Da vicino non è affatto meno faticoso, meno doloroso. Anzi,
lo è di più.

È l'inizio. Inizio di consapevolezza, di presa in carico di chi sei e come sei, come stai al mondo. Ma anche è consapevolezza di averlo scelto tu quel tuo mondo e di risceglierlo ogni volta. Ogni volta che ti alzi dal letto e poi ci ritorni, giorno dopo giorno, notte dopo notte, incontro dopo incontro.
Ed è pure inizio di consapevolezza del mondo di un altro. E’ un brusco curiosare nelle stanze segrete di un altro, è rovistare, spesso maldestramente, nelle cose e nelle emozioni che gli sono più care, nelle paure e negli ardimenti che, a volte, nemmeno lui conosce e ri-conosce.
E’ inizio di consapevolezza che insieme, tu e l’altro, siete un mondo nuovo, insieme state mettendo al mondo, per un pugno di secondi o per minuti interi, una creatura nuova, fragile, incerta e mutevole. State creando un habitat diverso. Sorta di “situazionisti” dell’arte del combattere, create e disfate. Partorite ed uccidete, in un rappresentazione fisicoemotiva che è sia figura che sfondo.
Da vicino è una scelta. Scegli di incontrare, incontrarsi e
scontrarsi. Senza vie di fuga, senza maschere e ruoli, senza il tempo di
riflettere, il tempo di “prendere tempo”, il tempo di ripensarci.
Vicino pretende azione vera, reale. Esige sudore e attenzione e apertura totale, incondizionata ai mutamenti. Pretende vulnerabilità come potente arma di distruzione. Esige che tu affondi i colpi dentro la carne, che è cuore, dell’altro. Pretende che non ci sia nessuna pietà, da entrambi, e potrebbe toccare a te soccombere.
Vicino non contempla distacco né tempo d’attesa. Vicino è troppo presente, impellente, asfissiante, perché tu possa chiedere una pausa, una dilazione, una sospensione che “Lo faccio dopo”.
Vicino pretende azione vera, reale. Esige sudore e attenzione e apertura totale, incondizionata ai mutamenti. Pretende vulnerabilità come potente arma di distruzione. Esige che tu affondi i colpi dentro la carne, che è cuore, dell’altro. Pretende che non ci sia nessuna pietà, da entrambi, e potrebbe toccare a te soccombere.
Vicino non contempla distacco né tempo d’attesa. Vicino è troppo presente, impellente, asfissiante, perché tu possa chiedere una pausa, una dilazione, una sospensione che “Lo faccio dopo”.

E stai attento, da vicino, così vicino, che potrebbe essere
l’altro a toccarti e lui non avrà alcuna titubanza, nessuna delicatezza. Se
riuscirà, lo farà. Lo farà fino in fondo, fino a spaventare le tue acque calme,
agitandole, rimestandole, mani e piedi sul tuo volto, fino a rivoltare il
fondale, a rivoltare il tuo mondo sottosopra, mandandolo a gambe all’aria.
Ma forse, stando vicino, così vicino, è proprio questo che
vai cercando, in un vecchio locale corroso dal tempo, il canniccio impolverato
e l’accozzaglia di colori delle materassine sotto i piedi. Vai cercando chi sei
veramente, come lo sei, che ci stai a fare,” temporaneamente”, su questa terra.
E nemmeno sai il numero, l’esatta quantità di questo avverbio “temporaneamente”,
la data che sigillerà per sempre questo “temporaneamente” e dunque se qui a
cercarti, a tentare di comprendere, fino a che ti è concesso il tempo,
“temporaneamente”, di farlo.
E intanto che lo cerchi, lo fuggi. Sei qui a cercarlo, ad
esporti, hai pagato del tuo denaro, del tuo tempo, delle tue energie e poi
fingi indifferenza o scansi il coinvolgimento, gli frapponi (ancora?!) il muro
dell’apatia o mostri la maschera di una goffa belva di fiera di paese sperando
di incutere timore o ti rifugi nell’infantilismo di una umiltà accartocciata e
stantia che “Non sono capace, non ci riesco”.
Che ci stai a fare vicino, così vicino, se non te la godi,
erotismo irriverente e audace, vitalità entusiasta, se non ti denudi e denudi
l’altro? Se non sguazzi comunque in questo tuo “temporaneamente”?
Guardare lontano è l’obiettivo, tanto lontano da guardare
fino a dentro di te. Per farlo, prima, devi stare vicino, così vicino…

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