F. (giovane paziente, (24 anni) – Lei sa dirmi che senso ha vivere in questo mondo?
M. (vecchio terapeuta- 64 anni) – No, ma se mi dice qualcosa in più forse possiamo scoprire che senso può avere per lei vivere in questo mondo
(M. Pizzimenti psicologo-psicoterapeuta )
Nella mia pratica marziale e di
counselor, incontro e conosco individui più o meno in questi termini colpiti o
almeno sfiorati dal disorientamento di fronte al vivere e alle cose
del vivere.
Credo che questo vacillare di fronte al senso della nostra vita trovi la sua radice nel constatare che nessuno di noi ha il totale controllo della propria vita medesima, proprio in anni in cui l’ansia di controllo e dominio la fanno da padroni ovunque.
Da un lato la pretesa di allungare indefinitamente gli anni di vita su questa terra; la pretesa di modificare la propria immagine estetica fino a giungere alla “Human Augmentation” (1); la pretesa di controllare il tempo atmosferico come quella di impostare preventivamente le caratteristiche fisiche e intellettive di un nascituro; la pretesa di controllare e dominare ogni tipo di relazione sentimentale / sessuale, pretesa che sfocia nelle perversioni vigliacche e bugiarde del sexting (il sesso virtuale, on line) o nella violenza fisica sul / sulla partner.
Questa somma di pretese si scontra con l’incertezza lavorativa tra professioni che nascono e muoiono nel volgere di un pugno di anni e pure professioni che non garantiscono più l’occupazione stabile (il vecchio “tempo indeterminato”); un sistema climatico in rapido sfaldamento di cui non si prevede la direzione; correnti migratorie incontrollate che già danno adito al concetto di “Eurabia” e ad un conflitto culturale, di usi e costumi, di cui solo l’imbecillità della signora Boldrini poteva vedere i soli aspetti positivi e di cui i recenti fatti di cronaca, in Francia ed in Italia, di opposto segno, testimoniano invece la complessità e la violenza intrinseca; l’incertezza e la fragilità sanitaria messa sotto scacco da un virus, nemico invisibile, che proprio la modernità della globalizzazione diffonde così rapidamente; l’incertezza sul ruolo del maschio, del maschile, nella coppia sino all’incertezza stessa sul concetto di maschile e femminile e pure di coppia.
Ogni volta mi viene in aiuto la
disamina del pensiero, della saggezza cinese.
In essa, si confrontano tre correnti di pensiero che si
rifanno a Confucio, Buddha e Laotse. (2)
Una leggenda, ed un dipinto, vogliono che i tre si siano
trovati ad assaggiare dell’aceto:
per il primo, Confucio, l’aceto è rancido, dunque occorre correggerne (aceto = vivere) il degradarsi dalla corretta Via del passato rivolgendosi a regole severe; per il secondo, Buddha, l’aceto è inevitabilmente aspro dunque occorre allontanarsi da esso (aceto = vivere), ovvero da ogni passione; per il terzo, Laotse, l’aceto sa di quel che deve sapere e dunque va preso per quel che è.
Ecco, come già scrissi, abbracciando dei tre assaggiatori di aceto la versione data da Laotse, ovvero il Taoismo, intrisa di quella causalità circolare (3) che è propria di una certa nostra cultura e in particolare della terapia gestaltica, (ovvero la consapevolezza che le azioni in un sistema si influenzano reciprocamente cosicché ogni azione è a sua volta causa ed effetto delle altre) comparire una possibile e praticabile via di intervento.
L’esigenza di affrontare ogni fenomeno come una gestalt di interdipendenze, porta, in una visione strategica, alla constatazione che la somma delle singole parti non è uguale all’insieme e che l’isolamento di una singola variabile conduce inevitabilmente a un “cul de sac”, ad un vicolo cieco e a distorsioni conoscitive, che non potendo portare alla ricostruzione dell’interazione tra i diversi elementi non giova a nessuno (4)
Tocca ad ognuno di noi, in
particolare a chi si sia assunto il compito di facilitatore, di Sensei, la
responsabilità di rendere accettabili (comprensibili?) le incertezze e le
novità che ci vengono incontro e di amalgamarle in un equilibrio fatto di
disequilibri e frizioni, di conflitti anche inevitabili.
Questo, abbandonando noi facilitatori, Sensei, per primi,
ogni pretesa di “pensiero unico”, di certezza e verità assoluta perché il
procedere aperto, di confronto, passi anche a chi ci sta davanti.
Passaggio tanto più praticabile quanto si appoggi alla espressione corporea, alle percezioni sensoriali, al corpo vissuto. A quel che noi tutti siamo qui ed ora:
Io
incarnato,
corpo che tanto ci costituisce come individui quanto
permette di relazionarci con gli altri, con l’ambiente.
Una pratica carnale, di contatto, continuamente sottoposta alla verifica reciproca che, di per sé, già rifiuta la pretesa che ci sia uno che sa ed insegna, spiega, ed uno che non sa e dunque che impara, si fa guidare. La relazione Sensei e praticanti, Counselor / analista e cliente, invece, vede uno che nella tempesta ci è già stato ed uno che ci sta entrando, ambedue consci che ognuno è diverso dall’altro e che ogni tempesta è diversa da un’altra.
F. (qualche mese dopo). Oggi mi è successo
qualcosa... che mi ha sorpreso ... e toccato ... dentro.
1. Human Augmentation è la possibilità di creare strumenti, anche impiantati dentro al corpo, per migliorare le prestazioni a livello fisico o cognitivo