lunedì 22 luglio 2024

2024 Giugno. Tanren


Più di una volta nell'Aikido, o nel Nihon Tai Jitsu, mi sono trovato a eseguire una tecnica troppo velocemente, troppo forte, senza rispettare i criteri più basilari. Semplicemente perché nel vivo dell'azione, ciò che contava era applicare la tecnica al mio partner. Il fine giustifica i mezzi... è probabilmente vero nel breve termine, ma limita anche la progressione nel lungo termine” (M° Minoru Akuzawa in “Dragon Special Aikido” Ottobre 2015)

Nell’ambito dell’apprendimento di una qualsiasi disciplina fisica, Tanren non è riferito allo sviluppo di un’abilità tecnica specifica, quanto alla necessaria preparazione di base, fondamentale (hon), al forgiare il corpo inteso come consapevolezza corporea, ovvero essere consapevole di come faccio ciò che faccio, qualsiasi cosa io faccia. Chi pensa a faticosi esercizi ginnici, all’uso di pesi, all’irrobustimento muscolare, è completamente fuori strada. Per me, è fuori da:

- Movimento consapevole, quello che io ho chiamato Movimento Intuitivo. Quello teso a realizzare il muoversi bene, muoversi meglio per muoversi a lungo. Un modo di muoversi e agire nello spazio che sostanzia ed orienta il nostro personale evolversi di vita in un processo androgico continuo; che privilegia sensazione ed azione.

- Arti Marziali, intese sia, astutamente, come “Mezzo per raggiungere l’armonia con un’altra persona in modo tale che tu possa farle fare ciò che desideri” (attribuita a Morihei Ueshiba, creatore dell’Aikido), sia come mezzo per comprendere e migliorare se stessi (Budo), il che, in entrambi i casi, è capacità di sapere stare in ogni situazione conflittuale.

Allo Spirito Ribelle, in Tanren sono racchiuse diverse “forme” corporee, tutte originate da onde e spirali. (1) Nel mentre che il praticante sperimenta queste diverse possibilità espressive impadronendosi del moto ondulatorio, avrà modo di coniugarle liberamente tra di loro secondo il suo unico e personale corpo espressivo”, costruendo il suo personale stile di movimento e, così, di combattimento.

Si tratta, sostanzialmente, di un lavoro di ricognizione. I movimenti in solitaria permettono di prendere consapevolezza del nostro corpo, di riorganizzarne la struttura, di impostare le sue linee di forza (2) e di utilizzare queste linee di forza per avviare il movimento. Questa riorganizzazione del corpo ci condurrà ad applicazioni dove i principi del movimento corporeo potranno essere utilizzati liberamente adattandoli alle diverse situazioni.

 

1.    1,  Il mio percorso di pratica e divulgazione, deve molto ai “giganti” che mi hanno preceduto, ai loro metodi che ho praticato e pratico tutt’ora o che ho semplicemente osservato, siano esse discipline marziali oppure di movimento ed espressione corporea apparentemente distanti dal mondo del combattimento. A loro devo la mia intuizione e poi costruzione di un modo di praticare e divulgare per cui, da decenni, ho smesso di insegnare esercizi fisici e tecniche marziali per passare invece a proporre esperienze di movimento; ho smesso la pretesa di insegnare un sapere prefissato a chi non sa e perciò è subalterno, per accogliere il sapere personale di ogni allievo accompagnandolo in un cammino di formazione attraverso il movimento consapevole, e questo grazie ad una didattica libertaria e maieutica. Per questo noi Spirito Ribelli siamo unici, uguali a nessuno.

2.    2.  Nel corpo umano, le forze ascendenti e discendenti creano delle linee parallele e non, definendo fulcri e perni attorno ai quali e possibile definire la funzionalità sia del movimento che della statica e dei passaggi posturali dall’uno all’altra e viceversa. E’ importante cogliere le differenze fisiche e psicologiche del movimento della colonna vertebrale a seconda che questo avvenga attraverso la muscolatura esterna o attraverso la muscolatura profonda, il tessuto connettivo, come è invece negli animali. Questo secondo modo porta il praticante a confrontarsi con le sue pulsioni e i residui istintuali, tratto caratteristico del Taiki Ken.



giovedì 11 luglio 2024

Mi muovo, agisco, vivo.

Una generosa spruzzata chimica a tenere lontane le zanzare e sono pronto, qui, ai giardini Marcello Candia, ore 07,15 di un già caldo mattino di Luglio.

Formazione in solitario, ma questa volta evado da casa e mi offro al verde urbano della città.

Oscillazioni, quella incontrata in un percorso Tai Chi Chuan ma davvero appresa, cioè ben spiegata, durante il percorso Danzaterapia Espressivo Relazionale, e quella a studiare la verticalità, l’onda verticale, caratteristica di quello che, nelle sue diverse sfaccettature e interpretazioni, è chiamato “Movement Culture” (1). Ovvero quell’area di ricerca su corpo e movimento che rifugge protocolli ed esercizi standard, in quanto si fonda sull’esperienziale e non su modelli di prestazione. Mi sovviene l’imperativo di Herns Duplan, creatore di Expression Primitive (2), e le sue raccomandazioni ascoltate ad un seminario intensivo a Roma: “Un minimo di struttura e molta esplorazione”. Mi sovviene quel che facciamo qui, allo Spirito Ribelle!!

Tanren, i nostri otto tanren dinamici, modi di forgiare il corpo per prepararlo al movimento. Otto, dei tanti, che io ho scelto solo per indicare una direzione, perché il gusto sarà poi legarli, mischiarli, interpretarli come piacerà ad ogni praticante Spirito Ribelle, che ogni praticante è “portatore sano” (!!) di personalità e di un corpo delle espressioni del tutto soggettivo.

Alcuni minuti di tanren statici, quelli che lavorano tendini e tessuto fasciale, quelli faticosi, insomma.

Nami, le onde, catene cinetiche a susseguirsi, fluide e potenti, praticate in alcuni dei molti modi possibili. Onore ai “giganti” che, nel passato, mi hanno fatto scoprire il movimento ad onda, seminario dopo seminario, il compianto Maestro Erle Montaigue, Tai Chi Chuan e Pa Kwa Chuan, ed i suoi rappresentanti qui in Italia e poi il Maestro Hiroo Mochizuki col suo sinuoso Yoseikan Budo.  Ormai da un ventennio ho proseguito pratica e studio dell’onda arricchendola di nuove esperienze e nuovi modi di proporla ed eseguirla, facendone il cardine del nostro modo di muoverci e colpire. (3)

Il sudore sgorga copioso, saluto a distanza conoscenti qui a spasso col cane mentre, legando alcune bande elastiche ad un albero, mi cimento in movimenti liberi esplorando elasticità e interconnettività tra le parti del corpo, sondando possibilità di movimento parzialmente costretto nelle e dalle bande per scoprire scenari di relazione e mutevolezza così come avviene nel vivere quotidiano. Presenza attenta a come respiro, alla fluidità dell’onda, al posizionamento del “timone”, là dove una volta stava la coda ed ora operano coccige e “coda equina”; curiosità e creatività agite nello spazio circostante, sovvertendo il limite imposto dalle bande per farne strumento di nuove ed inaspettate gestualità: La fantasia al potere dentro la scoperta fisicoemotiva, dentro il muoversi Ribelle principio orientativo che precede e domina qualsiasi specifica standardizzazione.

E’ la volta dell’ingresso nel mondo Kenshindo, “La Via dello spirito della spada. Impugno il bokken. Sono fendenti e falciate a sibilare nell’aria calda. Finalmente libero di esprimermi che, da quando frantumai la lampada nella stanza di mio figlio Lupo, ogni momento di mia formazione Kenshindo svolta a casa è sempre vissuta con una certa apprensione.

Movenze piccole, raccolte, movenze a simulare (non a fingere!!) un duello di vita o morte. “Guardia” raccolta, esplosioni improvvise e spostamenti repentini (4).

Dai Kihon, i fondamentali, alle quattro sequenze che costituiscono la base del Tameshigiri. Poi i Rinto Kata, le forme a due di combattimento. Immagino l’avversario, lo percepisco presente pur nel vuoto, tra alberi e fogliame, che mi circonda. Mi godo in particolare il secondo e il quinto scambio, quelli più vicini al mio modo di mettermi in gioco in un duello. In uno, l’attesa famelica dell’assalto avversario per addentargli il cuore travolgendo il suo spazio vitale, la sua chinesfera; nell’altro, quel piccolo e nascosto gioco di mano che mi consente di proteggermi mentre già metto in atto il fendente letale, definitivo.

E’ tempo di avviarsi a chiudere.

Pa Kwa / Hakkeshou nel passo e nelle mani del Dragone, l’animale sovente richiamato nelle pratiche taoiste per indicare un incedere flessuoso e libero. E’ associato all’elemento Legno, ciò che si espande; è il trigramma CHIEN, fulmine e tuono, in cui la base Yang infrange i trigrammi Yin che le stanno sopra; è chiamato anche l’Eccitante e la sua energia è quella del risveglio della primavera. E’ il figlio primogenito. Complessa visione taoista, profondo quanto incerto procedere nello studio dell’I CHING e dell’eterno muoversi che è l’anima, il cuore, di quest’arte tanto affascinante.

Non può mancare la forma di Tai Chi Chuan, quella che allo Spirito Ribelle è la forma della “Vera Sintesi” come da me imparata negli anni ‘80 dal Maestro Kenji Tokitsu e, nei decenni, evolutasi con il mio procedere nella pratica dell’Arte. Scorre flessuosa, di una forza calma e potente. Scorre tra gli alberi e dentro l’aria calda che abita i giardini.

Qualche movimento a liberare eventuali tensioni, ad accarezzare spazi dolci e permeabili, ad aprirsi alla “Respirazione Testicolare”, Scuola Healing Tao del Maestro Mantak Chia come imparata dall’insegnante Angela Chirico. Fluire di respiro profondo ed energia Kundalini, energia potente.

Poi il raccoglimento, la chiusura.

E’ il momento per una breve rinfrescata alla fontanella e recarmi poi alle delizie di una ricca e dolce colazione.

Un ciclista mi passa accanto spendendo parole di elogio per il bokken nero. Lo ringrazio e penso alla riconoscenza che devo al mondo, alla vita, se, all’età di settantadue anni, sono ancora così in buona salute da muovermi a piacere e per il mio piacere. Un misto di sorpresa, che vent’anni fa mai mi sarei immaginato di godere ancora oggi di corpo e movimento, e di orgoglio per i piccoli ma sostanziosi progressi che ho scoperto essermi cresciuti dentro. Non manca la consapevolezza che tanta strada ancora mi attende in questo affascinante viaggio di movimento e Arti Marziali, tanti ripensamenti e cadute mi aspettano. Ma è certo questo l’autenticamente bello di praticare attraverso l’esperienza di essere corpo, corpo che lascia fluire l’azione e si apre all’evoluzione. Che è Spirito Ribelle.

 

1. Movimento internazionale, spontaneo, che esplora e propone corpo, corporeità e gestualità con un approccio olistico, di consapevolezza motoria, di processo androgico permanente. Se generalmente si individuano in Linda Kapetanea e Jozef Frucek e nei primi anni 2000 l’avvio di questo movimento internazionale, di cui forse il più famoso esponente è Ido Portal e di cui ora abbiamo traccia anche a Milano, grazie al NATKED Movement Studios, personalmente non posso però non ricordare chi, ancor prima di loro, avviò un processo di totale ribaltamento della concezione della ginnastica e del fitness. Personalmente mi indirizzarono in questa direzione la pratica continuativa del Metodo Feldenkrais (Moshe Feldenkrais 1904 – 1984) e della Danza Sensibile (creata da Claude Coldy); le saltuarie esperienze del metodo Trager (Milton Trager 1908 – 1997) ed Expression Primitive (creata da Herns Duplan). Non posso non citare gli stupefacenti filmati di Orlando Cani, il creatore della “Bioginnastica”.

 2http://herns.duplan.free.fr/textes/hernsital.html

3. Onde esplosive che caratterizzano, tra gli altri, Maestri di caratura quali Minoru Akuzawa, dell’Aunkai Bujutsu, ed Ellis Amdur, esperto di Koryu tradizionali.

4. Con tutto il rispetto per posizioni impeccabili ed impettite, gestualità ampie e pompose, guardate la differenza tra i duellanti delle pellicole giapponesi come “I sette samurai” (1954) o Yojimbo (1962) e le produzioni hollywodiane, animate da figure generosamente esposte agli attacchi avversari palesando sicumera infantile e narcisistica.

 









mercoledì 10 luglio 2024

Il mio pensiero di Luglio - Agosto

 Carl Gustav Jung ammoniva a non sprecare tempo ed energie per scansare il dolore e la sofferenza di cui ogni individuo è debitore alla propria natura umana, perché così si sconfessa il tributo alla vita, la quale si vendica portandoci lontano da noi stessi. Non accogliere il proprio destino porta inevitabilmente alla nevrosi e, chissà, la nostra vita, quella che nel bene e nel male ci spetta, probabilmente è meno dolorosa e ingarbugliata di una nevrosi. Insomma: Se proprio devo penare, che sia almeno per la mia di realtà. Infatti una nevrosi, che non è mai cosa piacevole, sovente è un impedimento fittizio, un “pannicello caldo” agito per non guardare in faccia ed affrontare qualcosa di reale.  E come tutti i palliativi, è destinato prima o poi a cadere sotto i colpi del reale, del vissuto.

Semplice secondo il buon Jung, semplice per lui!!

Scritto questo, dato che andiamo incontro ai mesi estivi che sono generalmente vissuti come liberatori e possibilmente leggeri per le nostre spalle affaticate, lasciamo pure scorrere via le “pesanti” parole di Jung e buttiamoci incontro alle cose serene, emotivamente ricche e feconde, che l’estate, è il mio augurio, ci donerà.

Tanto chi pratica Spirito Ribelle, se mai dovesse incappare in situazioni di sconnessione e malessere, ha gli strumenti fisicoemotivi per guardare negli occhi il “mostro” e stare, o almeno provare a stare, nel conflitto.  Vincenti o perdenti, la nostra formazione al confliggere, formazione marziale, non ci farà né fuggire né mentire, magari ricordando pure l’ammonimento di Jung.

Ma l’estate, dai, sarà sorridente e serena per tutti noi e quelli che ci stanno accanto.

Che sempre siate fieri del vostro vivere!!

OSS!!

Tiziano Sensei



martedì 9 luglio 2024

E’ operativo il nuovo sito Spirito Ribelle con annesso blog

 https://tizianosantambrogio.it/


Ad esso sono affidati articoli e riflessioni in grado di intercettare un pubblico che abbisogni di spiegazioni esaustive, corrette e mai banali che, contenendo la mia esperienza ed i miei studi controcorrente ed innovativi, riescano (ci spero) ad introdurlo nello sgangherato quando non truffaldino mondo del movimento e delle Arti Marziali, offrendo una prospettiva diversa.

Di contro al dominare di una visione in cui il corpo è oggetto tra gli oggetti, merce da esibire e mostrare nel mercato dell’apparenza quando non da nascondere se non risponde ai canoni delle masse; corpi omologati nell’esercizio fisico o marziale neganti ogni differenza e che invece vagheggiano un’unica forma e un addestramento fatto di tante e tante ripetizioni, ecco la pratica ed il pensiero Ribelle. Luogo di accoglienza per tutte e tutti.

Continua a vivere questo mio blog

 Qui il lettore proseguirà a trovare di corpo e movimento, di pratiche marziali, quanto di libri, di incontri con le sette arti e con uomini e donne del quotidiano, esplicitati con il mio solito linguaggio libero e la franchezza di chi sta curioso al mondo. Spazio di intelligenza ed avventura.


domenica 7 luglio 2024

Mondiali di Kendo


A Milano si tiene il

19° Campionato Mondiale 

di Kendo,

 ed eccomi spettatore interessato.

Il Kendo, cosa è?

E’ la tipica scherma giapponese in cui i contendenti si affrontano utilizzando un completo di protezioni ed una “spada”, lo shinai, fatta unendo tra di loro quattro di stecche di bambù. Bersagli consentiti: Men (il capo), Do (il tronco), Kote (i polsi), Nodo (la gola).

In Giappone la sua pratica è incoraggiata sin dalla tenera età tanto da essere diventata materia obbligatoria all’interno del sistema di istruzione scolastico

Il Kendo è uno sport?

Nato con finalità ben diverse, tra cui la fedeltà allo spirito samurai e la formazione ad alcuni valori tra i quali il saper affrontare coraggiosamente la morte e il coltivare lo spirito di sacrificio, con i decenni è diventato uno sport, tanto capace di diffondersi oltre la ristretta cerchia degli appassionati quanto perdendo molto (tutto?) della parte spirituale.

Ricordo, qui in Italia negli anni ‘80, le diatribe su queste diverse interpretazioni tra Mario Bottoni, fervente tradizionalista disposto a mantenere il Kendo in una nicchia con eventuali gare aperte solo ad un pubblico di praticanti ed arbitrate da Maestri di alto livello pur di non perderne i valori Tradizionali, ed i sostenitori di una versione sportiva, per ciò stessa capace di attirare attenzioni di pubblico e commerciali altrimenti negate. Vinsero i secondi, ovviamente.

Il praticante di Kendo sa usare il katana?

Quando, per esigenze belliche, in Giappone arruolarono nell’esercito i kendoka di ogni livello, si accorsero subito che non sapevano affatto “tagliare” (1). Sì perché il katana richiede il tagliare, non il colpire. Lo sa bene chi pratichi Tameshigiri, il taglio di stuoie o canne di bambù. Tagliare significa tranciare di netto, senza sbavature, il bersaglio che, nei casi migliori, addirittura resta un attimo immobile prima di cadere al suolo. Colpire significa spaccare in due il bersaglio lasciando margini scomposti e residui di materiale quando non trovarsi con la lama affondata nel bersaglio e lì bloccata senza che questi si divida in due.

Dunque, il kendoka, per saper davvero tagliare, dovrà affiancare alla pratica dello sport con lo shinai, una efficace ed efficiente pratica col katana e le Arti ad esso connesse. “Efficace ed efficiente” che per me è tale solo se completata dalla pratica del Tameshigiri, il che, almeno qui in Italia, non è affatto scontato. Anzi!! (2)

Ed eccoci ai Mondiali!!

Atmosfera elettrizzante, atleti di tutto il mondo, pubblico eccitato nel commentare i colpi dati e non dati.

Non è che il Kendo mi faccia … impazzire… Se la preparazione non è cambiata, la base dell’allenamento consta del colpire a vuoto ripetutamente e poi ancora ed ancora: Domina l’impostazione tipicamente meccanica che crede, con la ripetizione, di riuscire a rendere spontaneo il gesto. Poi i contendenti si muovono sempre in linea retta, avanti ed indietro: Banditi gli spostamenti diagonali, laterali, circolari. Infine, la limitazione dei bersagli consentiti impoverisce il bagaglio strategico e tecnico.

Eppure … resto affascinato dai combattimenti, dai Kiai delle contendenti (sono alla giornata dedicata agli individuali femminili), dalle movenze feline che cercano uno spiraglio per entrare nella guardia altrui. Nonostante sia stato ridotto a gioco sportivo, resta ancora valido l’imperativo di” colpire quando si è già entrati”, ovvero di lanciare lo shinai quando si sa, si sente, che il bersaglio è stato colpito e l’affondo resta una pura formalità.

Ci si muove dentro sakki, che è sentire la volontà di attacco rivolta contro se stessi, e hara – gei, intuirsi a vicenda. Questi formidabili principi, nella competizione sportiva vengono applicati premiando solo i colpi che arrivano precisi e potenti sul bersaglio, e lo fanno impegnando la parte terminale dello shinai, quella che in un katana sarebbe il tagliente più affilato che va dal kissaki (la punta) a circa una spanna lungo la lama.

Insomma, sarà ormai solo uno sport, un gioco, ma personalmente ne sento il fascino che sa di lontano ed antico, di duelli vita o morte. Encomiabile, poi, l’atteggiamento delle duellanti e dei loro coach: mai una voce o un gesto fuori posto, sempre rispettose dell’avversaria come delle decisioni arbitrali.

Mi vengono in mente le gare di Karate anni ’70. Sicuramente meno dinamiche e varie della versione sportiva del Karate (3) ma… quelle emozioni, quelle tensioni dei praticanti e tra il pubblico, quel senso di terribile ed irreparabile “qui ed ora”, risultano ormai perse, per non parlare del rispetto tra i combattenti e del silenzio glaciale del pubblico.

Ecco, io che, nel mio piccolo, sono passato attraverso la pratica e le gare di ambedue, riconosco che nella seconda c’è più libertà e divertimento, ci sono atleti preparati di fiato e fisico, ma nella prima si respirava davvero il clima samurai, l’esplodere improvviso di un atto che sarebbe stato letale, la paura di essere fortemente danneggiati, la tensione del coraggio e della paura.

Forse, una volta intrapresa la china dello sport, che porta lo sport inevitabilmente ad essere lo specchio fedele della società, il declino valoriale e di rispetto sono inevitabili. Guardate il tennis oggi, tra gesti plateali e volgari degli atleti, roboanti richieste di sostegno al pubblico e pubblico stesso vociante e maleducato.

Ecco, guarda un po', il Kendo sportivo è ancora un’isola felice di rispetto e marzialità, di cuore guerriero, o, almeno, io così ho vissuto questo bellissimo pomeriggio all’Unipol Forum di Assago, al 

19° Campionato mondiale di Kendo.

 

1. La lacuna nell’uso realistico del katana fu colmata attraverso gli insegnamenti della Scuola Toyama Ryu; in particolare furono scelte alcune essenziali sequenze di Tameshigiri per formare i praticanti al taglio efficace ed efficiente. Queste sequenze sono le stesse adottate nel nostro Kenshindo.

2. Come scritto più volte, personalmente sono distante anche dalla pratica “sportiva” del Tameshigiri, cioé dalle gare su chi lo taglia più grosso (sì, abbiamo pure questo!!), come dal taglio praticato su oggetti vari quali frutta e cartone. In questo sono e resto un tradizionalista.

3. https://youtu.be/gAYIaiM2xgs

https://youtu.be/e0Wn7T-TMCI

https://youtu.be/iy5IixR7X7c

 





giovedì 4 luglio 2024

2024 Giugno. Rinto Kata – Kenshindo


Forme a due di combattimento. Fuori da ogni formalismo, si sostanziano dell’affermazione del Maestro Kuroda: “Quando ti alleni da solo potresti pensare che quello che stai facendo sia soddisfacente, ma quando la tua schiena e la tua spalla vengono tagliate in due, quando sei avvisato del movimento distorto nel tuo corpo nel momento in cui il tuo avversario ferma la tua spada, allora ti rendi conto che se fosse un vero combattimento saresti ferito o colpito a morte”. (https://aikidojournal.com/2002/08/26/interview-with-tetsuzan-kuroda/).

Dunque, la consapevolezza del “corpo come sono” (Leib) va di pari passo prima ancora che dello scopo di quel che fai, col senso che questo tuo fare ha. E’ la simulazione di un conflitto vita o morte, non la finzione (1).

I Rinto Kata dunque, non sono una ripetizione a memoria, ma “una sorta di esercitazione ‘dal vivo’, quest’ultima progettata per incidere i riflessi abbastanza profondamente da farli diventare ‘pseudo-. istintuali’”. (E. Amdur in “A duello con O Sensei”).

Mai senza l’altro. Altro che è insieme il te stesso conosciuto e quello meno conosciuto, da cui fuggi, quanto l’altro da te, l’ambiente in cui vivi. Confronto guerriero che disvela inesorabilmente le tematiche emozionali di ognuno dei due praticanti.

Pur praticato con armi di legno, non acciaio affilato come siamo soliti fare qui allo Spirito Ribelle, è formazione vera, realistica, al duello di spade.

 

1. Mentre nella finzione il soggetto, razionalmente, intende copiare ed imitare azioni, parole, atteggiamenti a lui estranei, nella simulazione il soggetto mette in atto sintomi fisicoemotivi ed azioni e parole originati da incentivi interni ed esterni particolarmente capaci di incidere sulla sua personalità. Per meglio spiegare, ci vengono in soccorso le parole di J. Grotowski: “Le vostre azioni fisiche saranno radicate ancora meglio nella vostra natura se allenate gli impulsi, non le azioni. (omissis). Prima dell’azione fisica, c’è l’impulso, che spinge dentro il corpo, (omissis) In realtà, l’azione fisica, se non inizia da un impulso, diventa qualcosa di convenzionale, quasi come il gesto. Quando lavoriamo gli impulsi, diventa radicata nel corpo”. (T. Richards in “Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche”)

 

 

 

 

 


giovedì 27 giugno 2024

Mai senza l’altro

Il tempo incerto alterna scrosci d’acqua a macchie di cielo azzurro e ci si mette pure lo sciopero dei conducenti ATM (sacrosanto, viste le condizioni di lavoro in cui ATM, di proprietà del comune di Milano, tiene quei lavoratori: Vai Sala e PD, sempre in linea con l’adesione allo sfruttamento dell’homo faber e ad una sfrenata pragmaticità capitalista!!).

Eppure Monica ed io siamo puntuali al Castello Sforzesco,

Festival della bellezza

per una serata in due tempi: il primo con Massimo Recalcati, psicoanalista di formazione lacaniana, su “Icone: Gesù e Freud”; il secondo con Alessandro D’Avenia, docente di scuola media superiore e scrittore, su “L'Odissea e l'arte di essere mortali”.

Una lunga fila per entrare, un pubblico eterogeneo per età: Magari saranno pure dei rimbambiti di Master Chef o di X Factor, lettori di Fabio Volo o passivi auditori di podcast, ma, intanto, sono e siamo qua, per una serata di sola cultura, senza musica, luci stroboscopiche, effetti speciali, soubrette convinte che “far vedere il culo si possa definire un lavoro” (cit. da Roberto Vecchioni “Questi fantasmi” https://www.youtube.com/watch?v=cPHE1KcmX4s) e uomini e donne qualunque a esporre  sfacciatamente i propri sentimenti in cambio di un quarto d’ora di notorietà.

Recalcati ci intrattiene con una interessante disamina su Freud e l’inconscio. Nulla di trombonico, tutto spiegato in modo coinvolgente e chiaro. Parole che aprono interrogativi autentici sul rapporto con la nostra parte più razionale quanto sull’intelligenza altra che ci abita, sempre. 

Per parte mia, di formazione gestaltica e convinto che il nodo non sia mai mente e corpo ma corpo e mondo, non posso certo aderire alla sua visione. Poi, di tanto in tanto, in me fa capolino l’eretico Massimo Fagioli (1), psichiatra e psicoterapeuta, quello che aborriva Freud dedicandogli parole pesanti, quello ancor più distante di Freud dall’omosessualità, quello delle analisi collettive, a disturbare le riflessioni di Recalcati.

Applausi convinti a cui mi unisco: E’ davvero un grande mondo quello in cui qualcuno o qualcosa ci induce a riflettere su di noi, a cercare sempre nuove risposte che inducono nuove domande.

Ma non sapevo cosa mi stava aspettando!!

Sì perché D’Avenia, uomo di palcoscenico, ci intrattiene per due ore circa portandoci per mano, scanzonato, irriverente e autenticamente profondo insieme, dentro le pieghe del nostro vivere, delle domande che eludiamo per non scoprirci “rappresentazione” invece che “presenza” (sono parole sue).

Nel raccontarci degli esami di maturità, nel prendere le parole e spogliarle del significato convenzionale per portare alla luce il significato originale che dona loro una vita nuova e palpitante, nel narrarci le peripezie di Ulisse, ci immerge nell’esperienza personale di ognuno che è anche percorso di ogni uomo verso il proprio originale compimento esistenziale.

D’Avenia, noi a bocca aperta e col fiato trattenuto, ci svela l'invincibile nostalgia di futuro, quella che ci affligge ogni giorno la cui soluzione, almeno tentata se non riuscita, è tornare nella nostra di Itaca, non quella del passato ma quella ancora da fare rimanendo fedeli al nostro destino. Perché solo se sappiamo abbracciare il nostro destino, che è il nostro desiderio, viviamo.

Mi tornano a galla le parole di Jung che mi sono servite nello stendere la mail di Luglio – Agosto indirizzata ad allievi ed amici. I testi di Gurdjieff scoperti nella mia gioventù e le danze sufi praticate invece pochi mesi or sono.

MI riempiono gli occhi, quando D’Avenia invita ad un gesto di distensione ed amore, il gentile bacio di una giovane coppia davanti a me e i fugaci sguardi di poche altre: Già, quante parole desertiche scorrono tra coppie che si pensano “insieme” uccidendo ogni calore e speranza di un presente ed un futuro davvero “insieme”. Lo scultore Giacometti scriveva, più o meno, che pochissimi sono gli occhi in cui esiste lo sguardo. E se questo sguardo non esiste nemmeno dentro una coppia, come sarà mai possibile volgerlo verso l’altro da sé, verso lo sconosciuto? E forse, tragicamente, non sarà mai volto nemmeno dentro di sé.

MI pare che D’Avenia, mentre ci invita ad un applauso verso di noi e verso il piacere di vivere, ci metta in guardia dal sopravvalutare le manifestazioni esteriori delle persone, mancando invece la comprensione di quelle che sono le motivazioni occulte, nascoste, dei pensieri, delle immaginazioni e dell’agire che le persone compiono. E il loro rispetto.

Resistere, la tanto abusata resilienza, non è rimanere fermi, ma ri-esistere: Nascere.

Grande il D’Avenia.

 

1. https://massimofagioli.com/

 


 

lunedì 17 giugno 2024

Tra passati ricordi e nuova spazzatura

Lupo a mangiare etnico, Monica via per tutta la settimana, ecco gli amici, una sera, a cena. Valerio e Giovanni, allievi di lungo corso, docenti a loro volta, ma soprattutto amici di cuore.

Dalle incursioni in terra marchigiana arrivano vino eccezionale ed olive ascolane, poi ci sono formaggio, nduja spalmabile, gustose salsicce, budino al cioccolato. Non mancano rhum, vodka, grappe ed amari.

Insomma, non manca nulla dell’armamentario per una bella serata.

E le chiacchiere. Quelle che liberano emozioni sigillate dentro a respiri sconnessi, quelle che fanno capolino dentro i segreti più nascosti, quelle che fuggono dal deserto di un vuoto che trova sostanza nell’essere feriti dentro, interiormente. Ferite profonde, e chi non ne ha?

Sara l’anancasmo di non perdere nulla di una memoria ricca e variegata, sarà il bisogno di rivedere oggi i colori di volti e presenze passate… e quante ne abbiamo fatto in decenni di pratica marziale insieme, tra formazione di notte o alle prime luci dell’alba, sotto la pioggia torrenziale o bruciati dal sole, immersi in boschi selvatici o a correre per ripide stradine di montagna.

Momenti indimenticabili: La camminata in cerchio del Pa Kwa  attorno ad un braciere ardente, il librarsi nel buio della notte di una e dieci lanterne, lo spregiudicato taglio di lame su una carcassa di maiale, i giorni di assoluto silenzio intendendosi solo a gesti, i turni di guardia all’accampamento, il sangue quando la lama affondava oltre il lecito, oltre il dovuto, le incomprensioni arbitrali noi così performanti in ambienti volti solo al gioco dello sport e ancora le cene e le feste, ogni occasione buona per celebrare il fragile rito della vita e la spessa trama dell’amicizia.

Affiorano volti e nomi e il dubbio è se, ovunque e comunque, qualcuno di costoro abbia trovato un suo cammino, un suo posto nel mondo, che gli sia di piacere e soddisfazione autentica. Ci manca il saperlo, il sapere che, via dalla comunità ZNKR ora Spirito Ribelle, la dolorosa coscienza della crisi quanto la semplice insoddisfazione, abbiano spalancato le porte del personale rinnovamento; sapere se, con le parole di Rainer Maria Rilke “Non dovrebbero forse questi dolori antichi diventare finalmente fecondi per noi?”.

Non per tutti, certamente. Dei tanti che sono arrivati ed andati leggeri e imbelli, di fatto impermeabili ad ogni stato di coscienza espansa, ad ogni modificata esperienza soggettiva del tempo oppure ferocemente aggressivi nel proiettare sull’altro dubbi e mancanze (“E’ colpa tua se…”) perché questi non divenissero fardelli pesanti alla loro coscienza, poco o nulla ci importa. Loro transitano fuggevoli ed opachi nei nostri ricordi come fuggevoli ed afflitti da acinesia emozionale sono stai i loro mesi o anni nel clan.

Ma alcuni hanno lasciato un segno, anche profondo. Alcuni … quello che, a sentir Giovanni, le “chiavi d’ingresso delle sua porta” non aveva nemmeno bisogno di cercarle perché erano lì, già nelle sue mani; l’oscura strega selvaggia attraversata da pulsioni profonde; l’impiegato “perfettino” che però aveva sentore degli abissi su cui andava marciando; l’affascinante regina caduta alla prima tentazione d’orgoglio o d’età ancora non si sa; il disperato cercatore di sé tra eccessi d’alcool e di sesso e un putrido paravento di bugie.

Ecco, hanno mancato l’appuntamento con la battaglia e la sofferenza che dà un disvelamento che è conoscenza emozionale di sé e dell’altro, hanno scansato l’arbitrarietà e il maramaldo scacco della giustizia dentro alle botte ed agli scontri in cui i deboli subiscono i prepotenti ma solo per poi rinascere davvero forti nella loro vulnerabilità, nella loro integrità.

Hanno mancato ma, forse, altrove e in altra compagnia hanno trovato modi e tempi di avventure e battaglie più a loro adatte sì che ora siano adulti compiuti, adulti vitali ed erotici. Perché ogni creatura umana urla in silenzio per essere compresa diversamente da come appare e da come si comporta, e il codice segreto di questo silenzio non viene nemmeno lambito.

Poi, le immagini, gli atti e le parole che infestano questo ridicolo mondo marziale che ci circonda. Muscolosi ignoranti delle emozioni e dei sentimenti che si pretendono insegnanti di difesa personale per donne, come se bastasse (a riuscirci!!) condurre ad imitare un sonoro ceffone sul muso per armare la fragilità e le paure di una sensibilità così diversa dal maschile (1); praticanti maschi e femmine a pompare di pesi e ripetizioni per irrobustire i muscoli, il motore sopra un telaio che non ha spazio né ragione per ospitarli; tecniche ripetute mille e mille volte come se l’imprevedibilità del vivere non fosse dietro l’angolo a smentirle; saccenti guru robusti di una cultura e di un sapere appena annusato tra libri e parole di un mondo che non gli appartiene, non può appartenere loro perché distante, prima ancora che dai 9.818 chilometri, da un paio di secoli (2).

Inutile limbo di illusioni, quando non spazzatura. Macro recinto di un micro mondo arrotato su se stesso.

Che incredibile forza essere, invece, Spirito Ribelle!! Che stupende emozioni in una sera tra amici di vecchia data con cui aver condiviso e tutt’ora condividere incontri, cadute, scoperte, brevi rinascite che, già sappiamo, andranno a morire ad un prossimo impatto. La Via del guerriero, autentico Budo.

Un ultimo brindisi a chi, noi non lo sappiamo ma tanto lo speriamo, comunque e dovunque, a suo modo, ce l’ha fatta e, sì dai, anche a chi, invece, cammina dormiente nel grigiore quotidiano dei chapliniani “Tempi moderni”.

“E gli alberi votarono ancora per l’ascia, perché l’ascia era furba e li aveva convinti che era una di loro,

perché aveva il manico di legno”

(Proverbio turco)

 

1. “La repressione del desiderio e dell’aggressività genera, come prima conseguenza, una forma di insicurezza particolare, diversa dall’insicurezza che sentiamo tutti e che fa parte della condizione umana. (…)

L’insicurezza alla quale qui mi riferisco, invece, genera una sofferenza nevrotica perché si riferisce all’identità personale: Chi sono davvero? Che cosa voglio? Come devo muovermi per ottenerlo? Il non sapere chi si è, il vivere in funzione altrui, il sentirsi incapaci inducono una precarietà che spinge alla ricerca di conferme nel prossimo e vietano di affrontare i conflitti.

La seconda conseguenza che la rimozione dell’aggressività provoca nella psicologia femminile è un senso di colpa.

Il senso di colpa è di solito collegato a un codice morale (…) Diversa è la situazione in cui non siamo (o non siamo più) consapevoli dei nostri desideri più profondi: ci sentiamo allora colpevoli di non sapere chi siamo e di non sapere perché. Il senso di colpa ha origine, in questo caso, dalla mancanza di rispetto verso la propria identità e dall’inconscia diserzione di fronte a se stessi”. (Marina Valcarenghi “L’aggressività femminile”). Ma quali esperienze hanno di psiche femminile e mondo emozionale femminile questi aitanti venditori di difesa personale? Nessuna.

2. Senza bisogno di citare i contradditori studi di Willard Van Orman Quine sul relativismo culturale, basterebbe affidarsi alle certezze dell’antropologia culturale per smentirli o, più banalmente, portarli a vedere il nostro Alberto Sordi in “Un americano a Roma”!! Sai che figure barbine…

 

 



 

domenica 9 giugno 2024

I colori del Ribelle

Delle Arti Marziali asiatiche noi europei abbiamo importato anche la tenuta di allenamento, secondo le varie fogge giapponesi, cinesi, vietnamite ecc.

A volte, abbiamo creato varianti o inventato cose del tutto nuove.

Come ci si veste praticando

un’arte marziale asiatica?

Fogge e colori hanno sempre un riscontro nelle abitudini culturali e sociali da cui sono nate. Il nero, colore che nasconde le macchie di sporco, richiama gli abiti da lavoro e sta ad indicare che i primi praticanti di Wu Shu (da noi diffuso come Kung Fu) furono proprio i lavoratori dei campi, ma, nel Ninjutsu (1), serviva ad occultare l’adepto nel buio della notte. Il Karategi, la “divisa” tipica del Karate (2), in origine era di un color bianco opaco, bianco “sporco”, perché fatta in cotone non trattato; solo successivamente, con la sua diffusione in tutto il mondo e la conseguente creazione di fabbriche industriali di karategi, è divenuto bianco. Il judogi, la “divisa” tipica del Judo (3), è divenuta blu nelle competizioni sportive per meglio differenziare un atleta dall’altro. Chi pratica una qualche Koryu (4), scuola di arti marziali tradizionali giapponesi, lo fa indossando l’hakama, una specie di gonna - pantalone che era parte dell’abbigliamento abituale dei samurai, anche se “la sua origine risale almeno alla metà dell’ottavo secolo, ben prima che i samurai emergessero distintamente come casta” (http://www.aikidoiaido.it/joomla/articoli/12-hakama#:~:text=Una%20delle%20spiegazioni%20del%20suo,un%20tipo%20di%20gonna%20%E2%80%93%20grembiule.)

Nello Yoseikan Budo, la disciplina creata dal Maestro Hiroo Mochizuki negli anni ’70, “l’abbigliamento comprende una giacca di colore blu e dei pantaloni bianchi simboleggianti lo Yang e lo Yin. Queste due parole esprimono il principio attivo (Yang), maschile, del calore e dell’estate, e il principio passivo (Yin), femminile, del freddo e dell’inverno” (https://www.yoseikan.it/).

Il passaggio dal Karate giapponese privo di contatto al Contact, una sorta di Karate dinamico, altamente sportivizzato e a contatto, precursore di quella che divenne Kick Boxing, ha portato a Karategi variopinti, con i colori della bandiera USA, con logo e insegne di sponsor commerciali.

Insomma, vale davvero tutto!!

Foggia e colori della “divisa” Spirito Ribelle

Data la particolarità, di fatto l’unicità, del nostro gruppo, in termini di cultura del gruppo stesso; didattica ed andragogia dell’apprendimento; contenuti dell’apprendimento stesso, ci siamo posizionati con una “divisa” che, nel mentre permettesse una pratica comoda nella gestualità e resistente a sfregamenti e strappi, richiamasse nei colori qualcosa del tradizionale mondo medioevale nipponico.

Sul versante “cosa indossiamo”, richiamiamo i primi e antichi combattenti asiatici che praticavano così come abitualmente vestivano. Infatti. abbiamo scelto semplici pantaloni e semplice maglia. Per altro, così praticava il Maestro Kenichi Sawai, fondatore del Taiki Ken, spesso ripreso addirittura in maniche di camicia. Se la pratica è metafora e metonimia del vivere quotidiano, è formazione alle relazioni diversamente conflittuali in cui tutti noi siamo immersi in quanto nessun uomo è MAI una monade, non c’è niente di meglio che farlo vestiti come d’abitudine. Per i praticanti “tradizionali” che siano anche patiti della difesa personale da strada, dubito fortemente che le vostre abilità combattenti saranno mai messe alla prova dandovi il tempo di indossare un keikogi, con obi (cintura) ben stretta in vita e piedi rigorosamente scalzi!!

Sul versante “che colori adottiamo”, ecco la scelta che richiama la Tradizione medioevale nipponica.

Colori brillanti (aka), tra questi c’è il rosso. Dai rie è rosso scuro, indica grande rettitudine. All’interno di oka, il rosso, che è potere, significa: Grande rettitudine dentro alla padronanza del potere. Indossiamo pantaloni rosso scuro.

Colori freddi (ao), tra questi c’è il grigio. Tradizionalmente il grigio è considerato sfondo incolore in rapporto al quale risaltano i colori. Nel periodo Edo (1603 - 1868) (5), l’intera gamma dei grigi era considerata colore raffinato (iiki). Indossiamo una maglia grigio scuro.

Siamo artisti raffinati, dotati di potere temperato da rettitudine.

Due righe a parte per la pratica Kenshindo, la pratica con il katana dei samurai. In essa pratichiamo alla foggia tradizionale giapponese: Giacca, pantaloni o hakama e cintura. Giacca blu, pantaloni neri, hakama di qualsiasi colore, purché in tinta unita. Il perché dell’accostamento blu e nero è storia lontana. La racconterò in una prossima occasione.

Ah, nel più completo Spirito Ribelle, spirito di libertà, io non vendo l’abbigliamento agli allievi: Sono il Sensei non un commerciante!! Anche perché, nel mio solito modo formativo maieutico, che imparino loro a crescere, dandosi da fare per abbigliarsi a dovere quando e se si sentiranno pronti per essere davvero parte del clan.

 

1. “I praticanti esperti che padroneggiavano completamente il ninjutsu sono definiti ninja. Le origini di quest’arte marziale sono ancora avvolte nel mistero, così come quelle della rappresentazione del ninja come guerriero vestito di nero” (https://www.italiajapan.net/ninjutsu/)

2. Arte marziale di origini okinawensi, conosciuta nel mondo nelle sue codificazioni giapponesi. Per saperne di più, restano sempre validi i pur datati (1979) “Lo Zen e la via del Karate” di Kenji Tokitsu, esperto di Arti Marziali, creatore di una sua propria arte e ricercatore di valore assoluto e “The way of karate” (1963) di George E. Mattson, pioniere del Karate Uechi-Ryū in USA e scrittore.

3. Il Judo, arte principalmente affidata alle proiezioni al suolo ed alla lotta a terra, deve la sua origine al Maestro fondatore Jigoro Kano (1860 – 1938). Per saperne di più sulle origini, “Judo” di Bindo A. Serani, la cui prima edizione è datata 1953 ed “I Quaderni del Bu Sen” ad opera del Maestro ed educatore Cesare Barioli, uno degli ultimi strenui difensori del Judo Tradizionale contro i sostenitori del Judo ridotto a sport e competizione.

4. “In Giappone sono considerate Koryu le scuole (non solo Marziali) che sono state fondate prima della restaurazione Meiji (quindi prima del 1862), in contrapposizione ai Gendai Budo (Budo Moderni) fondati dopo questa data” (https://www.doushindojo.it/2018/01/06/koryu-gendai-budo-e-false-tradizioni/)

5. Altrimenti detto epoca Tokugawa,1600 – 1868. (https://www.nihonjapangiappone.com/pages/geostoria/storia/sttokugawa.php)

 



Per saperne di più sui colori nella tradizione giapponese:

“I colori nel Giappone antico” G. Pasqualotto

(https://riviste.unimi.it/index.php/MdE/article/download/20674/18339)

“I colori giapponesi” F. Chiagano

(https://www.vadoingiappone.it/informazioni-cultura-giapponese/i-colori-giapponesi/)