lunedì 7 luglio 2025

Ritsuzen in Garfagnana

 Sono i monti della Garfagnana, il minuscolo lago di Vagli, un agglomerato di case in pietra e sassi, ad accogliere me, Monica e la fida Kalì per una settimana di stacco dalla metropoli.


Misterioso il lago, che nasconde sotto le acque il borgo Fabbriche di Careggine, intatto (1). Intensa e impenetrabile la distesa di verde che ci guarda dall’alto.

Adiacente la casetta che ci ospita, spalle al lago, pratico Kenpo Taiki Ken, che è anche Tai Chi Chuan e Pa Kwa, come vuole il ‘modo’ Spirito Ribelle.

Mi soffermo più a lungo su Ritsuzen.

No, non per aumentare il tempo di pratica statica, né per lavorare isometricamente i muscoli: Sono, per me, obiettivi di ben scarso interesse.

Pongo, invece, l’attenzione sul tessuto fasciale.





La fascia

Essa è vero e proprio ‘organo’ in grado di influenzare tanto la nostra salute quanto efficacia ed efficienza motoria, gestuale.

Mantenerla idratata ed elastica è parte integrante della formazione Spirito Ribelle, anche perché la fascia partecipa attivamente a sostenere la forza nei nostri gesti accanto al binomio muscoli e tendini.

Come ho imparato nel lavoro di Body Mind Centering (grazie Eleonora, docente impareggiabile!!), esplorare i tessuti fasciali consente di comprendere il legame mente / movimento.

Inoltre, la pratica di contatto propria delle Arti Marziali funge da canale di comunicazione per accedere a strati profondi del corpo e della coscienza.

Come può Ritsuzen essere questo?

Ecco alcune semplici (ho scritto ‘semplici’, non facili!!) passaggi:

  • Inizia portando l’attenzione a discernere tra impalcatura scheletrica, muscoli, organi interni e, seppur indistintamente, quel generico impasto che li avvolge, notando come cambia la sensazione di te - corpo. Questo stimola una consapevolezza incarnata, non solo teorica.
  • Entra in risonanza, attraverso il tatto, con la materia esterna che avvolge il te – corpo: L’aria sulla pelle nuda e le sue variazioni (temperatura, intensità ecc.); la stoffa dei vestiti là dove il corpo è coperto cogliendo la differenza tra i diversi tessuti e le loro specificità (peso, consistenza ecc.) aprendoti ad un ascolto sottile, lasciando che sia il corpo a condurre, esplorando la capacità di accogliere le sensazioni eludendo, per quanto possibile, ogni percezione (2). Questo approccio non direttivo stimola il rilascio e l’integrazione spontanea.
  • Usa l’immaginazione, la reverie (vedi il mio https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/corpo-e-immaginazione-le-pratiche.html ) per facilitare l’accesso ai diversi sistemi corporei. Ad esempio: “Permetti al tuo respirare di diffondersi come una nebbia sottile nella fascia”; “Ascolta il peso dei tuoi gomiti affondare dolcemente in una nuvola di bambagia”. Questo eccita l’immaginario e apre nuove facoltà di micro movimenti nella apparente fissità di Ritsuzen.
  • Porta il tuo essere consapevole al centro del corpo (psoas, diaframma). Da lì, lascia che ogni micro movimento spontaneo si propaghi per il corpo tutto. Ora sperimenta come è lasciarti muovere appena appena spinto dalla tua fascia: Lento, continuo, come onda e / o spirale, oppure a brevi scarti, brevi sussulti. Accogli tutto quello che ti arriva.

Interessante, poi, è sperimentare movimenti primitivi (3) come ondeggiare, pestare i piedi, scuotere le mani. Ma questo è andare oltre la rigorosa pratica di Ritsuzen.


Oltre la fascia

Guardando l’immagine che campeggia qui nel post di me in Ritsuzen, si nota la posizione dei piedi, con i talloni lievemente extra – ruotati rispetto alle punte. Sto cercando un ritorno all’animalità, laddove questa postura richiama quella scimmiesca, il selvatico dei nostri antenati, con ciò aiutando l’immersione in uno stato ‘spontaneo’, nel cervello primordiale, liberando la parte istintuale repressa alla ricerca di un connubio che non sia castrante con la parte ‘educata’, ‘civilizzata’ (4).

Non si notano, invece ed ovviamente (!!) mille altre particolarità, come l‘attenzione posta alle dita delle mani, il lavoro continuo dei muscoli dei piedi, il contatto con gli elementi della Natura e tanto altro ancora. Tutto quello che è bagaglio proprio dello Spirito Ribelle e del nostro unico ed inconfondibile modo di praticare Arti Marziali. Perché Spirito Ribelle è

Uguali a nessuno

 

 

1. https://www.idealista.it/news/vacanze/mete-turistiche/2024/10/08/183517-il-borgo-fantasma-che-vuole-riemergere-cosa-c-e-sotto-il-lago-di-vagli#:~:text=Lago%20di%20Vagli-,La%20storia%20del%20villaggio%20di%20Fabbriche%20di%20Careggine,vita%20prima%20della%20modernizzazione%20industriale.

2. ‘Sensazione’ è accogliere uno stimolo fisico da parte dei nostri sensi, mentre ‘percezione’ è interpretare queste sensazioni, dunque dare loro un significato. In pratica, la sensazione è ricevere un'informazione, mentre la percezione è il comprendere (secondo i nostri canoni) cosa significa quell'informazione.

3https://www.manuelcastro.it/danzaterapia-expression-primitive/

4. Questa postura ricorda quella abituale del Wing Chun. Purtroppo, nel Wing Chun essa è estremizzata e cristallizzata, il che, unitamente alla non consapevolezza dei suoi risvolti tra filogenesi ed ontogenesi, la depaupera di ogni significato e di ogni possibilità di crescita del praticante.

 

 









 

venerdì 4 luglio 2025

Più lento, più profondo: Il potere della quiete nel gesto.

 ...solo quando rallentiamo possiamo ascoltare quella voce interiore che ci orienta verso ciò che conta davvero...

...la lentezza ci espone al vuoto, all'assenza di distrazioni...

... la lentezza invita a riconciliarci con la nostra interiorità...

Questi sono pensieri dell’antico e venerabile Maestro...NO!! Sto scherzando.

Sono alcune frasi enucleate dall'editoriale, a firma Elisa Giraud, che apre il numero di Giugno - Ottobre 2025 della rivista

" La chiave di SOPHIA"

dedicato alla " lentezza".




Ma guarda un pò come calzano perfettamente alla pratica autentica, Tradizionale, delle Arti Neijia Kung Fu / Naido come il Tai Chi Chuan, il Pa Kwa, il Taiki Ken!!

Scoprii " La chiave di SOPHIA" diversi anni or sono, trovando, in un numero dedicato al ‘corpo’, una serie di riflessioni che contribuirono a completare l'impalcatura teorica della pratica corporea e marziale che esploravo da tempo.

Fedele al motto ‘prassi - teoria - prassi, la lettura fu attrezzo utile per costruire un completo sapere organico originato dal ‘ fare’ e che su quel fare avrebbe poi riversato intuizioni e riflessioni feconde per esplorare ulteriormente corpo e movimento. 

Un sapere ‘organico’ ancora oggi del tutto ignoto al panorama marziale contemporaneo (come pure al mondo del fitness escludendo le poche correnti del ‘movimento generalista’), goffamente fermo ad unire corpo e mente, dunque ignorante dell'essere questi un tutt'uno, la cui sfida è, invece, il rapporto corpo e mondo.

Il numero dedicato alla ‘lentezza’ offre la possibilità di costruire una solida teoria che affianchi e permei la pratica dell'immobilità e dei movimenti lenti propri delle Arti Neijia Kung Fu / Naido.

Più che le affermazioni dei testi taoisti, più che le riflessioni dei Maestri di quelle Arti, espresse in modi che a noi ‘occidentali del terzo millennio’ appaiono ostiche, quando non oscure fino all' incomprensibile (1), paiono giovare le parole di Luciano Mainardi, Paolo Pileri, Beatrice Cristalli e tutto il gruppo di pensatori contemporanei che a quel numero hanno contribuito.

Ci risuonano certamente empatiche e in grado di sollecitare le nostre personali riflessioni.

A meno che non si voglia fingere una comprensione sincera e consapevole a pensieri originati in culture lontanissime da noi per tempo e contenuti, espresse in forme volutamente oscure e con l'uso abbondante di espressioni immaginifiche che non abitano la cultura del mondo occidentale. (2)

Personalmente, da anni non sono più attraversato dall'ansia di capire tutto sempre e comunque. Accetto ben volentieri, di fronte a queste espressioni culturalmente così estranee, di percepirne il senso approssimativo, riservandomi spazio e tempo che verrà, se mai verrà, per incontrarle sul piano della fantasticheria e dell'intuizione (3): Nessuna adesione supina e fideistica come nessuna ansia di comprensione intellettuale forzata e forzosa.

Invece, coltivo il piacere di scoprire teorizzazioni e riflessioni che provengono da una cultura e maneggiano un linguaggio di cui io sono figlio, che io stesso abito.

Ecco, il numero di La chiave di SOPHIA’ titolato " A passo lento" può essere una ghiotta occasione per confrontarsi e crescere sollecitato da chi, come me, come noi, è un ‘occidentale del terzo millennio’, e, come tale, più facilmente comprensibile.

Possibili tracce di apprendimento dell'autenticità e della forza di un atteggiamento ‘lento’. Condivisione di una solida impalcatura teorica della ‘lentezza’ che affianchi la pratica fisica, carnale.

Per marzialisti e cultori del movimento curiosi, entusiasti ed appassionati.

 

1. “Le uova hanno piume.

Il gallo ha tre piedi.

Il cavallo depone uova

(Chiang Tzu)

2. A questo mi piace aggiungere un’esperienza vissuta su pagine ‘social’ dedicate alle Arti Marziali: Ogni volta che un praticante o Maestro riportava una qualche frase roboante del tal saggio o del tal antico Maestro sul potere di queste di portare l’allievo alla saggezza, alla pace interiore ecc. mi permettevo di chiedere in che modo, il ‘come’ un gesto fisico potesse far approdare a tanto. Mai avuta nessuna risposta. Restavano bellissime frasi, intense massime, di fatto avulse dal contesto, dalla pratica fisica, dalla realtà, piuttosto simili a quei bigliettini che accompagnano il gusto di cioccolato di un ‘bacio Perugina’ e regalano un momento di sogno a qualche impacciato adolescente. Disarmante nella sua vacuità il silenzio di nessuna risposta, nessuna teorizzazione pedagogica / androgica, nessuna proposta didattica.

3. “E se qualcuno, come qui, dice qualcosa che non capiamo, tanto meglio: forse lo sogneremo, o forse ci ritorneremo su” (D. Gaita ‘Il TAO della psicoanalisi’).

 


mercoledì 2 luglio 2025

Tre piccole insignificanti cose fondamentali da sapere quando pratichi Arti Marziali.

Tre piccole insignificanti cose fondamentali da sapere quando pratichi Arti Marziali.

  •  La prima, sapere cosa ti serve per uscire di casa ed arrivare puntuale a lezione.
  • La seconda, sapere ‘cosa’ stai facendo e soprattutto ‘come’ lo stai facendo.
  • La terza, sapere quando è arrivato il momento di smettere.


Chiunque pratichi Arti Marziali sa (o dovrebbe sapere) che la formazione (e chiamatelo pure ‘allenamento’ anche se io dissento dal definirlo così) non inizia quando entri in Dojo, ma già quando non menti a te stesso ergendo il mal di testa a insormontabile ostacolo che ti impedisce di uscire di casa o quando non gingilli per casa aspettando il momento per dirti che ormai è tardi per uscire.

Tra il frusciare accattivante della tenuta di pratica ed una percossa sferrata con più o meno dimestichezza, ci sono piccole, apparentemente insignificanti accortezze che fanno la differenza tra il Sensei che annuisce soddisfatto e quel suo sguardo rammaricato che parla di tempo sprecato.

E sì, anche quando saper smettere (che non è per forza "mollo tutto e mi dedico al divano”) è parte integrante del percorso.

  • Perché, al punto 1, il praticante sincero ed appassionato affronta audacemente quel primo avversario che è il dolorino alle costole mellifluo nel suggerirti “stai a casa, curati, riposati” ed è pure in grado di organizzare gli impegni di casa e lavoro così da salire per tempo sul bus senza lasciare che gli sfili sotto il naso.
  • Perché, al punto 2, non basta lanciare un pugno con determinazione, gesto che qualsiasi tamarro di strada fa, ma nessuno lo chiama artista marziale.
  • Perché, al punto 3, quando ti accorgi che l'unico gioco di gambe o di mani che ti appassiona è "alzarsi pian piano dal divano cercando il telecomando del televisore" forse è il momento di fermarti.


In fondo, a torto o a ragione, riempiendosi solo la bocca o praticando davvero nei modi adatti per riuscirci, le Arti Marziali ti accompagnano a capire educazione, rispetto e autodeterminazione.

Ma, ammettiamolo, pure ricordarsi dove hai riposto l'asciugamano per la doccia è già mezza via per l'illuminazione.

Fondamentale è sapere ‘cosa’ stai facendo, ‘come’ lo stai facendo e quando è arrivato il momento di lasciar perdere, prima che siano le rimostranze della moglie (o marito) o il tuo annoiarti a decidere per te.