Pratico nella stanza vuota. Vuota che mio figlio Lupo è da mesi in Norvegia a studiare. Vuota dentro, vuota di lui e della sua presenza, ma piena dell’impatto emotivo che mi dà vedere stagliarsi davanti a me un enorme abete. Solo e maestoso, si erge tra le mura di un grigio edificio.
Pratico nella stanza vuota. Pratico di danze della Gru, Tsuru, e del Serpente, Hebi; di movenze lente e pastose a sfidare l’ottusa resistenza dell’aria; di percosse rapide e scoppiettanti; di “gentili mani assassine”, gli Yuri; di passi rapidi e felpati nell’esoterico cerchio del Pa Kwa /Hakkeshou, l’arte del continuo mutamento. Corpo e movimento a fondere il silenzio della stanza e la presenza vivace e naturale dell’albero. Solitaria presenza nella caotica metropoli.E’ lui il Maestro silenzioso che traccia segni di
forza e radicamento possente quanto di flessibilità ad accettare lo sferzare
del vento, sono suoi i rami che narrano dello sforzo per staccarsi dal tronco
alla ricerca di spazi nuovi, spazi inesplorati, mentre il grande tronco forse
li trattiene o forse li accompagna.
Pratico nella stanza vuota,
Pratico di Ritsu Zen, che è “abbracciare l’albero”, consapevole
della mia miseria nell’impossibile tentativo di abbracciare quello di albero.
Mi accontento di un sogno, di una reverie, mentre mi nutro di
flessibilità, stabilità, crescita e rinnovamento continuo. Mi nutro di lui,
della sua immagine che entra, forte e lieve, nel mio corpo, dentro i miei
organi, a trascinare il mio respiro.
Combinazione immaginifica, ai limiti dell’extra sensoriale.
Presenza surreale che non può non fare della mia piccola ed umana pratica di
corpo e di conflitto un incerto sentiero di conoscenza.
Combinazione ad accendere l’intuizione che “chi” e “cosa” insegna, o meglio propone e si propone, è chi ti riporta all’essenziale e ti mostra le cose che contano davvero. Di costui si può, forse, essere allievo, persino continuatore.
Costui avvolge, presenza e
pratica, la vita ed i suoi misteri negando i limiti del sistema e delle
certezze, l’immutabilità dei dogmi.
Costui, per comprendere del
vivere e del mondo, intreccia saperi ed esperienza e nulla gli importa di conoscenze
confezionate o di corsi di insegnamento.
A un “chi” o “cosa” di tale spessore chiediamo di prenderci
per mano ed accompagnarci nel fitto del bosco che è cuore di noi e del nostro
stare al mondo, di aiutarci a comprendere che siamo e dove siamo, di indicarci
il sentiero per scoprire l’essenziale, o almeno per provarci, nell’eterna
danza tra libertà e destino.
Nell’altalena tra Tradizione e rinnovamento, tra convulsa
cementificazione e Natura che sta e resiste, tra il brutale Bujutsu
e l’edificante Budo, si impara a comprendere il presente e a
innervare una visione delle relazioni e del mondo capace di mettere le mani
dentro quel che resta e quel che se ne va, quel che muta e quel che, dal
passato, ritorna.
Spirale profonda che transita attraverso il mio corpo e la
presenza maestosa di un grande abete, attraverso la vitalità e l’erotismo di un
appannato ed anziano artista marziale e di un indomito albero sempre verde.
“L’abete svetta,
silenzioso custode,
danza il vento lieve”
(Anonimo)
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