Sabato 12 Luglio
Seminario Kenshindo

(M° Koichi Tohei)
Io e Giovanni ad impugnare acciaio. Giovanni, ultimo rimasto, ultimo ad appassionarsi di spada e Kenshindo, la “Via dello spirito della spada”, che gli altri, con gli anni, con i mesi, si sono defilati, un passo a lato, un passo indietro.
Troppo acciaio può far male se non sai guardarti negli occhi, se ti tremano i polsi davanti alle immagini di tenebra che danzano nel tuo cuore; troppo acciaio può risultare inutile, perfino ignorante, se lasci scorrere il succo e il sangue della vita come fosse liquido inesauribile e non sai, non vuoi sapere, che è liquido terminale, a scadere.
Ultimo incontro serale, nel corso Kenshindo. Domani ci attende il Seminario Kenshindo tra le coline alterne del pavese, ospiti dell’Agriturismo Cà de Figo.
Il
cerchio, sette tra maschi e femmine.
Il
serpente e la montagna.
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Il sole inghiotte le nuvole, poi sono le nuvole a masticare la luce e a risputarla tra pietre e colonne e sette guerrieri che simulano uccisioni, mutilazioni, simulano la dannazione della morte altrui per onorare la vita propria.
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Tra
le nostre mani compare l’acciaio.
Serpente
sinuoso, letale, carico di veleno, sguscia e circonda la preda, morde
selvaggiamente, denti conficcati per un solo crudele attimo, attimo che uccide.Montagna enorme, vasta, che incute rispetto e financo timore; montagna che incombe dall’alto, gigante il cui sudario erboso pare senza fine, pare estendersi a perdita d’occhio.
Eccoli insieme, serpente e montagna: fluidità letale e possenza straripante. Movenze nascoste, quasi impercettibili, e presenza inamovibile, quasi immanente.
Sfoderiamo l’acciaio, katana dal tagliante affamato.
Acciaio che devasta e lacera tutto quel che incontra; arma crudele che trancia, separa di netto senza che vi sia alcuna possibilità di ricomporre; tagliente mai sazio che strazia quando va come quando torna.
Nessun gesto, nessuna estrazione, è privo del sangue di un uomo.
Rigurgito di fiele, denti serrati e urla smorzate in gola. Rantoli inarticolati di una forza umana, profondamente umana, volta all’omicidio, lontana dalla pietas degli inetti e dalle spalle girate altrove dei codardi.
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Tagliamo
stuoie, che sono nemici, avversari, che sono …. quelle parti di noi che non
vogliamo riconoscere, che non accettiamo.
L’arte del Tameshigiri, vero
cuore dell’arte della spada, senza tagliare, senza uccidere, non vi è né
guerriero, né samurai, né autentica pratica di spada, ma solo gioco effimero
per bamboccioni e mentitori, riconosce
nella furia umana che reca orrore e sangue la sola e la stessa che può
scacciarli.Non sarà la colomba della pace né la testa girata dall’altra parte a fermare la furia umana. La furia, la ferocia umana, espressa e ritualizzata, va forgiata nel coraggo di guardarsi dentro là dove può farci paura e ribrezzo, là dove le ferite sono ancora aperte e trasudano liquame emorragico, là dove stagnano e premono insofferenti contro le sbarre della ragione, della vergogna e della morale, le nostre pulsioni più antiche e profonde.
Potenza marziale che abita l’acciaio. Poetica marziale, terapia marziale per sette guerrieri, nel cerchio di pietre e colonne delle colline pavesi.
D. “L’Arte
Marziale , per lei, è effettivamente
un’arte ?”
R. Sì è un’arte. Oggi, anche se vi è
un aspetto efficace, non la si può ridurre ad una semplice preparazione al
combattimento. Per mezzo di tecniche pratiche, l’arte marziale ci permette di esplorare
le nostre capacità potenziali. E’ una ricerca del significato dell’esistenza,
della vita e della morte.(M° Kenji Tokitsu)