
Senza un ordine apparente, forse anche senza una precisa logica, almeno apparente.
Mi sono sorpreso a godere ancora della sospensione dell’incredulità, quella che mi consente di emozionarmi
per ogni gesto, ogni movimento che rinnovo nello spazio.
Sento che le mie braccia, le mie gambe, in tanti anni,
hanno esplorato spazi e traiettorie, hanno incontrato tanti saperi diversi,
tante mappe che mi hanno condotto in territori diversi.Eppure nel mio petto c'è un cuore ancora acceso, dei polmoni ancora tesi ad inspirare ed espirare, pronti, come sempre, a dare almeno altrettanto di quel che hanno preso.
Sento che le mie mani non sono ancora stanche di conoscere il mondo, perché è questo mondo che io abito.
Con la sospensione dell’incredulità, va di pari passo la
consapevolezza che noi affiniamo la nostra intelligenza più completa, quella
fisicoemotiva, solo ingaggiando vivaci
corpo a corpo con altri esseri viventi come noi.
Così ho potuto conoscere il dolore, il malessere, quello
mio e quello di chi mi stava davanti. E, nello scontrarmi, l’ho preso a pugni e
strattoni, per farlo uscire allo scoperto, farlo parlare, che ne aveva diritto,
ma poi che se ne andasse via, o almeno trovasse un posto, un posto piccolo,
dove stare senza disturbare. Così ho potuto conoscere il sorriso e la gioia, quelli miei e quelli di chi mi stava davanti. E, nello scontrarmi, l’ho mischiato, sovrapposto, persino misurato, per sapere che peso avesse un momento di felicità, ma poi che non scomparisse, trovando un posto, un posto anche piccolo, dove stare perché io lo potessi ritrovare ogni volta che ne sentivo il bisogno.

Tante correnti, tante mode, a volte spassose, a volte grottesche, sempre luccicanti in questa società dell’apparire e dell’apparenza.
Ora, nel mondo del fitness, va tanto il meticciato più strampalato che vede piloyoga e la fitboxe praticata in acqua, acroyoga e fusion pilates. Importante è fare, non solo senza pensare, senza mettere in gioco di sé come se l’individuo fosse una macchina, un asettico ripetitore dai tratti ossessivo compulsivi e non un essere vivente, ma pure proponendogli accozzaglie di gesti privi di un retroterra di principi e di anatomia sapienziale.
Nel mondo delle Arti Marziali e degli sport da combattimento, è passata come una meteora una pratica che si piccava di essere nata in strada, tra autentici duri e subito fonte di attrazione per anonimi impiegati ed aitanti studenti di buona famiglia, altrettanto subito, appunto, sparita fagocitata da lotte intestine per un pugno di soldi in più e l’esclusiva o meno del “marchio”. Ora è la volta di una pratica para militare, insegnata da giovanotti che, non fosse che per la giovane età, non dico una guerra vera ma nemmeno il militare di leva hanno fatto, e di uno sport da contatto il cui massimo godimento pare essere offrire il proprio viso inerme ai pugni e ai calci dell’avversario senza schermarsi con le braccia o evitare con gli spostamenti. Che lo facciano consapevolmente o meno (personalmente, propendo per la seconda ipotesi), complimenti nel caso sia coraggio e attenzione alla sanità mentale nel caso a spingere sia un tratto masochista, l’inconfessabile desiderio di soffrire di contro ad una anonima vita di “bambagia” e protezione genitoriale.
Di quelle mode, insomma, che hai da pulire spesso per il piacere e, per la stessa noia del piacere, hai spesso da cambiare.

Fiducioso, pur con il peso degli anni e delle tante sconfitte, in un apprendimento maieutico come fonte di risorse personali e di piccoli gruppi, di contro alle certezze dogmatiche e stereotipate.
E questo è, anche se non so bene il sapore che mi ha
lasciato in bocca quanto ho masticato e digerito in tutti questi anni; anche se
non so se mi mancano di più quei ricordi, fattisi incerti negli anni, delle
serate e delle giornate a danzare e muovermi di questo e di quello o questa
rinnovata voglia di avventura verso una pratica, un’attenzione corporea che
investe ora nitidamente lo stato di coscienza, il modo di pensare, la
percezione sensoriale e la qualità del movimento, voglia di avventura che deve
però necessariamente fare i conti con l’intralcio dell’età e il tempo che si
assottiglia.
Probabilmente sta a me farmi il regalo più bello: regalarmi del tempo, del tempo per me.
(F. Lorenzoni)