento delle masse, dell’attitudine tutta umana, ma necessaria alla sopravvivenza, di “salire sul carro dei vincitori”.
Possibile che il timore di ritorsioni nel trattare un tema così spinoso quanto drammaticamente attuale o di un flop economico proprio per la “pesantezza” dei temi trattati, abbia giocato nel ritardare la realizzazione di questa stupenda pellicola?

Sì perché il film è una autentica meraviglia per il cuore, per le emozioni, inducendo a severe riflessioni tra uno scoppio di risa e una carezza ruvida sul volto.
Metafore e metonimie si intrecciano l’una all’altra, conducendo per mano lo spettatore dentro un mondo di sogni e preconcetti, di soprusi e tenerezze, in una girandola che non conosce soste.
- La musica dei Beatles che accompagna le scene di supina isteria di massa del popolo tedesco ai piedi del Fuhrer, o sullo schermo scorrevano le scene di supina isteria di massa dei fans del gruppo britannico?
- Il ballo come luogo neutrale di convivenza, come luogo di libertà per corpi e cuori martoriati e offesi.
- Quei lacci delle scarpe come vincolo necessario purché stretto per andare avanti e non per impedire di andare.
- L’intreccio tra le credenze instillate dal regime e la genuina curiosità di un ragazzino che, tutto preso dalla convinzione che gli ebrei abbiano le corna e sappiano manipolare la mente degli indifesi ariani, si trova costretto a misurarsi con una realtà ben diversa, con una ricchezza ed una disperazione umana che non può non sentire anche sue.

Film profondamente satirico,  in grado di sgretolare il linguaggio dell’odio a colpi di sorrisi ed incanti emozionali, si chiude con un poetico danzare tra le macerie di un mondo, di una società sconfitta sì ma che, purtroppo, ha ancora oggi la forza di rialzare la testa. Non solo riproponendo gli stessi pregiudizi, le stesse porcherie ideologiche, le stesse violenze di nero vestite, quanto, in modo subdolo e di una violenza ancora più letale, costruendo una dittatura della finanza e dei mercati che, a braccetto di costumi sociali beceri, superficiali e ignoranti, ci sta facendo marciare con lo stesso passo dell’oca verso un nuovo mattatoio.

“Gli idoli dell'uomo moderno avido, alienato sono la produzione, il consumo, la tecnologia, lo sfruttamento della natura. (...) Quanto più ricchi sono i suoi idoli, tanto più l'uomo si impoverisce. Invece della gioia egli va in cerca di piacere e di eccitamento; invece di crescere cerca possesso e potere; invece di essere, egli persegue avere e sfruttamento; invece di ciò che è vivo sceglie ciò che è morto.”
(E. Fromm)