Chiburi, o togliere il sangue dalla lama, dopo il taglio.
Apparentemente, è questo il significato che viene dato al gesto, piccolo o ampio che sia, in cui il praticante muove nell’aria la spada dopo aver tagliato.
“Apparentemente” per diversi motivi, compreso, come succede in ogni azione marziale, il sottile intrecciarsi di significati altri, essoterici ed esoterici.
Cominciamo col dire che, dopo aver passato la lama tra vestiti, ossa, tendini, muscoli, sangue, il semplice muoverla nell’aria non assicura la sua perfetta pulizia.
Pare ( io, pur non essendo giovane, a quei tempi ancora non c’ero ….) che il samurai avesse in uso un’ulteriore e più prosaica pulizia: togliere i residui del corpo ucciso utilizzando … il vestiario del morto stesso. Semplice e rapido: Passo la mia lama su un lembo di stoffa dell’hakama del morto ed ecco il katana pulito a dovere.
Passiamo ora ad aspetti sempre più “okuden”, nascosti, sia nel senso di non visibili nell’atto in sé sia nel senso di aspetti riguardanti il “simbolico” del tirar di spada.
- Pulire il sangue significa “calmare il mare dopo la tempesta”. Ovvero, ho preso la decisione di togliere una vita, che è, a seconda dell’impostazione culturale ed esistenziale di ognuno, squilibrare il delicato organismo del vivere del mondo; impedire ad un uomo di godere del dono della vita e togliere ai suoi cari il godimento della sua presenza; sostituirmi con ciò a (Dio, Buddha, il “Grande Coniglio”, ecc.) nel decidere chi vive e chi muore. Tale decisione, che implica il confronto con le pulsioni vitali di eros e thanatos, e le sue conseguenze nel gesto assassino, è suscitatrice di una tempesta di emozioni, ebbene essa va ora “lavata”, “pulita”:
- perché io possa fare i conti con quanto di mio orgoglio ci sia stato in quel gesto confrontandomi col delirio di onnipotenza ed ogni tentazione narcisistica,
- perché io restituisca il sangue del nemico alla Madre terra, in un ultimo gesto riparatore di riequilibrio.
o Pulire il sangue, in attesa del rinfodero (notto), significa farmi tornare pronto (zanshin) per un nuovo incontro. E’ la fase di post contatto (per dirla in chiave gestaltica) in cui, arricchito dell’incontro appena trascorso, vivo il qui ed ora di un nuovo possibile incontro. Lo vivo sia esternamente (sono posturalmente pronto ad un nuovo duello) sia interiormente, appunto con spirito zanshin (attenzione continua).
Per questo, nella nostra Scuola, “chiburi” è così importante. Come ogni nostro momento di pratica marziale il fare realistico, il simulare, è intimamente connesso con il simbolo che lo sottende.
Uno non esiste senza l’altro. Nessuna copia pedissequa di un modello meccanico, di “stile”, quanto nessuna “sega mentale” (per dirla alla Giacobbe); nessun principio teorico che, avulso dal contenuto della pratica, sarebbe una mera e sciocca illusione, appunto, “una sega mentale”.