“È
meglio essere violenti, se c'è la violenza nel nostro cuore, piuttosto che
indossare la maschera della non violenza per coprire la propria impotenza. La
violenza è sempre preferibile all'impotenza. Per un uomo violento c'è sempre la
speranza che diventi non violento. Per l'impotente, questa speranza non c'è”
(Mahatma Gandhi)
Dritto
e deciso. A penetrare, quando attacca. E attacca sempre, non appena intuisce
l’intenzione offensiva dell’altro. Attacca ed oltrepassa, frantumandolo, l’ostacolo.
Questi respira ? Odora ? ha vita negli occhi che ti guardano ? Non importa.
“Questi” non esiste. E’ solo un’inezia prima di raggiungere l’obiettivo.
Certo,
non è uno stupido, non va duro contro duro: aggredisce sì ma posizionandosi
sull’angolo “morto”, a 45 gradi, dell’opponente e, da lì, lo oltrepassa. Come
se non esistesse.
Sì,
lo so, pare una cosa crudele, folle nel suo non considerare ciò che di vivo ti
è di fronte. Ma questo è l’impeto letale del praticante Wing Chun Boxing. Sempre avanti. Sempre comunque.
Nel
caso che sia sorpreso dall’attacco avversario allora si ripiega su di sé, si
flette quel tanto che basta per smorzarne il pericolo, per deviarlo, laddove
possibile, poi riprende il suo naturale flusso impetuoso ed inarrestabile.
Fiume in piena che tutto travolge.
Aggressività
letale senza scampo.
Combattente che osa
sempre,
potremmo chiamarlo.
A
volte, aspetta che l’altro gli offra un arto, un appiglio qualsiasi, per
incollarsi a lui e succhiarne l’essenza tra colpi e pressioni. Per andare,
ovvio dai !, oltre. Sempre oltre.
Dicono
che il killer psicopatico, per uccidere senza provare emozioni, non guardi mai
negli occhi la vittima. Hai mai controllato se un praticante Wing Chun guarda
negli occhi l’opponente ?
Diversamente
opera il praticante Kenpo.
Questi
avvolge, soffoca. Sempre in movimento, disegna cerchi come fa un rapace in
cielo, come fa uno squalo in mare, prima di buttarsi avidamente sulla preda.
Quando
attacca, attacca “a tutto tondo”, più giocatore di “go” che di scacchi (1). Più interessato a togliere spazio
vitale che a “mattare” il re. Tanto, senza spazio, la preda finirà inerte tra
le sue fauci.
Non
disdegna che sia l’altro ad avanzare portando un colpo, allora ne attacca il
colpo stesso, per poi continuare sul “regista”: distruzione rapida,
consapevole, mentre gli gira attorno.
Combattente danzante, potremmo chiamarlo.
Lui
sì ti guarda negli occhi, come a carpirne un senso, come a sfidarne l’istinto
vitale. Si offre a te, perché tu possa coglierne la forza e … avere paura.
Lui
non danza mai da solo, danza sempre con te. Se tu capisci chi sia, in quel
frangente, il padrone del ritmo e dello spazio, chi guida il balletto, allora
ti lascia vivere. Altrimenti…
Strategie,
tattiche (2) diverse. Non solo. Modi
di rappresentarsi e rappresentare gli altri, diverse tra loro.
Entrambe,
sorta di “Martial Arts Therapy”, ti
fanno scavare nel buio delle tue pulsioni, dei tuoi “non detti”, “non ammessi”, nel tuo disagio frutto
di vissuti interiori, soggettivi, a contatto con un punto critico che possiamo
chiamare limite.
Tu sprofondi, azioni
ed emozioni, nel tuo orrore profondo.
Quando
quel doloroso e difficile contatto è stabilito, allora il confliggere corpo a
corpo in pedana diviene un percorso di individuazione, di scoperta di quel che
sei e come sei, di adultità, non più solo anagrafica.
Questo
perché “Reprimere la propria aggressività, in qualunque forma essa si presenti,
significa incatenarsi all’idea del perdono e della colpa da espiare, nonché
colludere nella maniera più distruttiva con l’odio che si soffoca in sé”
(A. Carotenuto “La mia vita per
l’inconscio”).
E
si impara a relazionarsi, a saper stare nel confliggere quotidiano, perché,
nessuno escluso, sin dalla nascita, siamo immersi in quella che chiamiamo
realtà. Essa non è uno un palcoscenico su cui poter rappresentare una finzione.
La realtà è fatta di ‘altri’, con cui entrare in rapporto, un rapporto sempre e
variamente conflittuale: con il / la propria partner, con i figli, con il
vicino di casa, con il professore a scuola, con il collega d’ufficio … con le
mille parti che compongono noi stessi.
L’altro è la prova
vivente della nostra esistenza.
Ciascuno
sceglierà la sua Arte o, invece, si testerà su entrambe, per imparare,
attraverso il combattimento, a relazionarsi
sanamente ed equilibratamente con tutto ciò che, nel quotidiano, è “altro”
da noi, riconoscendo la propria parte “ombra”, pulsioni e aggressività, fino a farne una risorsa e non più un mostro
da negare, da soffocare, da temere nelle sue improvvise ed incontrollate
esplosioni di collera e violenza.
Una
risorsa, non un area di sfogo che, terminata, lasci l’individuo, ed i suoi problemi,
lì irrisolti. Una risorsa, appunto, per conoscersi, mostrarsi e trasformarsi.
Per
avere più chances nella vita. Per più
serenamente godere di questo breve tratto di esistenza che è vivere.
“Fintanto
che creiamo delle ‘toppe’ per coprire ciò che consideriamo una situazione non
sfruttabile – toppe metafisiche, filosofiche, religiose – la nostra azione non
sarà il ruggito del leone. Sarà l’urlo del codardo – molto patetico”
(Chogyam Trungpa “Il
mito della libertà e la via della meditazione” )
1.
Gli
scacchi, sin dall’origine anche se poi si sono parzialmente evoluti, sono
fortemente orientati a privilegiare operazioni concrete ( dunque, tattiche) per
l’attacco al Re avversario. Negli scacchi, la vittoria può essere ottenuta in
una mossa, nel caso più eclatante lo scacco matto o c’è o non c’è (logica
bivalente) e, più in generale, la presenza di pezzi di diversa importanza ed
esplicitamente schierati sin dall’inizio, indirizza in modo evidente lo scontro
attraverso il dispiegamento di forze verso punti vitali e spesso attraverso una
decimazione delle difese avversarie;
questo modo di procedere è in relazione alla Via “occidentale” di
approcciare una lotta, un conflitto.
Il go ( o wei ch’i) è fondato sul concetto di
controllo totale, il suo scopo è il controllo del territorio sul goban (la
scacchiera), “nel wei-ch’i il successo è una
serie di gradi, in qualche modo più fuzzy
. L’obiettivo non è tanto quello di sconfiggere l’avversario, quanto di
massimizzare vantaggi e svantaggi. Più che un
duello, è una competizione economica
per un bene scarso” (Quaderni di Ricerca in Didattica, n. 19, 2009.
Dipartimento di Matematica, Università di Palermo).
2. In genere, si intende
per strategia l’approccio generale al combattimento, il piano d’azione, mentre
per tattica le diverse soluzioni concrete, le “tecniche”, per capirci. Però
anche … “La tattica è sapere cosa fare quando si ha qualcosa da fare; la
strategia è sapere cosa fare quando non si ha niente da fare” (S.G. Tartakower)
Post illustrato con immagini di dipinti di F. Goya, uno che di problemi di personalità ... se ne intendeva.