Sabato 13

Allora mi domando come e poi faccio finta di niente, come se il cuore fosse solo un battere ritmico, come se il tempo passato e quello futuro non danzassero mai per me e per chi mi sta accanto.
Succede di giorno, succede di notte, mai solo e sempre immerso nei sogni miei, sogni che parlano anche di altri.
Però credo che il mio cuore, ogni cuore, debba danzare all’aperto, legando in un unico filo sottile tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove. E lo faccio col corpo, che è insieme cuore e respiro, cuore e pancia, cuore e pensiero, cuore e …

Sono rimaste, a volte sopite a volte sfuggenti, a volte legate alla catena a volte in “libera uscita”.
Quelle tracce rimaste che ci parlano di noi e delle nostre pulsioni, delle nostre passioni. Dei fantasmi e delle ombre, ma anche dei desideri di volo e di libertà assoluta.
Ci scopriamo sorridenti, felici con poco, forse tornati bambini a giocare con l’animale che ci rappresenta, con cui, qui, in un luogo sicuro, in un gruppo sicuro, possiamo tornare a dialogare.

Poi “Floating Bridge”, interpretato tanto
lentamente quanto fluido e scorrevole nel variare d’altezza e distanza; un
tocco pressante che sfiora e non dimentica, che accompagna senza interferire.

Ora, il gioco che ti porta immobile, ti fa lentamente
sparire, oscillare, flettere e rientrare.
Che sia con l’ostacolo di una pallina da tennis o perché la
regola richiede di restringere la base, comunque sempre incerta, quasi fragile.Ma la nostra pratica Kenpo Taiki Ken ci mostra la risposta forte e potente della vulnerabilità, della fragilità che si fa decisa e impetuosa. A scoprire che nella vulnerabilità, nella fragilità, si celano valori di sensibilità e delicatezza e fiera dignità; di intuizione dei segreti e dell’invisibile che sono nella vita e che permettono di entrare in empatia e persino simpatia negli stati d’animo e nelle emozioni, di chi è altro da noi.

Così, una fragilità, una vulnerabilità, che diviene flessibilità, a capire, interpretare il ritmo della danza, dello scontro di coppia … che qui, in Dojo, è la pratica del fuori che si rappresenta, che ci rappresenta.
Che sia colpirsi o squilibrarsi, spingere o tirare, che siano pugni, gomitate, calci, leve articolari e proiezioni e “Grazie per avermi fatto del male. Non lo dimenticherò”. Lascerò che scorra nelle vene, che batta forte dentro il cuore, a sentire che sono vivo e sempre, daccapo, posso ricominciare, posso mutare la rotta di questa mia vita, fragile e incerta, che il Tempo Maggiore sa già quando tagliare, e che io non posso lasciarmi scappare. Scappare così, senza capire per quel che posso e lottare per quel che so.
Che, ormai lo sai tu e lo sanno tutti quelli che con me hanno praticato, anche quelli che di me hanno solo letto,
che
qui, in Dojo, è la pratica del fuori che
si rappresenta, che ci rappresenta.
Chiudiamo in cerchio, il “Sorriso Taoista” è ora il
nostro fare, che il sorriso sul volto è il sorriso nel cuore.
Quel cuore di ognuno, che per ognuno, racchiude un mondo
intero dentro.

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