“se non
dà non è un genitore
se non
prende non è un adultose non prende e non dà ma chiede
è soltanto un bambino”
(GC. Giacobbe)
D’altronde, l’autore, psicologo e psicoterapeuta, mi aveva già ampiamente soddisfatto negli anni passati con il suo “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”.
Qui, in “Alla ricerca delle coccole perdute”, Giacobbe prende in mano l’analisi transazionale di Eric Berne per portarci a capire come
-
essere
bambino, che non è autosufficiente ed ha sempre bisogno degli altri, imparando a farsi umili e a saper
chiedere;
-
divenire
adulto imparando ad essere autosufficienti ma capendo, con la forza, anche i
limiti del dedicarsi solo a se stessi;
-
diventare
genitore, imparando ad amare e a dedicarsi agli altri.
Sull'equilibrio
e lo sviluppo di queste tre personalità, che coesistono in noi, sul loro esprimersi nelle situazioni adatte,
ovvero senza coazioni a ripetere, senza quella nevrosi che esprime o
personalità inadatte alla situazione del momento o un’unica personalità,
ripetitiva e coatta, in ogni situazione , si giocano il nostro star bene e il
nostro rapporto con gli altri.
Mentre in
natura, in noi e negli animali, le tre personalità si sviluppano armoniosamente
e in tempi precisi, nelle società industrializzate, pasciute e iperprotette,
l'evoluzione naturale non avviene o avviene solo in parte, facendoci restare eterni bambini. Nella nostra società, complice
anche la sparizione della lotta per la sopravvivenza, l’eccesso di protezione
di padri e madri non consente ai figli di crescere, facendone quindi bambini
camuffati da adulti anche quando hanno “dieci
centimetri di pelo sotto le ascelle”, bambini in quanto mantengono
un'immagine infantile di sé a livello inconscio.
Così,
paure, fobie, panico, ansia, tendenza a colpevolizzare gli altri, depressione,
sono le manifestazioni di una personalità infantile non evoluta, sempre alla spasmodica
ricerca di amore, di sicurezza, di coccole, anche quando si travesta da adulto
o da genitore,Questa, secondo l’autore, è la base di tutte le nostre nevrosi.
E
mi vien da pensare a tutti quei quarantenni / cinquantenni, incontrati in
questi anni come counselor o come docente di Arti Marziali, con la casa
comprata dai genitori, studi e poi un lavoro scelti sotto la pressione dei
genitori quando, quest’ultimo, non procurato direttamente dal genitore e, sovente,
squalificante rispetto ai propri desideri, che, a loro volta, progettano la
vita dei loro figli sempre e comunque fungendo da protettori, mentre, invece,
Giacobbe scrive: “ il compito del
genitore non è quello di proteggere e tenere vicino a sé il più a lungo
possibile i propri figli ma quello di portarli il più presto possibile ad
essere autonomi e capaci di affrontare da soli le difficoltà della vita cioè di
lasciarli andare” ed anche “ (…) è
mille volte meglio , per la sua felicità, che faccia l’idraulico o la
parrucchiera (mestieri per altro dignitosissimi e remunerativi) e diventi un
adulto, che non prenda una laurea in ingegneria o in medicina e rimanga un
bambino per tutta la vita”.
Sono
quelli che, nel panorama marziale, si affidano ciecamente al Maestro, come a
dire che se è bravo lui lo sono automaticamente anch’io; sono quelli mascherati
da machoman, tatuaggi, spalle larghe ed andatura alla John Wayne, tutti
coinvolti da pratiche di cazzottoni e scontri fisici che è comunque sempre un
gioco, tra amici, con le sue regole, che finisce lì, tra le mura della palestra,
scansando una vita vera che è una giungla senza regole vissuta tra sconosciuti,
agita da … adulti.
Giacobbe
ci propone, in un modo che sa ben coniugare
autorevolezza scientifica e
linguaggio ilare, una serie di esempi e
di prove per comprendersi e migliorare le relazioni con noi stessi e con chi ci
sta accanto. Inoltre, il libro è un invito al recupero dell’equilibrio
essenziale per potere usufruire in toto, e a seconda delle circostanze, delle tre personalità che la natura ci mette
a disposizione, imparando, a seconda dell’occasione, a fare il bambino giocando, chiedendo aiuto e
sapendosi scusare, a fare l’adulto autoaffermandosi nell’ambiente, a fare il
genitore, donandosi e dedicandosi agli altri.
Nell’ultima
parte del libro, l’autore amplia la sua
teoria aggiungendo una quarta personalità: la coscienza, o buddhità intesa come
stato di consapevolezza, cioè la
capacità di autosservarci, guardandoci
nel nostro essere fisicoemotivo come osservatori esterni, “osservatori di noi stessi”.
La
grande forza della personalità del
buddha risiede nel potere di indirizzare consapevolmente e intenzionalmente la
nostra vita. Essa, secondo l’autore che fa ampi riferimenti al pensiero
orientale, è poi il culmine della nostra evoluzione psicologica, quella a cui
tutti dobbiamo (!?) tendere e che ci distingue dagli animali.
Un
libro che consiglio a tutti i “guerrieri”, a coloro i quali non si
accontentano e vogliono capire di sé e del mondo che hanno accanto. Un libro
inutile, invece, a chi fugge o si sfoga in palestra o nella “settimana bianca”,
nello shopping compulsivo o nel consumo senza uso, nel reiterato mostrarsi su
face book o nell’assillante cinguettare su WhatsApp.
Ah,
dimenticavo, da maneggiare con cura anche da parte dei proprietari di cani:
Giacobbe non ci va leggero con loro e con le torture che infliggono ai loro piccoli
amici a quattro zampe.Entrano cioè nel matrimonio con una personalità infantile e la convinzione assurda che nel matrimonio possano trovare conforto, assistenza, protezione, difesa, compagnia, amore.
Questo accade soprattutto alle donne, perché la loro maggiore aspettativa sono la protezione e le coccole.
L’uomo, più materialista, si aspetta un pasto caldo ben cucinato, una casetta sempre in ordine, una donna calda nel letto a sua disposizione e una madre efficiente per i propri figli che gli risolva anche il problema di allevarli lasciandogli la libertà di occuparsi della sua carriera”
(GC. Giacobbe)