giovedì 30 gennaio 2025

L’estetica algida

 



Questa volta, con l’amico Piero, sono a

Palazzo Reale

Per la mostra fotografica di

George Hoyningen – Huene

Nato nel 1900, nella sua vita e con le sue opere ha attraversato il mondo culturale ed artistico variegato e in sussulto che fu anche di Man Ray, Coco Chanel, Jean Cocteau, Salvador Dalí e Lee Miller, il movimento surrealista e i primi vagiti della fotografia di moda divenendo un punto fermo per le più importanti riviste del settore.

Bellissime (forse perfette?) immagini in bianco e nero, impossibile non coglierne l’eleganza raffinata, il gioco di luci ed ombre, la pulizia estrema, asettica.

Ecco, qui mi fermo: Personalmente, emozioni zero. Difficile, a livello emotivo, distinguere l’oggetto posto accanto alla persona fotografata, dalla persona stessa: Due bellissime “cose”.

Ottimo fotografo di moda, cioè capace di rendere ogni soggetto un oggetto bellissimo, quasi da invidiare nella sua perfezione, da desiderare di possedere, di avere, di … comprare.

Insomma, il suo lavoro al servizio dei committenti lo faceva bene, benissimo. Tanto vi aderiva da essere “fotografo di moda”, di glamour, anche quando, libero dagli obblighi della committenza, si spingeva in terra d’Africa e ne documentava paesaggi e forme con la stessa perfezione stilistica, lo stesso stile algido, senza nulla raccontare di mistero, povertà o ricchezza, differenza dal borghese mondo occidentale che lui frequentava, forza, magia, che inevitabilmente ha quella terra, come hanno raccontato altri autori nelle diverse arti figurative o nella letteratura. Niente “mal d’Africa”, niente esotismo, niente sorpresa, niente eccitazione.

Nelle fotografie tutte di Hoyningen – Huene, almeno quelle esposte, non ho trovato nulla dei fremiti e degli eccessi del surrealismo, né ho trovato riscontro, nei ritratti femminili, delle sue parole: “Le modelle sono donne e non personalità di alabastro” perché, almeno a me, sono sembrate tutte oggetti di alabastro. Probabilmente l’influenza delle sculture greche lo indusse a non varcare mai i confini dell’oggetto bello, forse in questo limitato dal non conoscere la “religione” greca, invero pantheon di divinità umane, molto umane, con i loro eccessi, con l’assoluta noncuranza nel praticare copula, incesto e pedofilia. L’incontro trai i dettami di quella che era pur sempre una religione, con la sua severità, e le pratiche … per nulla severe ma libertine, forse avrebbe contribuito a dare emozioni e vibrazioni ad immagini altrimenti fredde, algide.




In anni in cui la professione della modella ancora non esisteva, le donne che fotografava erano amiche personali, ballerine, incontri casuali; dunque probabilmente prive di quella professionalità austera, di quella patina glaciale che contraddistingue chi della modella fa una professione. Costoro avranno portato davanti all’obbiettivo della macchina fotografica le loro incertezze, l’essere sfrontate o timide, la loro vergogna nell’esporsi o, al contrario, il loro desiderio di mettersi in vetrina: Niente di tutto questo traspare nelle foto di Hoyningen – Huene, capace con grande, grandissima bravura, di appiattirle tutte in neutre immagini di copertina.

Nemmeno quando ad essere oggetto erano corpi nudi maschili, scattati senza alcuno scopo commerciale ma solo per diletto. Nonostante l’essere Hoyningen – Huene omosessuale, i muscolosi ritratti di corpi e torsi, anche quando appartenenti al suo compagno, sono bellissime, precise ed algide immagini di corpi – cosa. Un totale ottundimento emotivo.


Mi dispongo ad osservare le fotografie a partire dal mio campo di pratica e conoscenza, ne imito le pose e posture, e tutte mi rimandano staticità emotiva. Nessuna forma umana è a spirale. La spirale rappresenta la ciclicità, l’evoluzione, il movimento della vita e la connessione tra l’umano e il divino, tanto quanto lo sforzo introiettivo, di trasformazione e di esplosione alla vita. Nelle foto, nulla di questo, solo forme a “spillo”, qualche leggera curvatura. Un paio di omolaterali e mai un controlaterale, ovvero ordine e “piedi per terra” e mai pensiero laterale, pensiero creativo, pensiero sovversivo.

Dunque, un fotografo dalla tecnica eccelsa, inappuntabile, perfettamente a suo agio dento i limiti e gli scopi del vendere un prodotto.

Come a dire, sempre nel mio campo di pratica e studio: Vuoi vedere e praticare una forma di Tai Chi Chuan esteticamente lineare, delicata, capace di catturare i tuoi occhi, di esporsi bella al pubblico? Avanti c’è posto in tante ma tante e ancora tante Scuole che ti propongono gesti aggraziati, che solleticano il narcisismo del praticante, la voglia di stare in vetrina, di lavorare corpo Korper.

Se invece ti tentasse una forma di Tai Chi Chuan che odora di “Passione, Botte e Sorrisi”, di corpo Leib che vive e sussulta, che ti parla al cuore e al ventre, che fatica a stare quieta in vetrina tanto da sfondarla le vetrina, vieni da noi, allo Spirito Ribelle.

George Hoyningen-Huene

21 gennaio - 18 maggio 2025

Palazzo Reale. Milano

 

 


 

 

 

 

mercoledì 22 gennaio 2025

Rivoluzionarie istruzioni per la pratica dei Push Hands (mani che premono)

Antico “gioco di mani” presente, con nomi diversi, in molte, moltissime pratiche marziali, siano cinesi, giapponesi, vietnamite, filippine, di esso ho già scritto più volte, per esempio:

https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2022/12/souishou-push-hands.html

(22.12.2022)

https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2024/09/cosa-sono-push-hands-sui-shou-sujin-te.html (13.09.2024)

Qui intendo scrivere, rubando un’espressione alla cultura anglofona, di dirty care.

Per essa, in ambito sociologico, si intende il prevedere, il percepire un nascente attacco violento riducendone l’inevitabile danno. Una sorta di “cura sporca” che è pratica di autoconservazione, di tutela, in un contesto apertamente ostile, fino, laddove necessario, al prepararsi allo scontro quando inesorabile.

Interpretiamo questa lettura alla luce della pratica dei push hands, quelli che noi Spirito Ribelle chiamiamo Suishou.

Lui ed io a stretto contatto di mani ed avambracci, in una situazione di distanza intima: Non proprio quanto ci sia di quotidiano, di abitudinario, nel nostro vivere ordinario. Dunque con una ridda di emozioni a cui non siamo abituati, l’odore reciproco, corpo ed alito, ad abitare il nostro gioco, lo sguardo dritto negli occhi, il tatto (l’unico senso reciproco: Non posso toccare senza essere toccato) a farla da padrone, dove giochi e trucchi di tecnica (waza) qui hanno poca rilevanza.

Chi pratichi una “cura sporca” si trova dentro un momento contraddittorio:

  • da un lato subisce l’aggressione, la pressione fino alla spinta volta a far perdere l’aderenza al terreno quando non a proiettarti al suolo. Dunque, paradossalmente, è lo stato di aggressione e prevaricazione a darti il campo d’azione entro cui puoi intervenire perché per agire efficacemente e governare lo stato emozionale necessario allo saper stare in uno scontro (essere il guerriero, che è quello per cui ti stai formando in un’arte marziale) sei costretto ad allineare costantemente ed in tempi brevi le tue conoscenze a quelle di chi ti sta offendendo;
  • dall’altro, ciò ti porta a necessariamente conoscere (beh, tentare di conoscere!!) l’aggressore più di quanto sarebbe immaginabile il contrario, perché per difenderti ti è richiesto di divenire un competente conoscitore, un esperto, di chi ti sta aggredendo (1).

L’ addentrarsi nella pratica, il divenire vieppiù esperti di come stare in queste situazioni conflittuali senza subirle o, quanto meno, riducendo i danni del subirle, col tempo ed una buona formazione fisicoemotiva consente di arrivare ad intuire e modellare i tempi e gli spazi in cui sia possibile organizzare un’adeguata resistenza fino a capovolgere a proprio vantaggio la situazione. Ciò utilizzando gestualità motorie capaci di agire negli interstizi tra una resistenza ottusa alla pressione e il cedere passivamente, e di farlo in modi non grossolanamente visibili ma che sovvertono, nascosti, quasi invisibili, lo scenario e la sua apparenza.


Come?

Ci vengono in aiuto i fluidi non newtoniani (2). Quei liquidi che percossi prepotentemente resistono senza piegarsi, frantumarsi, senza alcuna possibilità che siano penetrati. Ma se li investi lentamente, dolcemente, si lasciano penetrare, circondandoti con una mancanza di pressione ed aderenza che lascia sbigottiti. Altrettanto, se provi ad uscire rapidamente ti trattengono con la forza delle sabbie mobili, mentre ti puoi sfilare senza alcuno sforzo se lo fai lentamente, pigramente.

Ecco, se l’impatto forte e deciso sulla pelle umana comporta un’immediata reazione neuro-muscolare, una reazione di contrasto, invece accostarsi lentamente e progressivamente supera la difesa muscolare investendo la fascia, il tessuto connettivo, fino ad influenzare la struttura ossea, lo scheletro, suscitando una nulla, o quantomeno bassa, reazione nervosa, per cui diventa più facile scardinare la postura dell’opponente (3).

Provare per credere!!

E ancora va per la maggiore la convinzione che la pratica marziale sia terreno per forzuti macho men, di allenamenti alla forza muscolare, di trucchi da super sayan…

Il pensiero occidentale ha la colonna rigida, la leva e la forza bruta,

tutti concetti che ci sono familiari fin

 dall’infanzia, quando abbiamo costruito la nostra prima pila di blocchi,

cavalcato un’altalena e distrutto il nostro primo giocattolo.

Nel pensiero orientale, la forza viene dal profondo ed è flessibile, cedevole e mobile: scorre

(S. Levine)

1. In un gioco di relazione come i push hands, la necessità di conoscere l’altro dovrebbe essere reciproca: da parte di chi attacca e preme, come da parte di chi riceve. Esperienza personale ormai quasi cinquantennale in diverse Scuole di pratica, mi dimostra che non è così. Vuoi per ego spropositato, magari con evidenti tracce di machismo, o ansia di prestazione o insofferenza del contatto ravvicinato, chi prende l’iniziativa di premere per squilibrare lo fa senza l’ascolto di “come” sta e “cosa” fa l’altro, interessandosi solo all’obiettivo di “vincere” ad ogni costo, di prevalere sfondando la difesa altrui.

2. https://www.focusjunior.it/scuola/scienze/che-cose-un-fluido-non-newtoniano/

3. Un aiuto alla comprensione pratica di quanto, lo danno

  • Il lavoro sulla fascia e la tensegrità del Body Mind Centering
  • Il lavoro sul peso e sul flusso del Laban Movement Analysis

 


mercoledì 15 gennaio 2025

Un pieno di serenità

Sala, oggi, ben riscaldata (evviva!!). Siamo alla ripresa del corso

Laban Movement Analysis 

dopo la pausa Natalizia. Una dozzina di noi intorno a Micaela, la docente.

Ho proprio voglia di divertirmi prendendomi sul serio, prendendo il mio tempo per aggirarmi nei luoghi miei più profondi, affondando nella tenera melanconia che apre interiori sguardi sconosciuti quanto a quella gioia infantile che porta in cielo.

Così sono ben contento, dopo un’apertura al suolo, contatto intimo con madre Terra e fuga dal conflitto con la forza di gravità, di muovermi e danzare da solo.

Sguardo basso, movenze mie e solo mie. Nessuno può diventare tutta la nostra vita e voglio masticare il diritto di stupirmi delle cose normali, quelle banali e per questo, a loro modo, importanti. Ma da solo.

Poi, dolcemente, senza sforzo, che Micaela conosce i tempi dell’abbandono per poi riprendersi, eccomi a danzare, di una danza libera con pochi limiti e tanta sperimentazione, accanto a Franca. Avvenente e sempre elegantemente vestita anche in “tuta da lavoro”, le gambe viaggiano e con esse il cuore.

Lascio che si montino e smontino frammenti di un immaginario percorso da seguire. Lei sorride, io anche.

A volte trapela un obiettivo comune, poi lo lasciamo, io o lei, se non ci crediamo più, se le note smettono di accordarsi, se il sogno condiviso ci sfugge di mano.


Ora sono di fronte ad una neo arrivata. Occhi chiari, forse un poco intimidita dall’ambiente per lei nuovo. Ma subito scocca l’intesa, mani che si sfiorano accanto a corpi che si tendono e si rilassano. In giro per la pedana, mi accosto al suo sorriso più bello e lascio che si modelli in un silenzio di parole che è però voce di corpo e movimento.

Nemmeno il tempo di rifiatare (chiamiamolo “lavoro aerobico”, dai!!) ed eccomi con Alessia, giovane, sinuosa, birbante come me nel chiedersi a vicenda ed a vicenda rifiutarsi.

Danziamo quella che mi pare essere la fiaba di chi si incontrerebbe se un oscuro maleficio non lo impedisse. Tra scherzi e piacevoli inganni di gesti e passi, sguardi ed espressioni ilari sul volto, fughe precipitose e repentini avvicinamenti.

Coincidere con chi si è diventati credendo sia saggezza è il più facile dei tradimenti perché il suo castigo è nella pace”, scrive il poeta Michele Mari. Forse, certo è che mi sto divertendo parecchio.

D’altronde sono troppo uno spirito ribelle per apprezzare danze costrittive e costrette in passi e gesti obbligati, col Maestro che ti impone e ti corregge gesti e portamento.

D’altronde ancora ricordo, a distanza di quasi vent’anni, l’intensa esperienza di Expression Primitive con il suo fondatore Herns Duplan, ad uno stage in quel di Roma. E la scoperta di quel

 “Un minimo di struttura e molta sperimentazione” 

come Via principale sul mio cammino di corpo, movimento e Arti Marziali.




Ora sono con una giovane, giovanissima fanciulla a giocare di equilibri e squilibri. Giochi del tutto simili a precedenti esperienze formative che io da tempo ho tradotto come preparazione ai Souishou, “mani che premono”. Ridiamo, sempre sull’orlo di cadere al suolo.

Coreografie improvvisate, allontanamenti ed avvicinamenti, peso pesante e peso leggero (come faccio a non ricondurre questo binomio al lavoro di contatto nello scontro Marziale?) e la gioia improvvisa del commiato finale.

A Lunedì prossimo.

Il mio percorso formativo continua, a breve un altro Seminario di Body Mind Centering, questa volta a tema “Fascia e tensegrità”: “La rete infinita di spazi e relazioni che nel corpo unisce, connette, trasmette, comunica e informa la tensegrità” (E. Parrello); il ritorno del M° Tokitsu Kenji con il suo Jiseido; le regolari lezioni di Natked, movimento generalista.

Insomma… il pieno di serenità continua!!

 

Post illustrato con immagini tratte dalla mostra:

Amano Corpus Animae

13.11.2024 – 01.03.2025

Alla Fabbrica del vapore (Mi)

 

 

 


 

mercoledì 8 gennaio 2025

Il mio pensiero di GENNAIO 2025

 


Pratico e pratichiamo con spirito tanto appassionato quanto col sorriso che, nel mentre illumina il volto, rinfresca il cuore.

Proprio perché concentrati sul “qui ed ora” e sempre consapevoli di simulare (non fingere: Simulare) uno scontro distruttivo, ciò non esclude che il pensiero sappia che si muore. Si muore per diverse circostanze, per imprevedibili calamità, per atroci percorsi di malattia, per caso e per vecchiaia. Comunque si muore.

Ma è proprio la pratica marziale, con le sue radici taoiste che la cultura buddista non evita di bagnare, ad insegnarci che prima di morire tutti hanno diritto ad un momento di bene. E’ la pratica marziale ad invitarci a non galleggiare, ma a scendere fin nel profondo anche quando il respiro ti si strozza in gola e sai che stai per annegare. Nonostante questo, non ci dimentichiamo mai di sorridere del nostro essere umani fragili e ritorti su noi stessi e il momento di bene emerge in figura lasciando miserie e piccolezze sullo sfondo.

Pare proprio che come comportamento collettivo la specie umana, a differenza delle altre specie animali, abbia una componente autodistruttiva, di tensione pessimista e suicida a cui fa da contraltare una sfrenata voglia di dissipazione e crapula smodata.

In questo margine, chi si ispira al senso del confliggere, chi cerca radici nella bellezza dell’essere corpo, corpo Leib, e nell’accettazione del buio e della luce, dello Yin e dello Yang senza preclusione alcuna, sceglie una strada non comune: la strada dell’essere artisti marziali.

Chi lo fa, si avvia per strade apparentemente sicure che però costeggiano e poi attraversano la foresta, questo luogo selvatico, non civilizzato, che separa un luogo civile da un altro, dove vivono i mostri, che sono poi i nostri stessi mostri.

Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza” scrive il poeta Franco Arminio.

Significa, per noi artisti dell’Arte Marziale, camminatori sulla via del Budo, accostarci al contatto fisico perché dischiuda un senso profondo di noi, consentendoci di conoscere spazi (momenti?) di quiete e vuoto (sarà mica il “vuoto fertile” di stampo gestaltico?) come di esuberanza ed espansione. Significa conoscere il confine tra me e l’altro e scegliere se e come varcarlo.

Significa vivere.

Chi creda che le Arti Marziali siano palcoscenico di solerti muscolosi picchiatori o salotto di rigidi intellettuali della forma, del dogma e della dottrina, è in errore.

Esse sono elisir di vita. Vita vera.