La 24ª Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, intitolata
Inequalities,
si propone come una delle più potenti narrazioni visive e performative di questi anni. Aperta fino al 9 novembre 2025, la mostra affronta il tema delle diseguaglianze in modo transdisciplinare, trasversale e con anche un occhio di riguardo alla dimensione corpo e movimento come linguaggio universale di espressione e trasformazione antagonista, persino alternativa.
Monica, che mi ha suggerito l’evento, ed io approfittiamo
del mese di Agosto, proposto gratuitamente, per una visita. La mostra è davvero
tanto enorme nelle sue diverse facce che non riusciamo a vederne che una
piccola parte, così, anche spinto dal fascino e dai potenti stimoli che mi ha
procurato, torno a completarne la visita con mio figlio Lupo.
Colpiscono subito e per tutto il tempo della visita le
disuguaglianze patenti e latenti che abitano il mondo contemporaneo, cogliendo
aspetti della realtà che ci sfuggono o che, a volte egoisticamente, preferiamo
non approfondire. Il percorso è denso, densissimo, e l’abbondanza di materiali
in mostra (tra testi, video, infografiche, diagrammi ecc.) richiede il giusto
tempo di assimilazione e riflessione.
Fanno
così paura?
Ogni padiglione, tolti
probabilmente gli ultimi due, offre motivi di autentica sorpresa nella capacità
di mostrare e spiegare il cuore del conflitto e della disuguaglianza lì presentata
quanto le soluzioni già in atto o possibili. Sono autenticamente sorpreso e
contento che, da qualche parte in ogni angolo del mondo, Cina o Italia,
Giappone o Polonia ecc. ci sia qualche anima ribelle che si impegna, spende
tempo ed energia e denaro per contrastare lo sfacelo disumanizzante cui stiamo
correndo incontro.
Non riesco a scegliere chi qui evidenziare perché significa
scartare intelligenze e prestazioni comunque straordinarie, ci provo già
lamentandomi per chi escludo.
- Al piano superiore la mostra We the Bacteria illustra su tavoli e installazioni ben congegnate la tesi dell’«architettura biotica»: Non è più pensabile un’architettura a «supporto ortopedico» dell’uomo fragile continuamente protetto da malattie, paure e disturbi, mentre va inteso come un ecosistema mobile in cui i tanto temuti microbi e batteri divengano nostri alleati già nella costruzione delle case. E già lo sono in diversi, per me incredibili, casi nell’agricoltura, nella difesa del territorio, nella medicina stessa. Un modo straordinario di proporre l’architettura!!
- La Norman Foster Foundation (NFF) mostra progetti per la trasformazione di un insediamento informale in India, la rigenerazione di una città distrutta dalla guerra in Ucraina, un’alternativa alle tende nell’accoglienza dei rifugiati, soluzioni abitative sostenibili economiche e di alta qualità, idee per produrre energia pulita, moduli edilizi industrializzati.
- Un’installazione di Federica Fragapane pone in evidenza la consapevolezza che dati e numeri, così come le visualizzazioni stesse, non sono entità neutre, oggettive, ma il frutto di ricerche e azioni umane. I temi trattati non sono visti come immagini bidimensionali, ma come una moltitudine di angoli, più o meno latenti. Il progetto ne mostra alcuni, rendendoli visibili. Le forme tracciate raccontano le asimmetrie, le distanze e le differenze di scala rivelate dai dati.
- La Repubblica della longevità ci porta dentro Cinque Ministeri – dello Scopo, dell’Uguaglianza del Sonno, della Democrazia Alimentare, della Libertà Fisica e dello Stare Insieme – che mostrano come comportamenti quotidiani, oggetto di disuguaglianze, possano diventare strumenti per democratizzare la salute e colmare le disparità sanitarie. E’ una dimostrazione scientifica ed artistica insieme che è possibile cambiare per vivere tutti meglio.
Certo, da vecchio uomo di sinistra, non posso non nutrire qualche dubbio sui fondamenti epistemologici di alcune di queste soluzioni, su quanto esse non siano semplicemente la faccia bonaria e paciosa di uno sfruttamento solo più edulcorato, meno aggressivo; se davvero nascerà un movimento collettivo, antagonista o sarà tema dei soliti pochi privilegiati, poiché salute e disuguaglianze sono questioni tanto interconnesse quanto strutturalmente legate a quella di ‘classe’, parola (e lotta) ormai dimenticata dalle forze cosiddette di sinistra.
Non potevano mancare, qui e là,
riferimenti al corpo e al movimento intesi come vulnerabilità e
potenza, protagonisti in alcune delle installazioni fisse e, a venire, in
alcuni interventi.
La mostra non si limita a rappresentare il corpo, lo
interroga come spazio biopolitico. Le diseguaglianze si mostrano nei corpi che
abitano le città, nei gesti quotidiani, nelle possibilità di movimento e
accesso. Come scrive Stefano Boeri, presidente della Triennale, “parleremo
di città e spazi, ma anche di corpi e vite… di come le diseguaglianze agiscano
sulle aspettative di salute e speranza di vita”.
Inequalities riesce a trasformare il corpo da semplice oggetto estetico a soggetto critico. Il movimento, in tutte le sue forme — danza, performance, cammino, gesto — diventa strumento per denunciare, ricordare, immaginare. In un mondo dove le diseguaglianze si fanno sempre più strutturali, la Triennale ci invita a osservare i corpi non solo come veicoli di bellezza, ma come archivi viventi di esperienze, traumi e speranze.
Mostra straordinaria, mi
permetto di leggerla come occasione imprescindibile per chiunque voglia vivere
e non sopravvivere, voglia essere consapevole di chi è e cosa sta facendo in
questo mondo, necessiti di sapere che non è solo nella sua lotta per una vita
collettiva migliore.
Nessun commento:
Posta un commento