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1998 Teatro Marziale |
Pare
che il fondatore del coaching (1), così come arrivato ai giorni nostri,
sia stato Tim Gallwey, istruttore di tennis degli anni '70, il quale si chiese
cosa accadeva nella mente dell'atleta quando la palla non era in gioco e come
quei pensieri avrebbero influito sulla
sua prestazione. Egli Individua così un “gioco
esterno”, quello che si vede, e un “gioco interno”, quello della mente,
sviluppando delle tecniche “non direttive” che hanno lo scopo di portare consapevolezza sul gioco interiore e affidare
la responsabilità della crescita prestazionale all'atleta stesso.
Sono
passati più di quarant’anni, e 2.500 circa dalla nascita di Socrate a cui
dobbiamo la maieutica (2), e ancora
siamo, nelle Scuola di ogni ordine e grado, nelle pratiche sportive fitness o
agonistiche, nel sentire generale, a dare modelli da imitare, a considerare l’allievo come un contenitore
da riempire, in un’ottica che, in linea con la società capitalista,
privilegia efficienza e prestazione, l’acquisizione delle competenze come “indici subordinati al criterio acefalo della
produttività” (M. Recalcati): numeri e quantità, sono i termini di
paragone.
Cominciamo con lo scrivere che, in qualsiasi ambito del
sapere ci si muova, non vi sono cose come la “storia”, bensì solo storie. Che
non c’è una cosa come l’ “oggettività”, bensì solo gradi diversi di
soggettività; che qualsiasi cosa diciate che una certa cosa è, non lo è; che le definizioni, gli assunti, e le metafore
di un individuo determinano i fatti che scoprirà; che il mondo vive un
costante processo di cambiamento e che non possiamo mai “vederlo” né
comprenderlo tutto; che ognuno dei
nostri sensi è … un censore, e così anche ciascuna delle nostre frasi e
interpretazioni.
Banalmente,
consumo e di nuovo consumo tempo ed energie per spiegare, ogni volta, a mio
figlio Lupo che non esistono i valori assoluti: “Torino è distante da Milano ?”
“Dipende. Lo è più di
Abbiategrasso ma meno di Parigi. Se ci vai in Mercedes, con accanto un paio di
amici, mentre guida un autista, lungo un’autostrada sgombra è ben poco distante
rispetto a raggiungerla pedalando in bicicletta in un giorno di vento e pioggia”;
che tutto muta, basta guardare le teorie nutrizioniste o quelle sulla materia;
che ogni mutamento o “scoperta”, in qualsiasi campo, si accompagna sempre a “poteri forti” che lo indirizzano in una
direzione piuttosto che nell’altra a seconda di interessi economici e di potere,
altro che verità ed oggettività !!
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2006 La Notte del Guerriero |
Purtroppo,
vigono ancora, e sono generalmente condivisi, concetti del tutto fallaci:
·
il
concetto di “verità” assoluta, fissata, immutabile, in particolare da una
prospettiva dualistica di buono/cattivo.
·
Il
concetto di certezza. C’è sempre una e una sola risposta “giusta” e questa è
assolutamente “giusta”.
·
Il
concetto dell’identità isolata, l’idea che “A è A”, semplicemente e una volta
per tutte.
·
Il
concetto di stati e “cose” fissati, con l’idea implicita che se si conosce il
nome si conosce anche la “cosa”.
·
Il
concetto della causalità semplice, singola, meccanica; l’idea che ogni effetto
è il risultato di una causa unica, facilmente identificabile.
·
Il
concetto che le differenze esistono
solamente sotto forma di paralleli e di opposti: buono – cattivo, giusto –
sbagliato, sì – no, corto – lungo, sopra – sotto, ecc.
·
Il
concetto che la conoscenza è “data”, ovvero che essa emana da un’autorità
superiore e che dev’essere accettata senza dubbi né discussioni.
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2006 Stage Estivo |
Del
tutto in modo antagonista, scrivo pure “alternativo”,
la nostra Scuola, lo Z.N.K.R. è una fucina, un laboratorio, in cui proporre e sperimentare, attraverso didattica e pedagogia /
andragogia di stampo maieutico. Ovvero un metodo che ponga l’allievo al
centro di ogni pratica, cominciando da
quello che egli sente, quello che teme, per cui si commuove, quello a cui
aspira, quello che più lo emoziona .Perché egli è individuo fisicoemotivo e nella forma visibile del corpo si traduce
sia il modo di essere che il modo di agire, poiché l’unità psicofisica collega
le tre componenti, vita psichica, vita vegetativa inconscia e vita tonico –
motoria, sia cosciente che riflessa: “La
struttura delle tensioni muscolari determina i movimenti, il portamento, e la
caratterialità” (S. Guerra Lisi)
Il continuum che le tiene
insieme è il movimento. Infatti, qualunque essere vivente, anche se
apparentemente statico, è in movimento: non solo respirazione e pulsazione
cardiaca ma i moti d’animo, l’imago – azione, sia pure in stati alterati di
coscienza fino al coma stesso. (3)
Dunque,
noi allo Z.N.K.R., proponiamo una pratica
esperienziale che si proponga di sviluppare un individuo “guerriero” (colui
che sa stare nei conflitti), capace di agire flessibile, creativo, innovatore, tanto
tollerante quanto assertivo, in grado di affrontare incertezza e ambiguità con
coraggio ed audacia.
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2011 Kenshindo, M° Valerio ed Angelica |
Noi
allo Z.N.K.R. siamo consci di una cosa tanto ovvia ma che nessuno ricorda più,
ovvero che “ La funzione fondamentale di
ogni tipo di istruzione, anche quella più tradizionale, consiste nel fatto di
aumentare le prospettive di sopravvivenza del gruppo. Se questa funzione viene
svolta, il gruppo sopravvive. Se no, esso muore” (N. Postman).
E
non sono i valori assoluti o le certezze dogmatiche, le tecniche o le
tecnologie, a stabilire chi sopravvive e chi muore, ma è la persona dietro a
queste tecniche e tecnologie e come le impara e le gestisce e cosa e come si
spinge oltre, verso nuove scoperte, verso nuove … incertezze !! (4)
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2012 Festa in Dojo |
Attenzione
al rischio paventato dalle menti più attente: “Nello scientismo, di cui l’ideologia delle competenze è un’espressione
attualissima, il sapere anonimo e robotizzato dell’Altro domina senza limiti e
riduce il soggetto a un contenitore passivo, da riempire di contenuti. Nella psicosi come nello scientismo
non c’è posto per la singolarità” (M. Recalcati).
Per
restare nel nostro ambito, le Arti Marziali e parenti prossimi, andate a vedere
( e a praticare, se vi regge lo stomaco !!)
là dove l’insegnante detta ordini, mostra gesti da copiare, movimenti da
imitare mentre la pletora di juodoka, karateka, kick boxers, tai chi chuanisti ecc.
si forza di memorizzare e copiare la sospirata e “pagata” verità che viene loro
elargita e li renderà più sani, belli e forti. A furia di imitazioni, premiando
chi ripete al meglio, chi riduce l’apprendimento alla riproduzione più fedele:
massima valutazione all’allievo che sa ripetere
il più esattamente possibile gesti e movenze che gli sono stati
impartiti. Schiera di modesti cloni in preda ad una diffusa anoressia fisicoemotiva,
psicomotoria.
E
mi spingo fino all’audacia di sostenere che il sapere è quanto ognuno scopre
lungo un percorso autonomo, magari fatto in gruppo e sotto l’accompagnamento di
chi ha più esperienza ( il Sensei, “colui che è nato prima”), ma senza alcun foglio
delle istruzioni, senza un tracciato definito a priori. Perché questo sentiero si traccia solo
percorrendolo, dunque si fa solo nel movimento e nell’agire di chi lo
percorre, perché non esiste prima di esso.
Un
sapere, non solo del tutto personale, ma sempre in mutamento, sorta di “vuoto fertile” (5), per usare un’espressione cara alla Gestalt, in grado di
mostrare nuovi non saperi cui
anelare. Porte che si aprono su altre porte da aprire.
Da
un lato, nella pratica marziale ma anche nell’istruzione scolastica di ogni
ordine e grado, nella pratica sportiva ma anche nella trasmissione educativa
familiare, domina l’illusione di raggiungere il sapere come supremazia, come
riempimento certo ed assoluto di una mancanza, un sapere che pretende di estromettere incertezza ed errore.
Nel
nostro lato ( e di pochi altri 6),
c’è lo sforzo per tenere sempre accesa la passione dell’imparare; l’errore come
“maestro” insostituibile e fondamentale per farci procedere; la consapevolezza
che ogni cosa ne significa un’altra che conduce ad un’altra ancora, svelando
tutto il limite di un sapere che non è in grado mai di chiudersi e consistere in se stesso; il
docente come testimone appassionato di un suo personale viaggio che tale
passione mette a disposizione degli allievi, alimentando in loro il desiderio
di viaggiare a loro volta.
D’altronde,
nei mesi scorsi, quando mi capitava di parlare con qualche mamma ( i papà no.
Mai. E chissà perché in questa, come in altre occasioni, semplicemente non ci
sono, latitano, delegano… avranno da occuparsi di qualcosa di più importante
che il “viaggio nella vita” dei propri figli ?) sulla scuola “media” in cui
mandare i figli, gli elementi in base a cui scegliere erano la vicinanza a casa
/ comodità di trasporto, l’assenza / riduzione di elementi considerati
destabilizzanti ( soprattutto episodi di bullismo, presenza di
extracomunitari), la scelta condivisa con qualche compagno di scuola
elementare. Come a dire la comodità, che il pargolo va tenuto comodo e noi
genitori pure; le diversità e le difficoltà della vita e del sociale fuori
dalle palle; l’evitare che affronti da solo i cambiamenti, le nuove relazioni,
rinviandoli il più avanti possibile.
Mi
viene il sospetto che abbia ragione Neill, quando scrive: “Gli adulti danno per scontato che si debba insegnare al bambino a
comportarsi in modo che disturbi la loro vita il meno possibile. Ecco perché si
dà tanta importanza all’obbedienza, alle buone maniere, alla docilità”.
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2011 Stage Estivo |
1.“Lo scopo del
coaching è di eliminare ogni ostacolo, esterno e interno, che impedisca il
raggiungimento di un obiettivo”.
“Essere consapevoli,
in generale, significa percepire le cose come effettivamente sono, mentre
essere consapevoli di se stessi significa riconoscere anche i fattori interni
che possono distorcere la nostra percezione della realtà”
(J. Whitmore:
Coaching)
2.“Da questo punto di
vista ( approccio maieutico ) i bambini non imparano dall’educatore, piuttosto
dalla capacità dell’educatore di predisporre delle situazioni in cui essi
possano imparare da soli”
“La maieutica, come
ci ricorda Socrate, è un approccio basato sul chiedere, sul fare domande”
(D. Novara: Litigare
per crescere)
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2013 Silvano |
3.“Nella misura in cui
il movimento si accompagna nuovamente ai contenuti emozionali ai quali in
origine era legato, esso torna a esprimersi come movimento primitivo.
E’ allora chiaro che
possiamo introdurre il movimento costruito, cioè una tecnica che funga da
catalizzatore e canalizzatore dell’energia, che aiuti ad approdare a un
percorso nuovo dell’espressione psicomotoria”
(V. Bellia: Danzare
le origini)
4.Come
a dire, permettetemi lo schematismo, che il “pensiero unico”, quello
intollerante nella sua prepotente ignoranza, impera stritolando ogni
opposizione, fino a che quest’ultima, eretici ed indipendenti, liberi pensatori
e creativi, pur esile minoranza, scuote e disgrega il potere del “pensiero
unico” tanto da indurlo ad una mutazione che tenga conto di questi elementi
innovativi, rivoluzionari. Questo nuovo “pensiero unico”, arricchito e mutato,
prosegue nella strada dell’intolleranza e delle verità assolute, mentre altri
piccoli nuclei di uomini indipendenti ed audaci lo combattono, fino ad una
nuova disgregazione e mutazione, e così via all’infinito ( o … a finire a
sbattere in un Armageddon apocalittico).
Un
avanzare dialettico, a suo modo “taoista” nel tenere insieme gli opposti, in
cui ognuno può scegliere da che parte stare, nella vita pubblica come in quella
sua intima e privata.
Io,
sin dall’adolescenza, la mia scelta l’ho fatta. Costa fatica, amarezza, ferite
sempre sanguinanti e cicatrici che dolorano ai cambi di stagione, ma ha il
sapore dell’errare da solo, in piena autonomia, come del conoscere e gustare
sprazzi di libertà e profondità umana inauditi; dell’incontrare, per un giorno
solo o per anni, uomini e donne eccezionali, famosi o meno, eccezionali anche
nella loro debolezza perché autentica, spesso strambi, folli di quella follia
che nella sua
anima più oscura è una possibilità umana, con le sue note più o meno dolorose e
con le sue penombre, con le sue inquietudini del cuore.
“Ho iniziato a capire
che un guerriero deve dare prova di sé non solo in battaglia ma anche nella
vita. Vive in nome di un codice (…) Il combattimento è un’estensione di quel
codice, non la sua fonte.
(…)
Il suo codice in
tempo di pace è lo stesso che in servizio: fa il tuo dovere, proteggi il debole
e la comunità, affronta il prepotente, sii sempre pronto e vigile, sii leale,
evita l’aggressività, se possibile, ma quando non lo è vinci, e vinci
pienamente. Il rispetto e l’onore si guadagnano con le proprie azioni, non sono
acquisiti alla nascita”
(colonnello D.
Grossman: On Combat)
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2014 Giovanni e Roberto |
5.“L’individuo capace di tollerare l’esperienza
del vuoto fertile, sperimentando fino in fondo la propria confusione e che
riesce a diventare consapevole di tutto quanto richiama la sua attenzione
(allucinazioni, frasi interrotte, sentimenti vaghi, strani) avrà una grande
sorpresa, vivrà probabilmente un’esperienza “Ah, ah!”; all’improvviso apparirà
una soluzione, un insight fin ad ora inesistente, un lampo di comprensione o
percezione”.
(F. Perls, R.
Hefferline, P. Goodman: Teoria e pratica della terapia della Gestalt)
6.Pochi,
ma agguerriti di pratica e di studio e di riflessione su quanto fatto, per poi
gettarsi in una nuova pratica un nuovo studio …
Penso
a Daniele Novara e al suo “Centro Psicopedagogico per l’educazione e la
gestione dei conflitti”, alle elaborazioni teoriche ed alle buone pratiche che
diffonde nella scuola dell’obbligo, sperimentando in tutta la Lombardia, là
dove incontra dirigenti scolastici e personale docente attento ed aperto. O
alle caratteristiche pedagogiche e didattiche delle Scuole “private” Steiner o
della media “pubblica” Rinascita.
Penso,
nel campo più propriamente motorio, a chi ha raccolto l’eredità di Moshe
Feldenkrais e del suo stupefacente metodo. Alla “Danza Sensibile” di Claude
Coldy, che in Milano vive soprattutto grazie all’opera di un’eccezionale
Roberta Claren.
Cito
quanto sopra perché è stato ed è parte
del personale percorso mio o dei miei figli, ma ho sentore di “altro” che
circola nella nostra città e dintorni. Basta cercarlo !!
Dubito
che ci sia qualcosa di simile nel campo marziale: quasi quarant’anni di pratica
e di scambi, mi portano a credere che qui, nelle Arti Marziali e dintorni,
regni la prassi del modello e dell’obbedienza, dell’unica risposta certa già
data dal Maestro / Sifu /allenatore, dove imprevedibilità, incertezza ed
autentica ricerca, siano banditi. E non parliamo di pratica come terapia di individuazione e crescita,
che qui il nulla regna sovrano.
Massa
di anoressici o disturbati fisicoemotivi. I quali non sapranno mai, né vogliono sapere, che “I nostri soli maestri sono quelli che ci
dicono di fare con loro e che, anziché proporci gesti da riprodurre, hanno
saputo trasmettere dei segni da sviluppare nell’eterogeneo” ( G. Deleuze: Differenza e ripetizione)