“Non
importa soffrire, tanto più che proverai gioie intense. Quel che importa è non
mancare la propria vita”.
(S. Weil)
Ogni
volta che ci alziamo dal letto, dopo la dormita notturna, è un “ricominciare”.
Magari lo facciamo “in automatico”, come trascinati da un tran tran ( un
“copione”) che ci pare scritto da altri e non creato ed interpretato, di giorno
in giorno, da noi stessi.
Lo
facciamo e basta, inerti detriti trascinati dalla corrente. Oppure ci aggrappiamo
ad un domani, ad un evento che accadrà domani in attesa del quale ( aspettando
Godot ?) sopportiamo il quotidiano succedersi di cose ed incontri che nemmeno
ci appassionano e, forse, nemmeno ci appartengono.
Ecco,
scegliere il Kangeiko, lo “stage invernale”,
è certamente un atto di coraggio. Un prendere, per una volta, coscienza di quel
che siamo e facciamo.
Altrimenti,
che ci faremmo alle 07.00 del mattino, a praticare i fondamentali del Tai Chi
Chuan a meno 2° ? Che ci faremmo, sotto
la neve che fiocca ininterrottamente e su cui sprofondiamo fino alle cosce, a
misurarci col Kenpo prendendoci a bastonate e pugni e spintoni ?
No,
non è temerarietà, nemmeno machismo, neppure masochismo. Nulla da dimostrare né
mostrare.
Solo
il coraggio di entrare a viso aperto nel “qui ed ora”, magari mettendo in
discussione, con la propria di vita, anche quell’ambiente sociale, culturale ed
economico in cui viviamo.
Il
coraggio di ascoltare la natura in un contesto dove la mano umana, pur
presente, non ne ha distorto ed offeso l’intima essenza. La natura, folgorante
ed intenso luogo di accoglienza. Essa si concede in una vita vissuta che solo
la pratica marziale sincera, laddove combatti per non morire e non certo per
tonificare il fisico o vincere una medaglia, conosce nella sua purezza intatta.
Nulla di essa appare invano, tutto ha un suo peculiare modo di apparire ma
anche di sprofondare nell'invisibile. Un darsi, un comunicare inesauribile che
coinvolge e suscita tutto il nostro essere, sensi ed immaginazione, cuore e
respiro.
“Si possono e anzi si devono sognare altri
mondi, ma il cuore ci insegna che dobbiamo respirare nel mondo in cui ci troviamo”
(C. Riva in “Conflitti” 2013 a. 12 n°1).
E
questo, immersi nella neve, è il nostro “qui ed ora”, il nostro precario e per niente sempiterno
mondo. Un mondo, personale e collettivo, in cui ascoltare il nostro respiro:
inspirare ed espirare, ovvero stare fermi ed agire, accogliere e dare. Un
altalenarsi, un incontrarsi e scontrarsi di ascolto ed azione,
Per
una volta, per due giorni, a prendersi cura di sé e di chi ci sta accanto, a
immergersi nel creato, anche nelle sue manifestazioni più violente e
inospitali.
Ognuno
di noi guerriero del Kenpo, povero e forte insieme della propria fragilità
umana, energico ed entusiasta, generoso e propositivo; ognuno a suo modo cogliendo il ritmo delle cose e della vita.
“Io
ritengo che sia necessario ritrovare ciò che appare fondamentale nella vita di un uomo, una
tensione spirituale continua nel corso degli eventi quotidiani, la tensione
tipica di colui che sa attendere con animo vigile il momento del pericolo”
(Y. Mishima “Lezioni
spirituali per giovani samurai”)