venerdì 13 febbraio 2015

Il crisantemo con la corazza


“Cold, cold eyes upon me they stare
People all around me and they're all in fear
They don't seem to want me but they won't admit
I must be some kind of creature up here having fits”

 In ufficio, dopo i miei esercizi, la mattina solitamente inizia con la voce di Baby Huey. Colosso nero, prematuramente stroncato da un eccesso di peso, gli oltre 140 kg. gli soffocarono il cuore, mentre canta “Hard Times”. Ritmo incalzante e voce sensibile, che questi, per me, sono davvero “tempi duri”, tempi difficili.

Tempi di uomini e donne che, non sapendo stare soli con se stessi, faticano nel sapere stare con chi li ama, con chi hanno accanto. Hanno sempre bisogno di fare, disfare, consumare. Anche a costo di storpiare, fino ad uccidere, sentimenti e personalità dell’altro, del tutto incuranti della fragilità che c’è in un fiore, della pazienza e della cura amorevole che occorre perché il fiore sopravviva alle intemperie.
È il tempo che si è perduto per una persona a determinare la sua importanza”, scriveva così Antoine Marie Roger de Saint-Exupéry nel bellissimo “Il piccolo principe”.

Mi guardo attorno, ed i “tempi duri” sono ovunque, attraversano tutto e tutti.
A volte, grazie all’ospitalità che mi dà Monica, sfreccio su Face Book. E mi ricordo delle parole di Roberto Cotroneo “Il nostro Paese, quello con il più importante patrimonio artistico e culturale del mondo, ha in vetta alle sue ricerche Google di quest’anno il termine: Sanremo 2014”.
Come ho già scritto, web e social sono il luogo prediletto della banalità e della prevedibilità, dell’appiattimento totale.
Non posso non restare allibito davanti a Tizio che scrive “Tizio è stato al Bar Acquafresca”, Mbeh ? A Caia che inonda il forum di giochini “Che personaggio sei nella saga ….”. Alla foto di Sempronia, decisamente scarsa nella qualità e banale nel viso ritratto, a cui un codazzo di amiche appioppa un “mi piace “ e commenti elogianti la sua … bellezza !!
Insomma, la corsa a credersi VIP miete, ogni giorno, vittime: se Belen o Lapo Elkann appaiono in TV e sui giornali perché hanno cambiato acconciatura o l’auto, sono stati “paparazzati” al tal ristorante o nella tal boutique, Tizio e Caia non vogliono essere da meno e si mostrano nell’unica arena dove è loro possibile ostentarsi, nell’unica povera piazza in cui possono fare “lo struscio”. E non importa se, in mezzo a loro, a fare “lo struscio” con loro, ci stanno le melense frasi rubate ai “cioccolatini Perugina” e l’invito a firmare la petizione per salvare i cuccioli di lontra nana, il video che ritrae il tipo che inciampa e scivola su una buccia di banana e le foto della gita in montagna della famigliola, le immagini tamarro – sexy della over quaranta scollacciata e le sdolcinate adolescenziali frasi d’amore della coppietta che, in realtà, l’età anagrafe denuncia aver lasciato alle spalle da un bel pezzo l’età dell’adolescenza. Il gran bazar del cattivo gusto e della sciatteria è il loro luogo prediletto.
Invero, come ricorda Cotroneo stesso, la qualità, lo spessore di cuore e cultura, su web e social, a cercarla, in qualche angolo remoto c’è. Ma non assurge mai a tendenza. Se offri e cerchi qualità, umanità, emozioni profonde, devi rassegnarti a un pugno di “like”, a poche visite, a un numero di “follower” ridotto.
by crisantemo-d7
Di fatto, perché pubblicare foto che tentano una ricerca estetica, un contatto emotivo, quando  alla massa piacciono i tramonti rossi e viola, quelli che, visti dal vivo, suscitano nelle pecore della massa la stessa identica frase becera: “Bello, sembra una cartolina”?. Chi scrive post riflessivi  non riceverà alcuna visita, perché in essi non è presente né l’iperbole sfacciata né la gaudente banalità del consumista.

Non tutto è perduto, però.
by ssolesus88
Perché, seppur pochi e fragili, le frasi, le immagini, i pensieri che originano dal cuore e dalla autentica ricerca interiore, sopravvivono. Sono semi, germogli di intelligenza e vitalità, che nulla concedono alla quotidiana indifferenza e stupidità del “male”, per offrirsi ai cultori del vivere e del cercare. Forse, forse, vivranno un loro piccolo splendore. Dipende da chi li saprà accogliere.
Come succede nella vita quotidiana. Come mi succede in questi miei “hard times”.
Forse, forse, l’essere apertamente vulnerabile, verrà letto anche come una possibilità, una forza da chi mi incontra, da chi mi sta accanto, da chiunque incontri un cuore aperto, vulnerabile, lungo la strada della sua vita. Forse qualcuno di costoro arriverà a capire che le rose hanno le spine, il crisantemo no.
Poi, attenti piuttosto che essere estirpato, il crisantemo potrebbe indossare la corazza e armare la mano di spada, lasciando che il fottuto giardiniere, quello che non vuole fare i conti col funerale che ha nel cervello e l’acredine nell’animo, si ferisca, fino a sanguinare, con le sue stesse cesoie.

 “Per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi d'ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali che esplodono tra le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno oh!”
(Jack Kerouac)




 

lunedì 9 febbraio 2015

cuore solitario


“Le persone spesso dicono che la motivazione non dura. Bene. Nemmeno un buon bagno, rispondo io, per questo si raccomanda di farlo ogni giorno
(Zig Ziglar)

 Percorro a balzi la pedana silenziosa, irregolare scacchiera di colori diversi, materassine gialle, rosse, blu, verdi, che coprono per due terzi la sala principale del Dojo.
Ore 18,30, l’ora del Wing Chun Boxing. Ma nessuno c’è a condividere la pratica.
Disegno tracciati di colpi e schivate e deviazioni. Ora rapido ed elastico, ora lento, ancor più lento, come se il tempo potesse dissolversi, scomparire.
L’intrecciarsi di torsioni del busto e palmate esplosive, di calci rasoterra e rantoli sotterranei, mima la ricerca della forza di un altro corpo come condizione unica per conoscere la mia di forza.
Tengo le luci basse, ragnatela di chiaroscuri tremuli, deformi a sbirciare una perversa alchimia di cose ordinarie: un calcio, una ginocchiata, una presa al collo, ovvero movimenti, gesti umani semplici, una buona intuizione che però si fa strumento di violenza, di distruzione.
Danzo da solo, in questa che è l’ora del Wing Chun Boxing. C’è sempre un buon motivo per mancare ad un incontro, addirittura per abbandonare il percorso marziale, la Via del Guerriero.

Accaldato, sudato, sono negli spogliatoi.
La giacca blu del Kenpo, la cintura nera a cingermi i fianchi.
Qualcuno entra, poi altri ancora.
La serata, è arrivato il momento del corso di Kenpo, scorre agevole, dopo il riscaldamento vivace della pallavolo, le pressioni e le giravolte sulla fit ball a simulare un controllo al suolo.
Tiriamo di scherma, lama corta e scudo piccolo, ripercorrendo le strade che furono di combattenti lontani nel tempo e nei continenti. Gruppo piccolo ma unito nello scontrarsi e poi scontrarsi ancora di corpi e respiri pesanti.

Già, c’è sempre un buon motivo per mancare ad un incontro, addirittura per abbandonare il percorso marziale.
Io, invece, ne ho sempre uno, e più d’uno, per non mancare, per tenere su la guardia, per impedire all’acqua di fermarsi, di stagnare, perché l’acqua stagnante è acqua maleodorante, perché sono i deserti del cuore e delle emozioni a creare fanatici e uomini appassiti, frigidi.
Spesso, non sempre, altri come me scelgono il momento della presenza, della ricerca, del confliggere, della conoscenza e della libertà. E allora la pedana si anima di combattenti eretici che anelano alla libertà, a conoscere di sé e di come stare, consapevolmente e coraggiosamente, al mondo
Così, continua a vivere una piccola e modesta “Scuola di Formazione Guerriera”.

 “L’accumulare conoscenza da parte di alcuni, dipende dal fatto che altri la rifiutano”
(P.D. Ouspensky)

 



giovedì 5 febbraio 2015

Il furto delle pensioni


Perché uno Stato, a parole e per Costituzione, particolarmente vicino ai cittadini, agisce così poco per sostenerne le difficoltà e così tanto per rapinarne le risorse ?
Questo attraverso manovre ed interventi di ogni genere, infatti, da Monti a Letta, da Fornero a Renzi, ci hanno privato delle certezze pensionistiche, come dello scudo dell’articolo 18.
by ataud
Raccapricciante la manovra Fornero, che in una asettica operazione di divisione, si trovò un “resto”, tipo 22 : 4 = 5, col resto di 2, che non turbò affatto la sua soddisfazione per la riuscita numerica dell’operazione. Peccato che quel resto di 2 corrispondesse a migliaia e migliaia di  essere umani che, nella voce “resto”, trovavano sia l’impossibilità di andare in pensione (già concordata con l’azienda) che quella di rientrare al lavoro. Esseri umani, cuori ed emozioni, buttati nel cestino della matematica. Disoccupati senza una via d’uscita.  Complimenti professoressa Fornero e complimenti a tuti i partiti politici che l’appoggiarono: Uomini e donne trattati come numeri.

Quel che mi colpisce, poi, è l’inganno ideologico che la casta politica ed i potentati economici e finanziari che serve, hanno costruito sul tema delle pensioni.
Per chi non lo sapesse, le “pensioni” presero vita con il governo Giolitti (siamo ai primi del ‘900). In quel periodo furono varate norme a tutela del lavoro infantile e femminile, sulla vecchiaia, sull’invalidità e sugli infortuni. Anche se, di fatto, il sistema italiano della previdenza sociale nacque ancor prima, nel 1898, Lg. del 17 luglio, n. 350,  con la costituzione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai (CNAS).
Questa, però, era una assicurazione volontaria, finanziata dai contributi pagati dai dipendenti, ed integrata dallo stato come da versamenti volontari dei datori di lavoro. Come tale, ovvero facoltativa, per anni raccolse un consenso ridotto. Occorre aspettare i primi del ‘900 perché lo stato ne introduca  l’obbligatorietà per i dipendenti pubblici e il 1919 (D.l.lgt. 21 aprile 1919, n. 603) per vederne coinvolti anche tutti i dipendenti privati, quando nacque la “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”, ovvero la CNAS, sotto il governo Orlando, che assicurava pensioni di vecchiaia e di invalidità. Nel 1924 furono poste le basi per il TFR (Trattamento di fine rapporto), ovvero un’indennità da concedere, in questo caso, solamente al lavoratore licenziato. Indennità che, nel periodo bellico, venne invece trasformata in indennità di anzianità da riconoscere al lavoratore in rapporto al salario e agli anni di servizio.

Questo breve, brevissimo excursus storico, per mostrare come la previdenza abbia una natura privatistica perché fatta dal versamento e accumulazione, negli anni di lavoro, di contributi personali. Ne consegue che la pensione è una sorta di salario differito, cioè l’accumulazione di risorse a sostegno del lavoratore una volta concluso il ciclo lavorativo. Un’accumulazione che il lavoratore costruisce  con soldi propri e che sostanzia perciò, a fine rapporto, quel “pieno diritto di proprietà sulla propria pensione che eticamente, socialmente e giuridicamente legittima il lavoratore” (E. Marino), lo toglie dalla dipendenza del datore di lavoro e lo sottrae all’ingerenza del potere.
Ma i governi succedutisi dopo la fine della guerra, ed in particolar modo questi ultimi nostri, hanno instillato l’idea che il sistema previdenziale ed assistenziale siano espressione della funzione pubblica statalista e, pertanto, siano assimilabili e interscambiabili in funzione redistributiva della ricchezza.
Pensiamo a come l’INPS sia stato ampiamente saccheggiato utilizzando i fondi provenienti dal versamento dei contributi dei lavoratori,  per assolvere bisogni che dovrebbero essere invece soddisfatti ricorrendo alla fiscalità generale.
Dunque, è passata l’idea che previdenza e assistenza siano  la stessa cosa, cosicché la pensione, costruita sui soldi prelevati dallo stato ovvero non dati in busta paga al lavoratore, non sia un diritto di proprietà del lavoratore, ma una variabile del sistema di redistribuzione della ricchezza che lo Stato, toglie arbitrariamente a un pensionato, “rubandogli” con ciò una sua proprietà, per concederla ad altri, per destinarla ad altri scopi.

Se questo non è furto, se questa non è dittatura …