venerdì 26 luglio 2024
lunedì 22 luglio 2024
2024 Giugno. Tanren
“Più di una volta nell'Aikido, o nel Nihon Tai Jitsu, mi
sono trovato a eseguire una tecnica troppo velocemente, troppo forte, senza
rispettare i criteri più basilari. Semplicemente perché nel vivo dell'azione,
ciò che contava era applicare la tecnica al mio partner. Il fine giustifica i
mezzi... è probabilmente vero nel breve termine, ma limita anche la
progressione nel lungo termine” (M° Minoru Akuzawa in “Dragon Special
Aikido” Ottobre 2015)
Nell’ambito dell’apprendimento
di una qualsiasi disciplina fisica, Tanren non è riferito allo
sviluppo di un’abilità tecnica specifica, quanto alla necessaria preparazione
di base, fondamentale (hon), al forgiare il corpo inteso come consapevolezza
corporea, ovvero essere consapevole di come faccio ciò che faccio,
qualsiasi cosa io faccia. Chi pensa a faticosi esercizi ginnici, all’uso di
pesi, all’irrobustimento muscolare, è completamente fuori strada. Per me, è
fuori da:
- Movimento consapevole,
quello che io ho chiamato Movimento Intuitivo. Quello teso a realizzare
il muoversi bene, muoversi meglio per muoversi a lungo. Un modo di muoversi e
agire nello spazio che sostanzia ed orienta il nostro personale evolversi di
vita in un processo androgico continuo; che privilegia sensazione ed azione.
- Arti Marziali, intese sia,
astutamente, come “Mezzo per raggiungere l’armonia con un’altra persona in
modo tale che tu possa farle fare ciò che desideri” (attribuita a Morihei
Ueshiba, creatore dell’Aikido), sia come mezzo per comprendere e migliorare se
stessi (Budo), il che, in entrambi i casi, è capacità di sapere
stare in ogni situazione conflittuale.
Allo Spirito Ribelle, in Tanren sono
racchiuse diverse “forme” corporee, tutte originate da onde e spirali. (1)
Nel mentre che il praticante sperimenta queste diverse possibilità espressive
impadronendosi del moto ondulatorio, avrà modo di coniugarle liberamente tra di
loro secondo il suo unico e personale “corpo espressivo”, costruendo il
suo personale stile di movimento e, così, di combattimento.
Si tratta, sostanzialmente, di un lavoro di ricognizione. I
movimenti in solitaria permettono di prendere consapevolezza del nostro corpo,
di riorganizzarne la struttura, di impostare le sue linee di forza (2) e
di utilizzare queste linee di forza per avviare il movimento. Questa
riorganizzazione del corpo ci condurrà ad applicazioni dove i principi del
movimento corporeo potranno essere utilizzati liberamente adattandoli alle diverse
situazioni.
1. 1, Il mio
percorso di pratica e divulgazione, deve molto ai “giganti” che mi hanno
preceduto, ai loro metodi che ho praticato e pratico tutt’ora o che ho
semplicemente osservato, siano esse discipline marziali oppure di movimento ed
espressione corporea apparentemente distanti dal mondo del combattimento. A
loro devo la mia intuizione e poi costruzione di un modo di praticare e
divulgare per cui, da decenni, ho smesso di insegnare esercizi fisici e
tecniche marziali per passare invece a proporre esperienze di movimento; ho
smesso la pretesa di insegnare un sapere prefissato a chi non sa e perciò è
subalterno, per accogliere il sapere personale di ogni allievo accompagnandolo
in un cammino di formazione attraverso il movimento consapevole, e questo
grazie ad una didattica libertaria e maieutica. Per questo noi Spirito
Ribelli siamo unici, uguali a nessuno.
2. 2. Nel
corpo umano, le forze ascendenti e discendenti creano delle linee parallele e
non, definendo fulcri e perni attorno ai quali e possibile definire la
funzionalità sia del movimento che della statica e dei passaggi posturali
dall’uno all’altra e viceversa. E’ importante cogliere le differenze fisiche e
psicologiche del movimento della colonna vertebrale a seconda che questo
avvenga attraverso la muscolatura esterna o attraverso la muscolatura profonda,
il tessuto connettivo, come è invece negli animali. Questo secondo modo porta
il praticante a confrontarsi con le sue pulsioni e i residui istintuali, tratto
caratteristico del Taiki Ken.
giovedì 11 luglio 2024
Mi muovo, agisco, vivo.
Una generosa spruzzata chimica a tenere lontane le zanzare e sono pronto, qui, ai giardini Marcello Candia, ore 07,15 di un già caldo mattino di Luglio.
Formazione in solitario, ma
questa volta evado da casa e mi offro al verde urbano della città.
Oscillazioni, quella incontrata in
un percorso Tai Chi Chuan ma davvero appresa, cioè ben spiegata,
durante il percorso Danzaterapia Espressivo Relazionale, e quella a
studiare la verticalità, l’onda verticale, caratteristica di quello che, nelle
sue diverse sfaccettature e interpretazioni, è chiamato “Movement Culture”
(1). Ovvero quell’area di ricerca su corpo e movimento che rifugge
protocolli ed esercizi standard, in quanto si fonda sull’esperienziale e non su
modelli di prestazione. Mi sovviene l’imperativo di Herns Duplan, creatore di
Expression Primitive (2), e le sue raccomandazioni ascoltate ad un
seminario intensivo a Roma: “Un minimo di struttura e molta esplorazione”.
Mi sovviene quel che facciamo qui, allo Spirito Ribelle!!
Alcuni minuti di tanren statici, quelli che lavorano
tendini e tessuto fasciale, quelli faticosi, insomma.
Nami, le onde, catene cinetiche a
susseguirsi, fluide e potenti, praticate in alcuni dei molti modi possibili.
Onore ai “giganti” che, nel passato, mi hanno fatto scoprire il movimento ad
onda, seminario dopo seminario, il compianto Maestro Erle Montaigue, Tai
Chi Chuan e Pa Kwa Chuan, ed i suoi rappresentanti qui in
Italia e poi il Maestro Hiroo Mochizuki col suo sinuoso Yoseikan Budo. Ormai da un ventennio ho proseguito pratica e
studio dell’onda arricchendola di nuove esperienze e nuovi modi di proporla ed eseguirla,
facendone il cardine del nostro modo di muoverci e colpire. (3)
Il sudore sgorga copioso, saluto a distanza conoscenti qui a spasso col cane mentre, legando alcune bande elastiche ad un albero, mi cimento in movimenti liberi esplorando elasticità e interconnettività tra le parti del corpo, sondando possibilità di movimento parzialmente costretto nelle e dalle bande per scoprire scenari di relazione e mutevolezza così come avviene nel vivere quotidiano. Presenza attenta a come respiro, alla fluidità dell’onda, al posizionamento del “timone”, là dove una volta stava la coda ed ora operano coccige e “coda equina”; curiosità e creatività agite nello spazio circostante, sovvertendo il limite imposto dalle bande per farne strumento di nuove ed inaspettate gestualità: La fantasia al potere dentro la scoperta fisicoemotiva, dentro il muoversi Ribelle principio orientativo che precede e domina qualsiasi specifica standardizzazione.
E’ la volta dell’ingresso nel
mondo Kenshindo, “La Via dello spirito della spada. Impugno il bokken.
Sono fendenti e falciate a sibilare nell’aria calda. Finalmente libero di
esprimermi che, da quando frantumai la lampada nella stanza di mio figlio Lupo,
ogni momento di mia formazione Kenshindo svolta a casa è sempre vissuta con una
certa apprensione.
Dai Kihon, i fondamentali, alle quattro
sequenze che costituiscono la base del Tameshigiri. Poi i
Rinto Kata, le forme a due di combattimento. Immagino l’avversario, lo
percepisco presente pur nel vuoto, tra alberi e fogliame, che mi circonda. Mi
godo in particolare il secondo e il quinto scambio, quelli più vicini al mio
modo di mettermi in gioco in un duello. In uno, l’attesa famelica dell’assalto
avversario per addentargli il cuore travolgendo il suo spazio vitale, la sua
chinesfera; nell’altro, quel piccolo e nascosto gioco di mano che mi consente
di proteggermi mentre già metto in atto il fendente letale, definitivo.
E’ tempo di avviarsi a chiudere.
Pa Kwa / Hakkeshou nel
passo e nelle mani del Dragone, l’animale sovente richiamato nelle
pratiche taoiste per indicare un incedere flessuoso e libero. E’ associato
all’elemento Legno, ciò che si espande; è il trigramma CHIEN, fulmine e
tuono, in cui la base Yang infrange i trigrammi Yin che le stanno sopra; è
chiamato anche l’Eccitante e la sua energia è quella del risveglio della
primavera. E’ il figlio primogenito. Complessa visione taoista, profondo quanto
incerto procedere nello studio dell’I CHING e dell’eterno
muoversi che è l’anima, il cuore, di quest’arte tanto affascinante.
Non può mancare la forma di Tai
Chi Chuan, quella che allo Spirito Ribelle è la forma della “Vera
Sintesi” come da me imparata negli anni ‘80 dal Maestro Kenji Tokitsu e, nei
decenni, evolutasi con il mio procedere nella pratica dell’Arte. Scorre
flessuosa, di una forza calma e potente. Scorre tra gli alberi e dentro l’aria
calda che abita i giardini.
Qualche movimento a liberare eventuali tensioni, ad accarezzare spazi dolci e permeabili, ad aprirsi alla “Respirazione Testicolare”, Scuola Healing Tao del Maestro Mantak Chia come imparata dall’insegnante Angela Chirico. Fluire di respiro profondo ed energia Kundalini, energia potente.
Poi il raccoglimento, la chiusura.
E’ il momento per una breve rinfrescata alla fontanella e
recarmi poi alle delizie di una ricca e dolce colazione.
Un ciclista mi passa accanto
spendendo parole di elogio per il bokken nero. Lo ringrazio e penso alla
riconoscenza che devo al mondo, alla vita, se, all’età di settantadue anni,
sono ancora così in buona salute da muovermi a piacere e per il mio piacere. Un
misto di sorpresa, che vent’anni fa mai mi sarei immaginato di godere ancora
oggi di corpo e movimento, e di orgoglio per i piccoli ma sostanziosi progressi
che ho scoperto essermi cresciuti dentro. Non manca la consapevolezza che tanta
strada ancora mi attende in questo affascinante viaggio di movimento e Arti
Marziali, tanti ripensamenti e cadute mi aspettano. Ma è certo questo
l’autenticamente bello di praticare attraverso l’esperienza di essere corpo,
corpo che lascia fluire l’azione e si apre all’evoluzione. Che è Spirito
Ribelle.
1. Movimento internazionale, spontaneo, che esplora e propone
corpo, corporeità e gestualità con un approccio olistico, di consapevolezza
motoria, di processo androgico permanente. Se generalmente si individuano in Linda
Kapetanea e Jozef Frucek e nei primi anni 2000 l’avvio di questo movimento
internazionale, di cui forse il più famoso esponente è Ido Portal e di cui ora
abbiamo traccia anche a Milano, grazie al NATKED Movement Studios,
personalmente non posso però non ricordare chi, ancor prima di loro, avviò un
processo di totale ribaltamento della concezione della ginnastica e del
fitness. Personalmente mi indirizzarono in questa direzione la pratica continuativa
del Metodo Feldenkrais (Moshe Feldenkrais 1904 – 1984) e della Danza Sensibile
(creata da Claude Coldy); le saltuarie esperienze del metodo Trager (Milton
Trager 1908 – 1997) ed Expression Primitive (creata da Herns Duplan). Non posso
non citare gli stupefacenti filmati di Orlando Cani, il creatore della
“Bioginnastica”.
3. Onde esplosive che caratterizzano, tra gli altri, Maestri
di caratura quali Minoru Akuzawa, dell’Aunkai Bujutsu, ed Ellis Amdur, esperto
di Koryu tradizionali.
4. Con tutto il rispetto per posizioni impeccabili ed
impettite, gestualità ampie e pompose, guardate la differenza tra i duellanti
delle pellicole giapponesi come “I sette samurai” (1954) o Yojimbo (1962) e le
produzioni hollywodiane, animate da figure generosamente esposte agli attacchi
avversari palesando sicumera infantile e narcisistica.
mercoledì 10 luglio 2024
Il mio pensiero di Luglio - Agosto
Semplice secondo il buon Jung, semplice per lui!!
Scritto questo, dato che
andiamo incontro ai mesi estivi che sono generalmente vissuti come liberatori e
possibilmente leggeri per le nostre spalle affaticate, lasciamo pure scorrere
via le “pesanti” parole di Jung e buttiamoci incontro alle cose serene,
emotivamente ricche e feconde, che l’estate, è il mio augurio, ci donerà.
Tanto chi pratica Spirito Ribelle, se mai dovesse
incappare in situazioni di sconnessione e malessere, ha gli strumenti
fisicoemotivi per guardare negli occhi il “mostro” e stare, o almeno provare a
stare, nel conflitto. Vincenti o
perdenti, la nostra formazione al confliggere, formazione marziale, non ci farà
né fuggire né mentire, magari ricordando pure l’ammonimento di Jung.
Ma l’estate, dai, sarà
sorridente e serena per tutti noi e quelli che ci stanno accanto.
Che sempre siate fieri del vostro vivere!!
OSS!!
Tiziano Sensei
martedì 9 luglio 2024
E’ operativo il nuovo sito Spirito Ribelle con annesso blog
https://tizianosantambrogio.it/
Ad esso sono affidati articoli e riflessioni in grado di intercettare un pubblico che abbisogni di spiegazioni esaustive, corrette e mai banali che, contenendo la mia esperienza ed i miei studi controcorrente ed innovativi, riescano (ci spero) ad introdurlo nello sgangherato quando non truffaldino mondo del movimento e delle Arti Marziali, offrendo una prospettiva diversa.
Di contro al dominare di una visione in cui il corpo è
oggetto tra gli oggetti, merce da esibire e mostrare nel mercato dell’apparenza
quando non da nascondere se non risponde ai canoni delle masse; corpi omologati
nell’esercizio fisico o marziale neganti ogni differenza e che invece vagheggiano
un’unica forma e un addestramento fatto di tante e tante ripetizioni, ecco la
pratica ed il pensiero Ribelle. Luogo di accoglienza per tutte e tutti.
Continua a vivere questo mio blog
domenica 7 luglio 2024
Mondiali di Kendo
A Milano si tiene il
19° Campionato Mondiale
di Kendo,
ed eccomi spettatore
interessato.
Il
Kendo, cosa è?
In Giappone la sua pratica è incoraggiata sin dalla tenera
età tanto da essere diventata materia obbligatoria all’interno del sistema di
istruzione scolastico
Il
Kendo è uno sport?
Nato con finalità ben diverse,
tra cui la fedeltà allo spirito samurai e la formazione ad alcuni valori tra i
quali il saper affrontare coraggiosamente la morte e il coltivare lo spirito di
sacrificio, con i decenni è diventato uno sport, tanto capace di diffondersi
oltre la ristretta cerchia degli appassionati quanto perdendo molto (tutto?)
della parte spirituale.
Ricordo, qui in Italia negli anni ‘80, le diatribe su queste
diverse interpretazioni tra Mario Bottoni, fervente tradizionalista disposto a
mantenere il Kendo in una nicchia con eventuali gare aperte solo ad un pubblico
di praticanti ed arbitrate da Maestri di alto livello pur di non perderne i
valori Tradizionali, ed i sostenitori di una versione sportiva, per ciò stessa
capace di attirare attenzioni di pubblico e commerciali altrimenti negate. Vinsero
i secondi, ovviamente.
Il
praticante di Kendo sa usare il katana?
Quando, per esigenze belliche, in
Giappone arruolarono nell’esercito i kendoka di ogni livello, si accorsero
subito che non sapevano affatto “tagliare” (1). Sì perché il katana
richiede il tagliare, non il colpire. Lo sa bene chi pratichi Tameshigiri, il
taglio di stuoie o canne di bambù. Tagliare significa tranciare di netto, senza
sbavature, il bersaglio che, nei casi migliori, addirittura resta un attimo
immobile prima di cadere al suolo. Colpire significa spaccare in due il
bersaglio lasciando margini scomposti e residui di materiale quando non
trovarsi con la lama affondata nel bersaglio e lì bloccata senza che questi si
divida in due.
Dunque, il kendoka, per saper davvero tagliare, dovrà
affiancare alla pratica dello sport con lo shinai, una efficace ed efficiente
pratica col katana e le Arti ad esso connesse. “Efficace ed efficiente” che per
me è tale solo se completata dalla pratica del Tameshigiri, il che, almeno qui
in Italia, non è affatto scontato. Anzi!! (2)
Ed
eccoci ai Mondiali!!
Atmosfera elettrizzante, atleti
di tutto il mondo, pubblico eccitato nel commentare i colpi dati e non dati.
Eppure … resto affascinato dai combattimenti, dai Kiai
delle contendenti (sono alla giornata dedicata agli individuali femminili),
dalle movenze feline che cercano uno spiraglio per entrare nella guardia
altrui. Nonostante sia stato ridotto a gioco sportivo, resta ancora valido
l’imperativo di” colpire quando si è già entrati”, ovvero di lanciare lo shinai
quando si sa, si sente, che il bersaglio è stato colpito e l’affondo resta una
pura formalità.
Ci si muove dentro sakki, che è sentire la
volontà di attacco rivolta contro se stessi, e hara – gei,
intuirsi a vicenda. Questi formidabili principi, nella competizione sportiva
vengono applicati premiando solo i colpi che arrivano precisi e potenti sul
bersaglio, e lo fanno impegnando la parte terminale dello shinai, quella che in
un katana sarebbe il tagliente più affilato che va dal kissaki
(la punta) a circa una spanna lungo la lama.
Insomma, sarà ormai solo uno sport, un gioco, ma
personalmente ne sento il fascino che sa di lontano ed antico, di duelli vita o
morte. Encomiabile, poi, l’atteggiamento delle duellanti e dei loro coach: mai
una voce o un gesto fuori posto, sempre rispettose dell’avversaria come delle
decisioni arbitrali.
Mi vengono in mente le gare di Karate anni ’70. Sicuramente
meno dinamiche e varie della versione sportiva del Karate (3) ma… quelle
emozioni, quelle tensioni dei praticanti e tra il pubblico, quel senso di
terribile ed irreparabile “qui ed ora”, risultano ormai perse, per non parlare
del rispetto tra i combattenti e del silenzio glaciale del pubblico.
Ecco, io che, nel mio piccolo, sono passato attraverso la
pratica e le gare di ambedue, riconosco che nella seconda c’è più libertà e
divertimento, ci sono atleti preparati di fiato e fisico, ma nella prima si
respirava davvero il clima samurai, l’esplodere improvviso di un atto che
sarebbe stato letale, la paura di essere fortemente danneggiati, la tensione
del coraggio e della paura.
Forse, una volta intrapresa la china dello sport, che porta
lo sport inevitabilmente ad essere lo specchio fedele della società, il declino
valoriale e di rispetto sono inevitabili. Guardate il tennis oggi, tra gesti
plateali e volgari degli atleti, roboanti richieste di sostegno al pubblico e
pubblico stesso vociante e maleducato.
Ecco, guarda un po', il Kendo sportivo è ancora un’isola felice di rispetto e marzialità, di cuore guerriero, o, almeno, io così ho vissuto questo bellissimo pomeriggio all’Unipol Forum di Assago, al
19° Campionato mondiale di Kendo.
1. La lacuna nell’uso realistico del katana fu colmata
attraverso gli insegnamenti della Scuola Toyama Ryu; in particolare furono
scelte alcune essenziali sequenze di Tameshigiri per formare i praticanti al
taglio efficace ed efficiente. Queste sequenze sono le stesse adottate nel
nostro Kenshindo.
2. Come scritto più volte, personalmente sono distante anche dalla
pratica “sportiva” del Tameshigiri, cioé dalle gare su chi lo taglia più grosso
(sì, abbiamo pure questo!!), come dal taglio praticato su oggetti vari quali
frutta e cartone. In questo sono e resto un tradizionalista.
3. https://youtu.be/gAYIaiM2xgs
https://youtu.be/e0Wn7T-TMCI
https://youtu.be/iy5IixR7X7c
giovedì 4 luglio 2024
2024 Giugno. Rinto Kata – Kenshindo
Forme a due di combattimento. Fuori da ogni formalismo, si sostanziano dell’affermazione del Maestro Kuroda: “Quando ti alleni da solo potresti pensare che quello che stai facendo sia soddisfacente, ma quando la tua schiena e la tua spalla vengono tagliate in due, quando sei avvisato del movimento distorto nel tuo corpo nel momento in cui il tuo avversario ferma la tua spada, allora ti rendi conto che se fosse un vero combattimento saresti ferito o colpito a morte”. (https://aikidojournal.com/2002/08/26/interview-with-tetsuzan-kuroda/).
Dunque, la consapevolezza del “corpo come sono”
(Leib) va di pari passo prima ancora che dello scopo di quel che fai, col senso
che questo tuo fare ha. E’ la simulazione di un conflitto vita o morte,
non la finzione (1).
I Rinto Kata dunque, non sono una ripetizione a
memoria, ma “una sorta di esercitazione ‘dal vivo’, quest’ultima progettata
per incidere i riflessi abbastanza profondamente da farli diventare ‘pseudo-.
istintuali’”. (E. Amdur in “A duello con O Sensei”).
Mai senza l’altro.
Altro che è insieme il te stesso conosciuto e quello meno conosciuto, da cui
fuggi, quanto l’altro da te, l’ambiente in cui vivi. Confronto guerriero che
disvela inesorabilmente le tematiche emozionali di ognuno dei due praticanti.
Pur praticato con armi di legno, non acciaio affilato come
siamo soliti fare qui allo Spirito Ribelle, è formazione vera,
realistica, al duello di spade.
1. Mentre nella finzione il soggetto, razionalmente, intende
copiare ed imitare azioni, parole, atteggiamenti a lui estranei, nella
simulazione il soggetto mette in atto sintomi fisicoemotivi ed azioni e
parole originati da incentivi interni ed esterni particolarmente capaci di
incidere sulla sua personalità. Per meglio spiegare, ci vengono in soccorso le
parole di J. Grotowski: “Le vostre azioni fisiche saranno radicate ancora
meglio nella vostra natura se allenate gli impulsi, non le azioni. (omissis).
Prima dell’azione fisica, c’è l’impulso, che spinge dentro il corpo, (omissis)
In realtà, l’azione fisica, se non inizia da un impulso, diventa qualcosa di
convenzionale, quasi come il gesto. Quando lavoriamo gli impulsi, diventa
radicata nel corpo”. (T. Richards in “Al lavoro con Grotowski sulle
azioni fisiche”)
giovedì 27 giugno 2024
Mai senza l’altro
Il tempo incerto alterna scrosci d’acqua a macchie di cielo azzurro e ci si mette pure lo sciopero dei conducenti ATM (sacrosanto, viste le condizioni di lavoro in cui ATM, di proprietà del comune di Milano, tiene quei lavoratori: Vai Sala e PD, sempre in linea con l’adesione allo sfruttamento dell’homo faber e ad una sfrenata pragmaticità capitalista!!).
Eppure Monica ed io siamo puntuali al Castello Sforzesco,
“Festival
della bellezza”
Una lunga fila per entrare, un pubblico eterogeneo per età:
Magari saranno pure dei rimbambiti di Master Chef o di X Factor, lettori di
Fabio Volo o passivi auditori di podcast, ma, intanto, sono e siamo qua, per
una serata di sola cultura, senza musica, luci stroboscopiche, effetti
speciali, soubrette convinte che “far vedere il culo si possa definire un
lavoro” (cit. da Roberto Vecchioni “Questi fantasmi” https://www.youtube.com/watch?v=cPHE1KcmX4s)
e uomini e donne qualunque a esporre sfacciatamente
i propri sentimenti in cambio di un quarto d’ora di notorietà.
Per parte mia, di formazione gestaltica e convinto che il
nodo non sia mai mente e corpo ma corpo e mondo, non posso certo aderire alla
sua visione. Poi, di tanto in tanto, in me fa capolino l’eretico Massimo
Fagioli (1), psichiatra e psicoterapeuta, quello che aborriva Freud
dedicandogli parole pesanti, quello ancor più distante di Freud
dall’omosessualità, quello delle analisi collettive, a disturbare le
riflessioni di Recalcati.
Applausi convinti a cui mi unisco: E’ davvero un grande
mondo quello in cui qualcuno o qualcosa ci induce a riflettere su di noi, a
cercare sempre nuove risposte che inducono nuove domande.
Ma non
sapevo cosa mi stava aspettando!!
Sì perché D’Avenia, uomo di
palcoscenico, ci intrattiene per due ore circa portandoci per mano, scanzonato,
irriverente e autenticamente profondo insieme, dentro le pieghe del nostro
vivere, delle domande che eludiamo per non scoprirci “rappresentazione” invece
che “presenza” (sono parole sue).
Nel raccontarci degli esami di maturità, nel prendere le parole e spogliarle del significato convenzionale per portare alla luce il significato originale che dona loro una vita nuova e palpitante, nel narrarci le peripezie di Ulisse, ci immerge nell’esperienza personale di ognuno che è anche percorso di ogni uomo verso il proprio originale compimento esistenziale.
D’Avenia, noi a bocca aperta e col fiato trattenuto, ci
svela l'invincibile nostalgia di futuro, quella che ci affligge ogni giorno la
cui soluzione, almeno tentata se non riuscita, è tornare nella nostra di Itaca,
non quella del passato ma quella ancora da fare rimanendo fedeli al nostro
destino. Perché solo se sappiamo abbracciare il nostro destino, che è il nostro
desiderio, viviamo.
Mi tornano a galla le parole di Jung che mi sono servite
nello stendere la mail di Luglio – Agosto indirizzata ad allievi ed amici. I
testi di Gurdjieff scoperti nella mia gioventù e le danze sufi praticate invece
pochi mesi or sono.
MI riempiono gli occhi, quando D’Avenia invita ad un gesto
di distensione ed amore, il gentile bacio di una giovane coppia davanti a me e
i fugaci sguardi di poche altre: Già, quante parole desertiche scorrono tra
coppie che si pensano “insieme” uccidendo ogni calore e speranza di un presente
ed un futuro davvero “insieme”. Lo scultore Giacometti scriveva, più o meno,
che pochissimi sono gli occhi in cui esiste lo sguardo. E se questo sguardo non
esiste nemmeno dentro una coppia, come sarà mai possibile volgerlo verso
l’altro da sé, verso lo sconosciuto? E forse, tragicamente, non sarà mai volto
nemmeno dentro di sé.
MI pare che D’Avenia, mentre ci invita ad un applauso verso
di noi e verso il piacere di vivere, ci metta in guardia dal sopravvalutare le
manifestazioni esteriori delle persone, mancando invece la comprensione di
quelle che sono le motivazioni occulte, nascoste, dei pensieri, delle
immaginazioni e dell’agire che le persone compiono. E il loro rispetto.
Resistere, la tanto abusata
resilienza, non è rimanere fermi, ma ri-esistere: Nascere.
Grande il D’Avenia.
1. https://massimofagioli.com/
lunedì 17 giugno 2024
Tra passati ricordi e nuova spazzatura
Dalle incursioni in terra marchigiana arrivano vino
eccezionale ed olive ascolane, poi ci sono formaggio, nduja spalmabile, gustose
salsicce, budino al cioccolato. Non mancano rhum, vodka, grappe ed amari.
Insomma, non manca nulla dell’armamentario per una bella
serata.
E le chiacchiere. Quelle che
liberano emozioni sigillate dentro a respiri sconnessi, quelle che fanno
capolino dentro i segreti più nascosti, quelle che fuggono dal deserto di un
vuoto che trova sostanza nell’essere feriti dentro, interiormente. Ferite
profonde, e chi non ne ha?
Momenti indimenticabili: La camminata in cerchio del Pa
Kwa attorno ad un braciere ardente, il
librarsi nel buio della notte di una e dieci lanterne, lo spregiudicato taglio
di lame su una carcassa di maiale, i giorni di assoluto silenzio intendendosi
solo a gesti, i turni di guardia all’accampamento, il sangue quando la lama
affondava oltre il lecito, oltre il dovuto, le incomprensioni arbitrali noi
così performanti in ambienti volti solo al gioco dello sport e ancora le cene e
le feste, ogni occasione buona per celebrare il fragile rito della vita e la
spessa trama dell’amicizia.
Affiorano volti e nomi e il dubbio
è se, ovunque e comunque, qualcuno di costoro abbia trovato un suo cammino, un
suo posto nel mondo, che gli sia di piacere e soddisfazione autentica. Ci manca
il saperlo, il sapere che, via dalla comunità ZNKR ora Spirito
Ribelle, la dolorosa coscienza della crisi quanto la semplice insoddisfazione,
abbiano spalancato le porte del personale rinnovamento; sapere se, con le
parole di Rainer Maria Rilke “Non dovrebbero forse questi dolori
antichi diventare finalmente fecondi per noi?”.
Non per tutti, certamente. Dei tanti che sono arrivati ed
andati leggeri e imbelli, di fatto impermeabili ad ogni stato di coscienza
espansa, ad ogni modificata esperienza soggettiva del tempo oppure ferocemente
aggressivi nel proiettare sull’altro dubbi e mancanze (“E’
colpa tua se…”) perché questi non divenissero fardelli pesanti alla loro
coscienza, poco o nulla ci importa. Loro transitano fuggevoli ed opachi nei
nostri ricordi come fuggevoli ed afflitti da acinesia emozionale sono stai i
loro mesi o anni nel clan.
Ecco, hanno mancato l’appuntamento con la battaglia e la
sofferenza che dà un disvelamento che è conoscenza emozionale di sé e
dell’altro, hanno scansato l’arbitrarietà e il maramaldo scacco della giustizia
dentro alle botte ed agli scontri in cui i deboli subiscono i prepotenti ma
solo per poi rinascere davvero forti nella loro vulnerabilità, nella
loro integrità.
Hanno mancato ma, forse, altrove e in altra compagnia hanno
trovato modi e tempi di avventure e battaglie più a loro adatte sì che ora
siano adulti compiuti, adulti vitali ed erotici. Perché ogni creatura
umana urla in silenzio per essere compresa diversamente da come appare e da
come si comporta, e il codice segreto di questo silenzio non viene nemmeno
lambito.
Poi, le immagini, gli atti e le
parole che infestano questo ridicolo mondo marziale che ci circonda. Muscolosi
ignoranti delle emozioni e dei sentimenti che si pretendono insegnanti di
difesa personale per donne, come se bastasse (a riuscirci!!) condurre ad
imitare un sonoro ceffone sul muso per armare la fragilità e le paure di una
sensibilità così diversa dal maschile (1); praticanti maschi e femmine a
pompare di pesi e ripetizioni per irrobustire i muscoli, il motore sopra un
telaio che non ha spazio né ragione per ospitarli; tecniche ripetute mille e
mille volte come se l’imprevedibilità del vivere non fosse dietro l’angolo a
smentirle; saccenti guru robusti di una cultura e di un sapere appena annusato
tra libri e parole di un mondo che non gli appartiene, non può appartenere loro
perché distante, prima ancora che dai 9.818 chilometri, da un paio di secoli (2).
Inutile limbo di illusioni, quando non spazzatura. Macro
recinto di un micro mondo arrotato su se stesso.
Che incredibile forza essere, invece, Spirito Ribelle!!
Che stupende emozioni in una sera tra amici di vecchia data con cui aver
condiviso e tutt’ora condividere incontri, cadute, scoperte, brevi rinascite
che, già sappiamo, andranno a morire ad un prossimo impatto. La Via del
guerriero, autentico Budo.
Un ultimo brindisi a chi, noi
non lo sappiamo ma tanto lo speriamo, comunque e dovunque, a suo modo, ce l’ha
fatta e, sì dai, anche a chi, invece, cammina dormiente nel grigiore quotidiano
dei chapliniani “Tempi moderni”.
“E
gli alberi votarono ancora per l’ascia, perché l’ascia era furba e li aveva
convinti che era una di loro,
perché
aveva il manico di legno”
(Proverbio turco)
1. “La repressione del desiderio e dell’aggressività
genera, come prima conseguenza, una forma di insicurezza particolare, diversa dall’insicurezza
che sentiamo tutti e che fa parte della condizione umana. (…)
La seconda conseguenza che la rimozione dell’aggressività
provoca nella psicologia femminile è un senso di colpa.
Il senso di colpa è di solito collegato a un codice
morale (…) Diversa è la situazione in cui non siamo (o non siamo più)
consapevoli dei nostri desideri più profondi: ci sentiamo allora colpevoli di
non sapere chi siamo e di non sapere perché. Il senso di colpa ha origine, in
questo caso, dalla mancanza di rispetto verso la propria identità e
dall’inconscia diserzione di fronte a se stessi”. (Marina Valcarenghi “L’aggressività
femminile”). Ma quali esperienze hanno di psiche femminile e mondo emozionale
femminile questi aitanti venditori di difesa personale? Nessuna.
2. Senza bisogno di citare i contradditori studi di Willard
Van Orman Quine sul relativismo culturale, basterebbe affidarsi alle certezze
dell’antropologia culturale per smentirli o, più banalmente, portarli a vedere
il nostro Alberto Sordi in “Un americano a Roma”!! Sai che figure barbine…
domenica 9 giugno 2024
I colori del Ribelle
Delle Arti Marziali asiatiche noi europei abbiamo importato anche la tenuta di allenamento, secondo le varie fogge giapponesi, cinesi, vietnamite ecc.
A volte, abbiamo creato varianti o inventato cose del tutto
nuove.
Come ci si veste praticando
un’arte marziale asiatica?
Fogge e colori hanno sempre un
riscontro nelle abitudini culturali e sociali da cui sono nate. Il nero, colore
che nasconde le macchie di sporco, richiama gli abiti da lavoro e sta ad
indicare che i primi praticanti di Wu Shu (da noi diffuso come Kung
Fu) furono proprio i lavoratori dei campi, ma, nel Ninjutsu (1),
serviva ad occultare l’adepto nel buio della notte. Il Karategi, la “divisa”
tipica del Karate (2), in origine era di un color bianco
opaco, bianco “sporco”, perché fatta in cotone non trattato; solo
successivamente, con la sua diffusione in tutto il mondo e la conseguente creazione
di fabbriche industriali di karategi, è divenuto bianco. Il judogi, la “divisa”
tipica del Judo (3), è divenuta blu nelle competizioni
sportive per meglio differenziare un atleta dall’altro. Chi pratica una qualche
Koryu (4), scuola di arti marziali tradizionali giapponesi, lo fa
indossando l’hakama, una specie di gonna - pantalone che era
parte dell’abbigliamento abituale dei samurai, anche se “la sua origine
risale almeno alla metà dell’ottavo secolo, ben prima che i samurai emergessero
distintamente come casta” (http://www.aikidoiaido.it/joomla/articoli/12-hakama#:~:text=Una%20delle%20spiegazioni%20del%20suo,un%20tipo%20di%20gonna%20%E2%80%93%20grembiule.)
Il passaggio dal Karate giapponese privo di contatto al Contact,
una sorta di Karate dinamico, altamente sportivizzato e a contatto, precursore
di quella che divenne Kick Boxing, ha portato a Karategi
variopinti, con i colori della bandiera USA, con logo e insegne di sponsor
commerciali.
Insomma, vale davvero tutto!!
Foggia
e colori della “divisa” Spirito Ribelle
Data la particolarità, di fatto
l’unicità, del nostro gruppo, in termini di cultura del gruppo stesso;
didattica ed andragogia dell’apprendimento; contenuti dell’apprendimento stesso,
ci siamo posizionati con una “divisa” che, nel mentre permettesse una pratica
comoda nella gestualità e resistente a sfregamenti e strappi, richiamasse nei
colori qualcosa del tradizionale mondo medioevale nipponico.
Sul versante “che colori adottiamo”, ecco la scelta che
richiama la Tradizione medioevale nipponica.
Colori freddi (ao), tra questi c’è il grigio.
Tradizionalmente il grigio è considerato sfondo incolore in rapporto al quale
risaltano i colori. Nel periodo Edo (1603 - 1868) (5),
l’intera gamma dei grigi era considerata colore raffinato (iiki).
Indossiamo una maglia grigio scuro.
Siamo artisti raffinati, dotati di potere temperato da
rettitudine.
Ah, nel più completo Spirito
Ribelle, spirito di libertà, io non vendo l’abbigliamento agli allievi:
Sono il Sensei non un commerciante!! Anche perché, nel mio solito
modo formativo maieutico, che imparino loro a crescere, dandosi da fare per
abbigliarsi a dovere quando e se si sentiranno pronti per essere davvero parte
del clan.
1. “I praticanti esperti che padroneggiavano completamente
il ninjutsu sono definiti ninja. Le origini di quest’arte marziale sono ancora
avvolte nel mistero, così come quelle della rappresentazione del ninja come
guerriero vestito di nero” (https://www.italiajapan.net/ninjutsu/)
2. Arte marziale di origini okinawensi, conosciuta nel mondo
nelle sue codificazioni giapponesi. Per saperne di più, restano sempre validi i
pur datati (1979) “Lo Zen e la via del Karate” di Kenji Tokitsu, esperto di
Arti Marziali, creatore di una sua propria arte e ricercatore di valore
assoluto e “The way of karate” (1963) di George E. Mattson, pioniere del Karate
Uechi-Ryū in USA e scrittore.
3. Il Judo, arte principalmente affidata alle proiezioni al
suolo ed alla lotta a terra, deve la sua origine al Maestro fondatore Jigoro
Kano (1860 – 1938). Per saperne di più sulle origini, “Judo” di Bindo A.
Serani, la cui prima edizione è datata 1953 ed “I Quaderni del Bu Sen” ad opera
del Maestro ed educatore Cesare Barioli, uno degli ultimi strenui difensori del
Judo Tradizionale contro i sostenitori del Judo ridotto a sport e competizione.
4. “In Giappone sono considerate Koryu le scuole (non solo
Marziali) che sono state fondate prima della restaurazione Meiji (quindi prima
del 1862), in contrapposizione ai Gendai Budo (Budo Moderni) fondati dopo
questa data” (https://www.doushindojo.it/2018/01/06/koryu-gendai-budo-e-false-tradizioni/)
5. Altrimenti detto epoca Tokugawa,1600 – 1868. (https://www.nihonjapangiappone.com/pages/geostoria/storia/sttokugawa.php)
Per saperne di più sui colori nella tradizione giapponese:
“I colori nel Giappone antico” G. Pasqualotto
(https://riviste.unimi.it/index.php/MdE/article/download/20674/18339)
“I colori giapponesi” F. Chiagano
(https://www.vadoingiappone.it/informazioni-cultura-giapponese/i-colori-giapponesi/)