Per me, Franco Basaglia
era “solo” l’uomo a cui si doveva la chiusura dei manicomi e l’avvio di una
stagione di confronto (purtroppo mai avvenuto) tra malattia mentale e società.
Poi, leggo
Conferenze
brasiliane
Scopro, così, un uomo politico
nel senso compiuto ed autentico del termine, un militante appassionato
totalmente coinvolto nell’ottimismo della pratica, capace di annodare tra loro
lotte apparentemente le più diverse perché creino un intreccio di autentico cambiamento
strutturale.
Facile (lo so da anni!!) comprendere perché ai posti di
potere dello Stato non siano stati (e mai saranno) chiamati, che so, Basaglia o
Gino Strada alla Sanità; Daniele Novara o Anna Rezzara all’Istruzione; Augusto
Ponzio o Enzo Spaltro al Lavoro, ecc. Uomini e donne impegnati a dare lustro
alla res publica, ad una radicale trasformazione sociale. Qui, invece,
vige il motto gattopardesco “Cambiare tutto per non cambiare niente”,
dunque l’asservimento ai dettami ed ai valori della società dello sfruttamento.
Conferenze brasiliane
raccoglie, di fatto, la summa del pensiero di Franco Basaglia, le
conferenze che tenne in Brasile un anno prima di morire.
In esse emerge una visione completa e complessiva delle
istanze libertarie e trasformatrici che attraversano le menti più acute della
società ed i moti popolari di massa. Una visione che chiede ad ogni istanza di
collegarsi alle altre ed insieme di coinvolgere nel processo di radicale
cambiamento la struttura socio-economica.
Basaglia non si limita ad affermare che “Il malato non è
solamente un malato ma un uomo con tutte le sue necessità”, a smontare il
meccanismo oppressivo dell’internamento, ma arriva ad affermare “Non credo
che una persona malata possa vivere in questa società perché questa società la
uccide. E’ chiaro che il nostro compito è cambiare la società, perché vogliamo
vivere e vogliamo che il malato viva”.
Da queste premesse parte una visione del cambiamento che
investe la società tutta, nel rapporto uomo – donna, padre – figlio, ecc. e lo
fa sempre legando ogni cambiamento all’altro, intessendo un tessuto unitario
senza il quale ogni tentativo di riforma non avrà successo.
Basaglia, poi, pone in guardia il lettore dal credere che
la contrapposizione sia muro contro muro. No, il potere è capace di assorbire
ogni spinta al cambiamento annacquandolo e piegandolo, ancora una volta, alle
leggi del potere, dello sfruttamento. Visione lucida, appassionata, che impone,
ad oltre quarant’anni dalla sua morte, una riflessione anche sulle istanze di
cambiamento più recenti.
Penso alle istanze LGBTQIA e
alla teoria Gender, che, nella loro sovraesposizione, altro non sono che il
frutto di una mentalità di eterni adolescenti servi di una visione consumista,
per la quale l’individuo indefinito maschio o femmina non ha come obiettivo un
desiderio unico e personale, ma vive per soddisfare capricci momentanei.
Penso alla facile presa che queste istanze e teorie hanno
sulle menti acerbe e in formazione di adolescenti già bombardati da pretese
consumistiche di soddisfazione immediata, di appagamento immediato. Penso alla
stupidità delle organizzazioni sindacali che, alla festa dei lavoratori,
invitano sul palco tal Fedez il quale, invece di spendere parole per gli oltre
mille morti sul lavoro, cinguetta di libertà di pittarsi le unghie a piacere.
Penso a come questi pretesi diritti individuali siano ora pane quotidiano anche
per insospettabili adulti al seguito del pensiero di cantanti, influencer e
politici presunti progressisti, in realtà domestici della società dello
sfruttamento e del consumismo.
Penso alle tante lotte contro il riscaldamento globale,
l’inquinamento da plastica, il razzismo e vedo che esse restano tali, senza un
tessuto comune, senza un progetto politico comune e le vedo, di conseguenza,
depauperate e svilite da un potere che le accoglie e le inquina fino ad
avvelenarle.
Di più, vedo che nella lotta all’inquinamento non compare
mai la lotta all’inquinamento culturale, valoriale, che la sta facendo
da padrone nelle menti e nei comportamenti di giovani ed adulti.
Ormai domina l’individualismo più sfrenato, il modello USA
“Se non ce la fai, non mangi”, il narcisismo più becero e volgare, il “consumo
senza uso”, la furbizia dell’evasore elevata ad intelligenza contro lo Stato oppressore.
Alcune delle lotte dei miei anni adolescenziali e
giovanili, anni ’60 – ’70?
La libertà sessuale? Ha aperto le porte a un enorme mercato
pornografico, a un sesso virtuale in cui si evita di confrontarsi realmente, di
corpo, per fingersi quello che non si è vantandosi di prestazioni virtuali,
finte, e mettendosi a posto quel che resta della coscienza con la bugia che
“Tanto è solo un gioco”.
L’antiautoritarismo scolastico? E’ diventata l’occasione
per sfasciare la scuola come luogo di educazione e formazione e per
reinventarla introducendo i primi tentativi di restaurazione servile al mercato
del lavoro con lo slogan berlusconiano “inglese e computer” ed ora con il
“Ministero dell’istruzione e del merito”.
E’ ancora Basaglia a porre l’accento sulla questione del
potere nei manicomi come negli ospedali, nella scuola, nei luoghi di lavoro: “
Finché
non cambia la relazione di potere, non potranno cambiare le condizioni della
salute, della vita”.
Ecco, ormai nel terzo
millennio, di queste sue idee e di questa buona pratica capace di estendersi
oltre i confini della salute mentale, cosa è rimasto? Una classe dominante
ormai avvezza a quella che Marcuse chiamava “tolleranza repressiva” e il
montante individualismo che penalizza ogni costruzione comunitaria, che fa
della spettacolarizzazione il suo credo.
Non so se una soluzione, per i pochi Ribelli e visti i
profondi cambiamenti sociali intervenuti in questi ultimi decenni, sia fare il
salto dalla lotta di classe alle lotte di classe come teorizzato da alcuni,
oppure, come dice e scrive Umberto Galimberti, il nichilismo sia il nostro
destino.
Basaglia scriveva “Parlando
per assurdo, potrei alimentare tutti gli uomini, offrire casa a tutti, creare
condizioni di conforto materiale che possano soddisfare tutti, tuttavia il
dolore che opprime l’uomo, l’angoscia di ogni giorno nella relazione con gli
altri uomini, tutto questo io non posso risolverlo. Questa angoscia
esistenziale fa parte dell’uomo, è una realtà, e tale relazione tra l’ordine
sociale e la dimensione esistenziale rappresenta la contraddizione e
l’opposizione della nostra vita”.
Eppure, queste amare considerazioni non gli hanno impedito
di lottare fino agli ultimi giorni di vita per una società migliore, per un
uomo migliore.
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Scritta apparsa sulla scala presso fermata Porta Romana |