“L'uomo
può realizzare delle cose stupefacenti se queste hanno un senso per lui.”
(C.G.
Jung)
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Giochiamo, di voce e di corpo, di sguardi e di corpo, di
sfioramenti di mani e di tenerezze inusitate.
Esplorazione delle proprie strutture profonde, risveglio delle
sorgenti ritmiche delle nostre pulsioni, esponendole (esponendosi) in modo evidente,
mobilitandole e canalizzandole a mostrarsi ognuno per quello che si è.E' tutto qui, e non è poco, il senso di un gioco che si inanella nell’altro. Gioco dove ognuno sta con se stesso, dove le parole che ti affiorano in gola restano disattese, inutili monili di bigiotteria per un incontro di pelle e cuore nudi.
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Sarà il gioco della trasgressione, sarà la ricerca del
tuo volto interiore nella sublimazione, sarà che quella patina di narcisismo dolente
mostra le prime crepe. Sarà quel tuo ordine interiore che si va sparigliando, e
il giocatore di carte che hai davanti è più capace di te pur avendo il tuo
stesso nome, sarà semplicemente il giocare che ti fa tornare bambino. Sarà
tutto questo o forse altro che ti spinge a lasciare le voci della ragione per
abbracciare i silenzi espliciti del corpo, a lasciare le soluzioni, quelle
tentate e quelle da cui sei fuggito, per incontrare le passioni e scompigliare
ogni schema corporeo.
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Allora, dall’essere seduto per terra, la spirale si muove
dentro e ti porta in piedi, sorta di scia lattiginosa, di cometa per una stella
che attraversa il cielo. E poi al suolo ci torni, movimenti avvolgenti e
sinuosi.
Corpo flessibile, flessuoso, corpo radicato alla terra,
ai pregressi materni, ora pronto all’avventura esplorativa nello spazio attorno,
ritmo di corpo che è il paterno a spingerti fuori, a spingerti all’autonomia.foto 4 |
I tuoi movimenti mutano, si trasformano, depurati dell’inutile, del superfluo, degli elementi parassitari, per arrivare a dare un senso, semplicità autentica, movimento spontaneo, a te che insieme li fai e ne sei.
Il tuo registro gestuale e la capacità di esprimere, attraverso il movimento, la tua realtà interiore, il tuo desiderio quanto il timore di entrare in relazione con l’altro, ora danzano forti e lievi per la sala.
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Un bastone, quello che nel gergo di noi marzialisti è il jo,
a intensificare ulteriormente la pratica. Un bastone, attrezzo di antichissima
memoria, probabilmente il primo, o uno dei primi, ad accompagnare l’uomo sulla
terra, nel sostenerlo a camminare, nell’aiutarlo a frugare per terra o a
scostare ingombri, nell’armarne le mani per difendersi o uccidere. Gestualità antropologica che rivitalizza
pulsioni sopite, bandite dalle moderne convenzioni sociali, ma innate in
ogni essere umano, in ogni essere umano fonte
di autentica energia e vitalità, poderoso antidoto a quel “mal di vivere,”
oggi più che mai diffuso senza limiti di età o ceto sociale, che tante vittime
miete in termini di depressione quando non di suicidio vero e proprio.
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Il gioco, ogni gioco ben condotto e vissuto, consente di
“giocare” eventi come la seduzione, l’aggressività, la fuga, portando in
superficie emozioni represse, rimosse, sovente vissute con un senso di pudore
quando non di colpa.
Il gioco allora consente una trasgressione accettabile,
simbolica e, soprattutto, facilmente attuabile in quanto la totale libertà di
agire, fino a farsi veramente male, è mediata, con la mia presenza di Sensei
(“colui che è nato prima”), anche dalla stessa “sacralità” del luogo, il Dojo,
e dalla storia, intelligente, umanamente ricca, della Scuola.Autentico percorso di individuazione, di crescita individuale nel gruppo. Pratica di combattimento anche feroce e per questo sinceramente nuda nella vulnerabilità di ognuno.
Lungo tutto il pomeriggio, questo pomeriggio di Bishamonten, ognuno di noi è rimasto
sospeso come foglia smarrita nel vento, ha poi trovato la sua strada guerriera
e ne ha valutato lo spessore, intuendo la magia di una colomba che sparisce
dalla mano per ricomparire nel cappello. Non so se siano i ricordi, preferisco
immaginare mani e corpi e respiri che danzano poesie metropolitane. Poesie,
almeno a volte, di vita autentica. Di autentico
spirito guerriero.
“Il
combattimento non è altro che un gioco preso sul serio”
(Bruce
Lee)
Il
prossimo appuntamento
Bishamonten
Sabato
13 Maggio
“L’azione nel gioco ha una sua significatività comunicativa ed un suo specifico linguaggio: il corpo parla anche per mezzo del movimento e della comunicazione non verbale, il corpo comunica e metacomunica”. (G. Staccioli)
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3 e 4
Keshi: occupare,
ridurre lo spazio. Chowa: il vuoto dove si presenta il pieno. Ma soprattutto l’Arte dell’Attesa.
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5 e 6
“Quando il gioco si
fa duro … i duri cominciano a giocare” (J. Belushi)Foto 7
Il gruppo dei partecipanti