martedì 31 dicembre 2024

Per non dimenticare. Mai




Giorno 30 Dicembre 2024, a zonzo per una metropoli affannata ed affaccendata nella ricerca del regalo o in visita turistica. D’altronde quante cinquantenni ingioiellate e vistosamente truccate fanno loro il motto “Natale non sarà Natale senza regali”, ricordando quel “Piccole donne” la cui lettura ha aperto loro la strada alle successive goffe narrazioni di Susanna Tamaro, Andrea De Carlo e Fabio Volo, che la scrittura di un romanzo non si nega a nessuno, persino a loro, e qualcuna, spero poche in verità, questi pure legge. Accanto camminano anzianotti tirati a lustro, un po' di pancetta, e l’andatura rattrappita a mostrare che non bastano le partite di padel o il bighellonare tra una chest press machine (quella che un italiano mediamente pensante chiamerebbe “pressa per i pettorali”, ma ormai l’assenza di pensiero pensato è nascosta da un grossolano vocabolario anglofono) e il momento dello spinning (che sarebbe quel tormento per cui, incalzati dalle urla di un nostrano sergente maggiore Hartman – il brutale graduato che strapazzava le inermi reclute in Full Metal Jacket – un tizio, per altro pure pagante, si autoinfligge vorticose pedalate fino a sfinirsi restando sempre e comunque fermo, lì, nello stesso identico posto da cui ha iniziato la pratica masochista) per ridargli la gioventù persa in anni di lavoro frustrante e relazioni sentimentali non appaganti.

Il sole c’è, e scalda corpi e cuori. Ripercorro strade che mi odorano di gioventù, di poco superata la metà del ‘900. Ricordo che al bel borsello comprato a Parigi è stata sottratta la strada di un futuro immaginato, rientrati rapidamente a Milano alla notizia della strage della Loggia, in Brescia.

Entro in piazza Fontana, echi di un circolo anarchico al Ponte della Ghisolfa, lapide per un anarchico innocente gettato dalla finestra ma guai a gridare chi è stato, che la giustizia del potere costituito ha detto il suo, assolvendolo.

Se dilatassi le narici sentirei ancora l’odore acre dei lacrimogeni, la voglia forte e pazza di andare incontro ai manganelli ed alle divise schierate a proteggere il potere; la fottuta paura nello scontro, che fa vergogna ripensarlo, ma il coraggio scemava sempre, ad ogni impatto, e beati gli eroi del coraggio o gli insani dell’audacia ad ogni costo. Io no, io avevo paura.




La lapide in memoria del compagno Santarelli (1), uno dei tanti, troppi, uccisi per aver voluto cavalcare un ideale. L’ingenuità collettiva di credere che potessimo cambiare il mondo in pochi giorni, a sprangate e slogan sovversivi.



“Quando tutte le altre forme di comunicazione falliscono,

la violenza è necessaria per sopravvivere”

(T. Kaczynski, meglio noto come Unabomber)

C’è una stradina, dietro i giardini della Guastalla, ed una casa austera. Nemmeno ricordo il suo nome, ricordo solo che era alta, bella, elegante, mi pare svizzera, ed era piacevole conversare con lei. Certo il fatto che si è buttata dalla finestra, chissà perché: A noi sembrava avesse tutto.

Costeggio i giardini e chissà dove ho smarrito le foto che mi ritraevano col mio amico “Motore”, compagno di musica in gruppi rock - blues giovanili e lunghe chiacchierate notturne in una piccola piazza a Città Studi, e quella mia fidanzatina, Francesca, dagli occhi mansueti ed il fisico statuario.

Pare un gioco questo ricordare spontaneo o forse è la memoria segreta del cuore, attorno vociare sommesso di giovani e rumore di crocchi davanti ai muri dell’università Statale. Cappotti firmati e tacchi alti, rumori di passi che mi superano, giovani le cui parole si ordinano in una fila di anglicismi biascicati e termini tecnici di professioni tecnocratiche.

C’è ancora, resiste indomito Panarello, lui sì ben più vecchio di me che è a Milano dai primi del ‘900, con i suoi inconfondibili cannoncini alla crema.

Mi sono tenuto alla larga dal liceo Berchet, ma non sfuggo ai ricordi delle partite a calcio in cortile, e al compagno di classe che mi richiamava a salire per l’interrogazione rispondevo sempre “Dì alla prof che sto giocando, salgo quando la partita è finita”. Scuola, di fatto in mano, a noi studenti. Massimo rispetto per la Solmi, severa ed adorabile lei che era nipote del poeta, o per il professore di filosofia, ex prete dai rigurgiti ribelli, per gli altri solo distacco, quando non disprezzo. Gli anni d’amore con Patrizia “Pirillo”, bellissima nei riccioli neri e gli occhi color foglia d’autunno, l’alleanza col maoista di “Servire il popolo”, nell’armadietto lui una vanga, io la fida spranga. Il “Morini 175 cc.” parcheggiato in strada e la maturità ben superata.

Mi chiedo se questa presenza ridondante di ricordi, così estrema da apparire incondizionata, non sia in anticipo sui tempi della vecchiaia, se per vedere al di qua e al di là di me non convenga sospendere il pensiero sugli altri che mi camminano accanto e sulle novità di cose e persone che ora affollano il centro di Milano.

Ma tant’è per non dimenticare mai, almeno fino a che mi sarà dato ricordare. E forse, alle soglie del 2025, non posso che augurare a tutte e tutti di ricordare di sé e del mondo attraversato, di sé e del mondo che avrebbe voluto. Di sé e di quel che resta e si può fare nell’anno che verrà.

“Ricordate il moro come un uomo che ha amato, dissennatamente sì,

ma con tutto se stesso”

(Otello di W. Shakespeare”)

 

1. “Quei cortei che divengono la prosecuzione delle assemblee, delle riunioni, delle letture, delle discussioni, fatte con altri mezzi. Dove i corpi e le coscienze si mettono davvero in gioco; quando arrivano le cariche brutali dei nemici, servi di Stato. Precedute dal buio fitto dei lacrimogeni; sparati ad altezza d’uomo. Come nel primo anniversario della strage di stato: il 12 dicembre 1970. Quando 300 anarchici corrono, fino alla Statale, inseguiti dai carabinieri inferociti” (C. Taccioli)

 

 

 

 

 

mercoledì 18 dicembre 2024

Muoversi a partire dagli organi: Questo sì che è lavoro “interno”!!


“Non di ‘cose’ ma di processi siamo fatti, nello spazio e nel tempo,

nel corpo, nella mente e nel cuore.”

(E. Parrello)

Piccolo gruppo di giovani donne, tra yogin, danzatrici, terapiste del corpo ed un solo maschio e nemmeno giovane perché della metà del ‘900: Io. Una sala dai caldi colori, la musica dolce e suadente, i corpi che si assottigliano e fremono di movimenti liberi e fluidi.

Body Mind Centering (1) ed oggi il tema sono gli organi interni, in particolare i polmoni.

Nella Medicina Tradizionale Cinese, sono una specie di “ombrello” che protegge tutti gli organi interni. Il polmone controlla la diffusione dell’energia difensiva (Wei Qi).

Eleonora e Federica, le due docenti, ci accompagnano tra giochi di sensibilità e contatto, immersioni nel respirare, fino al muoverci a partire dai polmoni e sentendo come essi sostengano il corpo tutto.

Il mio respirare mi prende e mi avvolge in un abbraccio totale, anche se ci provassi non me ne potrei liberare: Troppo bello, troppo emozionante ciò che sto avvertendo. Cuore profondo nel petto, un velo di tessuto candido avvolge il me che danza. Adesso sono libero e consapevole, solo eppure insieme alle altre figure danzanti.

Le covate di sogni mai realizzati, le aspirazioni mai raggiunte, le ragioni imperfette delle scelte e delle “non” scelte, i miei piccoli motivi e le grandi congiunzioni, sono danza dei e nei polmoni.


E’ il Maestro Tokitsu Kenji a scrivere: “Praticare il tai chi chuan con il principio del tai chi significa attivare le sedi dell’energia del corpo” ed ancora “L’esercizio interno richiede l’attivazione e il rinforzo del dinamismo interno del corpo” (Tokitsu K.: Arti Marziali: Trappole e illusioni).

Sì, ma come? E’ sufficiente l’attenzione alla muscolatura profonda, al lavoro delle articolazioni o c’è altro, altro di più profondo, di più e realmente interno?

Certo che c’è dell’altro, eccome!!: “Imparavamo a individuare la posizione di un organo all’interno del corpo, la sua funzione, il tipo di tessuto che si percepisce attraverso le mani, e a dare inizio al movimento a partire proprio da lì” (B. Bainbridge Cohen: Sensazione, Emozione Azione). - il grassetto è mio. Per saperne di più https://www.bodymindcentering.com/) (2)

Sì. Se non si attraversa questa esperienza, se non la si fa propria, se non diviene pratica abituale di corpo è inutile, è goffo, è … gaglioffo e menzognero proporsi Maestri, SIfu, praticanti di Neijia Kung Fu, di Arti Marziali Interne, di Tai Chi Chuan o Pa Kwa Chuan o Chi Kung / Qi Gong.

Senza la consapevolezza e la pratica motoria, gestuale, a partire dagli organi, si resta dentro il recinto delle “ginnastiche dolci”, si bara proponendo lavori che attingono solo ed esclusivamente alla muscolatura superficiale, che sono dunque solo “ginnastica”, benché venduti come Tai Chi Chuan, Chi Kung / Qi Gong, Neijia Kung Fu.

Quand’anche essi attingano alla muscolatura profonda, alle articolazioni e al tessuto connettivo (e, a mia esperienza marziale ormai quasi cinquantennale, sono pure pochi, pochissimi, i Maestri e Sifu che arrivano, e però si fermano, alla muscolatura profonda ed alle articolazioni) non sono ancora Neijia Kung Fu.

Senza la presenza degli organi interni

non stai proponendo e praticando un lavoro interno,

non fai Tai Chi Chuan, Chi Kung / QI Gong, Neijia Kung Fu

Spiace, ma è così.

Allora eccomi, ancora una volta e grazie al Body Mind Centering, a praticare “interno”. E il prezioso viaggio che sa di energia interna (Qi o Chi nella cultura cinese, Ki in quella giapponese) di Naido (il “percorso interno”), continua per me e sarà poi terreno di pratica per gli allievi che mi accompagnano lungo il cammino Budo, lungo lo Spirito Ribelle.

 

1. BMC è una pratica nata all’interno dell’area chiamata Anatomia Esperienziale. L’Anatomia Esperienziale è un approccio che conduce ad entrare in contatto con se stessi a partire da una profonda e interna conoscenza del corpo e delle sue strutture. A differenza dell’anatomia così come conosciuta, che studia il corpo considerato come oggetto (Korper) e dunque attraverso osservazioni esterne e visive, l’Anatomia Esperienziale studia il corpo vissuto e vivente (Leib) e si fonda sulle informazioni che ci arrivano direttamente dall’esperienza. Immediato capirne lo stretto legame con la Medicina Tradizionale Cinese e, a parer mio, con le origini della stessa medicina “occidentale” quando questa affermava: “Ricordati che il miglior medico è la Natura: guarisce i due terzi delle malattie e non parla male dei colleghi” (Galeno 131 – 201), Sarà alla fine del 1500 che la medicina “occidentale” prenderà le distanze dalle sue origini e diverrà esclusivamente razionalità e determinismo in luogo di Natura e divino; che da essa verranno banditi e perseguitati i guaritori tradizionali con un trattato pubblicato sotto re Giacomo I d’Inghilterra (1597). Ciò portò a dimenticare e poi dileggiare e disprezzare tutto ciò che non era meccanico e quantificabile: “In sostanza quindi quella che poi sarebbe diventata la moderna medicina occidentale ha un approccio sempre più analitico e di dettaglio, cercando di isolare le malattie in base alle zone del corpo umano che ne sono interessate e considerandone solo ed esclusivamente gli aspetti fisici e materiali” (E. Sassi: L’impronta dell’elefante). Il disastro era stato compiuto, la cura dell’essere umano sarebbe poi progredita solo per un troncone, dimentica dell’altro e della potenza e delle possibilità che l’unità, l’unione, le avrebbe potuto dare.

2. Perché ho dovuto abbracciare una pratica ed un pensiero estraneo alle Arti Marziali per approcciare e studiare il corpo e il movimento dall’interno? Perché non ho ancora incontrato, di persona o tramite libri e documenti vari, un Maestro o SIfu o un semplice adepto di Neijia Kung Fu e delle arti che al Neijia Kung Fu si richiamano, che conosca e pratichi realmente con i principi Neijia /Naido. Parole tante, pratica nessuna. Conservo la fiducia che qualche esperto di lavoro interno studiato con i metodi Neijia /Naido, da qualche parte del globo, ci sia.  E’ che non appartiene alla pletora dei nomi che circolano nell’ambiente marziale, tanto meno ai nomi pubblicizzati dai siti e dalle riviste. Fa eccezione il Maestro Mantak Chia, di cui seguo da alcuni anni gli insegnamenti. Probabilmente, è la mia sensibilità al tema e la mia cultura inevitabilmente “occidentale” che mi hanno spinto ad affiancarne la pratica e lo studio con una “disciplina”, il Body Mind Centering, il cui linguaggio e proporsi sono immediatamente comprensibili ad un individuo “gajin” (persona esterna, non nata in Giappone. Per estensione: Persona non appartenente alla cultura asiatica), ovvero un italiano del terzo millennio. Non posso poi non citare il Maestro Tokitsu Kenji, probabilmente il più fine ed acuto ricercatore vivente di ciò che è Arti Marziali. Di lui ricordo, già diversi anni addietro ed in anticipo sui più, l’accento posto sullo scheletro e sulla muscolatura profonda, per cui forse è già entrato nel terreno degli organi interni, ma è un sapere che, per ora, tiene per sé.

 




 

 

domenica 1 dicembre 2024

Il mio pensiero di Dicembre 2024

 


Lo scorrere degli anni è anche l’ingresso, ormai da un triennio, nella decade che, a Dio o al grande Coniglio o al Manto del Mistero piacendo (ognuno di voi scelga quale, o altro, punto di riferimento ed origine più gli aggrada), mi sta conducendo verso l’ottantesimo compleanno.

Mentre chiedo alle Moire, inflessibili divinità del destino, di concedermi altri anni da vivere in salute, mi sovviene una severa riflessione.

Credo, ne sono certo, che ad ognuno sia data la facoltà di imparare, sempre.

Non lo fermi il tempo, e tutto quello che ti è accaduto non puoi fare che non sia successo. Ti resta però, sempre, l’istante del “qui ed ora”, sfrontata sfida all’eterno.

Così, qualcosa accade dentro e fuori di me, e mi gusta farne strumento sensibile per provare a comprendere l’altro che mi sta accanto. Perché osservare la diversa organizzazione del movimento di ognuno apre le porte della consapevolezza, la sua quanto la mia. E’ il dono che porta l’insegnare. E’ una porta aperta sull’espressione artistica.

Il mio compito, compito di Sensei qui allo Spirito Ribelle, non è insegnare un gesto “tecnico”, un modo giusto per muoversi, non è obbligare alla fedele copia del gesto dato. Il mio compito è proporre esperienze motorie, concrete esperienze fisicoemotive perché ogni allievo, ogni praticante, porti in figura quel suo movimento dal quale origini il suo personale stile di movimento, suo e solo suo, non omologabile a quello di altri.

Il mio compito è vegliare perché, ad ogni incontro, nessuno dorma sull’orgoglio di quanto appreso in precedenza, ma sempre si nutra ed arricchisca delle prove che fa di sé corpo, delle sensazioni del proprio corpo e di come le legge ed interpreta attraverso le proprie percezioni, fino alla capacità di essere testimone non giudicante del movimento degli altri.

Ogni individuo non può non essere, non può finire prima di essere cominciato. O almeno questo è l’imperativo che mi sorregge nel tentativo di proporre una Via di conoscenza e crescita, Via che è Budo.

Poi, certo, a fronte del furore e della reiterata insistenza di una cultura iper moderna, quella che vuole ad ogni costo fagocitare il potenziale “cliente”, che spinge alla pubblicità invasiva, quella per cui ogni modo è buono per accaparrarsi un allievo, quella del marketing compulsivo, balugina il motto della Tradizione asiatica: “Quando l’allievo è pronto, il Maestro arriva”. Punto.

Però… forse residuo di una concezione di vita, di una cultura occidentale che non si rassegna ad attendere ma vuole, pretende, di fare, quale modo c’è (sempre che ci sia modo), di accompagnare il curioso, quello che ci incontra per caso e suo malgrado, ad essere pronto?

Mentre ci rifletto, ecco un’ipotesi, una possibilità dalle tinte fosche: Che grottesco scherzo sarebbe, pensiero irriverente, se a non essere pronto fosse il Maestro, se fosse questi a non cogliere i diversi sentieri che comunque portano dentro il Sapere. Se l’ameba, improvvisamente e di suo, sapesse trasformarsi tigre.

Oppure, e qui le tinte da fosche si fanno nero pece, senza via di scampo, se il destino, quello ricco e provvido di fortuna, spettasse alle amebe e non alle tigri… già, perché, segnali inquietanti ovunque, pare proprio che l’estinzione a breve tocchi a queste ultime e non alle prime.

Ricordando la fascinosa Patty Pravo, questo non lo vivo affatto come un “pensiero stupendo”.