mercoledì 23 giugno 2021

Quando non è la fine

 Restare vicini anche quando il vento soffia contrario, quando i muri si alzano e le strade vengono inghiottite dal nulla.

Quando ti pare di non credere più a niente, ma una parte di te giura che esiste il luogo che parla di te, che di te vive.

Il dubbio di non saperti cercare o la forza di rassegnarmi a cadere mentre quel luogo che parla di te, che di te vive, ti fotte e si nasconde. Non si fa trovare.

E sono i cinque sensi in azione, e sei autenticamente tu in azione.

E mi chiedo “Cosa sto facendo in questo modo alla mia vita di oggi?

Domanda strana eppure imprescindibile in una pratica marziale, in un percorso autenticamente guerriero.

L’ultimo Seminario Kenshindo, “La Via dello Spirito delle Spada” e, nei giorni dopo, l’ultima serata del corso Arti Marziali.

Tra propriocezione studiata sul filo del katana o dentro strette di mano, tra sensibilità animalesca sperimentata nei Push Hands o danzando Shili.

Imparare la bellezza anche se hai paura a cercarla, respirare profondamente e non c’è un motivo, abbracciare vigorosamente anche senza un perché.

Qui sulle mie spalle, sul mio volto, mi sento toccare.

In fin dei conti, ogni pratica di crescita, ogni percorso di individuazione, ogni disciplina esoterica, anche nei gesti, tocca il cuore: nello yoga, le mani giunte alla fronte, ci si inchina a simboleggiare l’inchinarsi della mente al cuore, e per alcune correnti, già “Namaste” vede le mani al cuore; nelle varie Arti del Wushu / Kung Fu cinese, il pugno destro chiuso avvolto totalmente dalla mano sinistra, sta a simboleggiare l’unione dello Yin e dello Yang, mentre il corpo si flette leggermente in avanti; nelle Arti giapponesi, in “seiza” (in ginocchio) si porta la fronte a sfiorare il pavimento, inchino che si chiude sotto il livello del cuore.

Perché nel binomio cuore e ventre abita l’Es, energia che ci connette con l’ambiente, con il tutto.

Certi dolori, certe ferite, certi malesseri hanno bisogno di carezze robuste per essere compresi.

E’ il regalo d’un pugno di amici, quelli che ormi da anni, da decenni, riscaldano le mie ore di pratica. Ognuno regalo all’altro.

La serata calda, afosa, si conclude a cena, tavola imbandita e vino rosso a scorrere.

Mi viene spontaneo chiedere, vista la loro partecipazione, il loro entusiasmo, il loro evidente crescere negli anni uomini e donne adulti, autonomi, autodiretti, se ne parlino ad altri, se ad altri prospettino l’intensità forte e la bellezza di questo nostro cammino tra pratiche marziali e Movimento Intuitivo.

E sì, lo fanno, ma le loro parole, i loro esempi cadono nel vuoto. Il vuoto fatto di quell’impasto di pigrizia e paura, di superficialità e conformismo che regge il vivere di oggidì, che imperversa annichilendo e piegando cuore e pancia di tanti, troppi.

Li ricordo i volti e gli odori e gli sguardi e i gesti di chi ci è passato attraverso, per mesi o anni, calcando pavimenti e distese erbose, serate milanesi e notti stellate in montagna, a fare domande per fuggirne le risposte, a piangere sulle prime delusioni incolpandone il padre o la madre o il destino bizzarro, a incontrare dolori che dimenticava trangugiando lo scorrere dei giorni, che si sono arresi senza lottare, che si sono assopiti a consumare.

Ne ho incontrati e ne incontro anche io tutt’ora, quelli che vivono di nostalgia o di sogni che non vogliono davvero realizzare, quelli che si proteggono esibendosi o, al contrario, mimetizzandosi, quelli che pretendono di decidere i sentimenti degli altri nel mentre che si negano o vergognano dei propri.

Vitalità ed erotismo, soddisfazione, eccitazione e crescita, “Conosci te stesso”, qualcosa che ognuno di noi può costruire, ha diritto ad ambire. Per tutte e tutti, ma scelto da pochi.

 

 

 

 







martedì 15 giugno 2021

Tu sai chi sei

Il primo incontro con la tua compagna o compagno? Cosa ti ricordi?

Il più recente incontro con una persona a te cara? Cosa ti ricordi?

Di solito, i tuoi ricordi si affacciano sotto forma di “cose viste”, ti ricordi quel che vedesti: immagini, colori.

Eppure tu sei cinque sensi: vista, certo, ma anche udito, tatto, olfatto, gusto.

Quali di questi sensi e in che proporzione è presente nei tuoi ricordi?

Certo, siamo immersi in una società di immagini, che privilegia il senso “vista”, ma, il resto di te?

Come vivi, vivi autenticamente, se non sei presente in tutti i cinque sensi?

Certo, ognuno di noi, per copione educativo, per esperienze fatte, privilegia alcuni sensi rispetto ad altri, ma come vivi se sei privo, in parte o… in tutto (!!), di alcuni dei tuoi sensi?

Domenica scorsa, “a spasso” per Milano con Monica, mi chiede conto di un atteggiamento che le pare diverso.

E’ vero, è che sento distintamente l’aria calda e pesante della città sulla pelle, sento l’odore del cemento che, intriso dell’afa, mi buca le narici, mi arriva ovattato il suono metallico di una città che lentamente riprende il suo tran tran.

Un miscuglio di sensazioni che spontaneamente e semplicemente mi entrano dentro, mi formano e a cui rispondo con la mia personale sensibilità.

Ridendo, le parlo del ricordo del nostro primo incontro …. ravvicinato …

Ecco, con le immagini ancora nitide, nette, a distanza di oltre vent’anni, mi arrivano sussulti e bisbigli del suo tono di voce, sì, certo, le parole, ma con loro il tono della voce, la melodia delle vocali costruita intorno a consonanti, l’odore della sua pelle, il gusto delle sue labbra.

Ero ancora inconsapevole della strada che avrei preso, della mia ricerca, anche se già vent’anni or sono qualcosa mi spingeva a vivere, a tentare di vivere, tutto di me.

Ora sono molto più avanti, molto più addentro di me, di quel e come sono: essere incarnato.

Per questo mi chiedo il senso di tutte queste terapie logocentriche (1): il cliente parla, il terapeuta ascolta e stimola con altre parole ...sì ma l’essere corpo tutto dov’è? Dove sta? Quanto e come agisce, si muove, si mischia con l’ambiente?

Ci credo che queste terapie durino anni e i risultati siano labili, incerti, contraddittori.

Già Il terapeuta non è lì con tutto stesso, gli manca la presenza corporea, gli manca l’agire dei cinque sensi. Come potrà mai entrare in contatto totale con un cliente che vede come solo verbo? Che non viene contattato nei cinque sensi? Col quale si accontenta di condividere generiche emozioni “parlate?

E che dire di quelle terapie che si presentano “corporee” ma mostrano di corpo senza incarnarsi corpo? (2)

Proprio in questa società che del corpo fa un oggetto, uno strumento estraneo al sé, quanto di corpo ci sarebbe bisogno!! Di corpo che odora, gusta, tocca!!

Nella teoria della Gestalt (3), è fondamentale sentire la connessione con l’ambiente attorno a noi, come parte attiva del tutto. Ma se lavori col cliente senza che questi incontri la sua connessione interiore, come contatti l’ambiente? Dove pretendi di arrivare senza la presenza agente dei sensi tutti?

Come fai a praticare Chi Kung o Arti Marziali, a praticare esercizi di energia e consapevolezza, a scontrarti di corpo, di fisicoemotivo, senza questa connessione? Senza i cinque sensi? Senza così la possibilità di scoprire il sesto senso (4), il campo dell’intuizione?

Di più e oltre ogni percorso terapeutico: Se ami, lavori, vivi senza la presenza dei cinque sensi…. Tu sai, sai veramente, chi sei?

 

PS) Hai voglia di provare? Di provare a ricordare un importante avvenimento, incontro, del tuo passato? Cosa e come lo ricordi? Con quali sensi?

Ed ora, mentre mi stai leggendo, sei presente in tutti tuoi sensi o ti devi sforzare di sentire cosa e come stai contattando sulla tua pelle, che gusto abita la tua bocca?

 

Post illustrato con opere di Juarez Machado

 

1. In filosofia e nelle teorie della ricezione e della letteratura con logocentrismo si intende la centralità del logos (“parola”) come fondamento di un discorso e di un testo che vogliano considerarsi significanti e/o sensati.

Eppure ogni significato non è affatto “fonico” e il suono, in quanto elemento materiale, non appartiene alla lingua. Sempre di corpo in azione si tratta. Ma a considerarlo così … pare si faccia troppa fatica, per costoro!!

 

2. Sul mio blog, trovate riportate le mie deludenti esperienze con Bioenergetica e Mindfulness, con alcune correnti di Chi Kung. Forse ho incontrato, nonostante il nome altisonante e i pomposi certificati, docenti di scarsa qualità. Beh, anni ed anni addietro, in una Scuola di formazione per psicoterapeuti e counselor, mi imbattei in un docente che proponeva meditazioni di Osho leggendo su un foglietto i passaggi essenziali e che faticava a reggere uno sguardo negli occhi, in una docente che proponeva giochi di corpo vergognandosi di mostrare il suo. Negli stage di Chi Kung e Tai Chi Chuan mi sono imbattuto in un docente che si muoveva con la rigidità e la meccanica di un karateka, poi con una docente tutta parole sull’Energia cosmica e il Chi, che proponeva esercizi corporei ma lei non era in grado di stare in equilibrio su una gamba o di coordinare integralmente i movimenti delle braccia e questo non le interessava, lei era connessa con l’energia dell’Universo!! Sarà per questo che ora centellino e seleziono accuratamente cosa e con chi imparare!!

 

3. “Contrapponendo l’Io, il Sé e l’Es: L’Io deliberato possiede la stretta unità astratta di mirare ad una meta ed escludere le distrazioni; la spontaneità (il Sé) possiede l’unità flessibile concreta della crescita, dell’impegno e dell’accettazione delle distrazioni come possibile attrazioni; e il rilassamento (l’Es) è la disintegrazione, unificato solo dall’incombente senso del corpo.” (F. Perls)

Mentre l’Io è la funzione mentale di astrazione e volontà, l’Es al suo opposto ha il corpo come ruolo centrale. Il Sé è il punto centrale, equidistante ed integratore di questi due estremi. Infine la personalità in quanto struttura del Sé è il sistema degli atteggiamenti assunti nei rapporti interpersonali. (http://www.attualitainpsicologia.it/numeri-precedenti/13-attualit%C3%A0-in-psicologia-anno-2015,-numero-1-2/11-perls-e-il-s%C3%A9-nella-gestalt-di-sandro-papale.html)

 

4. “… di seguito il sesto senso (proprio – cezione) che ci rende consapevoli del nostro stato interno, i recettori muscoloscheletrici, viscerali, emotivi, che ci servono come “sorgente profonda di intuizione e plasmano il nostro stato emotivo” (Psicoterapie della Gestalt: Come la sensibilità percettiva modula il setting terapeutico  di S. Rossi)

 





 

 

mercoledì 2 giugno 2021

“Solo chi è autosufficiente può stare solo, la maggior parte delle persone segue la folla e procede per imitazioni.” (B. Lee)

Sabato sera, con Monica, al cinema Anteo per vedere “The Father” di Florian Zeller.

Non sono un critico cinematografico ma, dopo averlo visto, mi risulta ancor più radicata la convinzione che gli Oscar, come i premi in tutte le competizioni “artistiche”, siano distribuiti in ragione di potentati, favori dati e ricevuti, clima politico e culturale da ossequiare, e lo stesso dicasi per i pareri della critica.

The Father è una pellicola ben più avvincente del pur interessante Nomadland e di gran lunga superiore al mediocre e sciatto Minari.

Però siamo in tempi di anti Trump, di integrazione a tutti i costi, di politically correct sparso a piene mani, di sostegno a tutte le minoranze, purché accreditate dalla sinistra radical chic.

Come non ricordare la vittoria di un lindo e perbene “Green Book” alla faccia dello spigoloso e ombroso “BlacKkKlansman” di un altrettanto irriducibile Spike Lee?

Tant’è, nulla di nuovo in una società capitalista che, al pari delle vecchie dittature socialiste, premia quel che fa più comodo e meno “rompe”, e, a ovvia differenza delle seconde, anche premia quel che vende di più e più fa consumare.

La strada per aggiungere l’Anteo, strada di movida giovanilista, è l’occasione per immergermi in una folla di ragazzotte succinte, del genere stivaloni neri e abitini attillati e “raso topa”, (come si diceva una volta ed ora, immagino, guai ad usare una simile espressione sessista!!), e ragazzotti in jeans e maglietta o camicia.

Difficile distinguere una ragazza dall’altra, un ragazzo dall’altro.

Difficile non notare lo sfarzo di logo, di marchi a…marchiare scarpe o abiti e chi li indossa.

Certo, quelli incontrati sulla strada dell’andata e del ritorno saranno solo una fetta della popolazione giovanile delle grandi città, ma non posso esimermi dal riflettere su quanta pochezza e conformismo mi abbiano trasmesso.

Certo, non è che ai tempi della mia adolescenza e gioventù le cose fossero molto diverse. Nella massa erano, eravamo, in pochi a portare capi d’abbigliamento “fuori ordinanza”, fuori dal coro.

Una nota diversa però c’era: l’assenza di frenetico bisogno di sfoggiare il marchio, il capo di nome, il lusso.

Conformisti sì, ma senza ostentazione di sfarzo tanto presunto quanto pacchiano.

O forse è che la moda, e con lei la pubblicità, non era ancora quel potente servo del consumismo.

La pubblicità, ormai, non ti spiega il prodotto, ma ti spinge a comprarlo, utilizzando l’arma delle emozioni.

La moda ti dice cosa non è più alla moda, cosa non è più socialmente apprezzabile, e ti induce a buttare via il vecchio per nuovi acquisti che ti facciano sentire integrato quanto appariscente.

Allora, pur distante mille miglia dalla figura e, sovente, dal pensiero di Michele Serra, di cui ricordo ancora la sparizione dopo l’ingloriosa fine della “gioiosa macchina da guerra” occhettiana di cui era sostenitore, ne accludo qui sotto un brillante pensiero che, pur già datato, è, ahimè, sempre attuale:

 

Nessuna persona davvero di valore dedica particolare attenzione al proprio abbigliamento.

Lo scrive Mina sulla Stampa, in un bell' articolo contro la moda e i modaioli, e può permetterselo, essendo una delle poche vere dive italiane di sempre.

Sottoscrivo: la regola enunciata da Mina, come tutte le regole, ha qualche (rara) eccezione, ma non è difficile verificarla.

L' ossessione italiana per l'abito e per il look ha coinciso con uno dei periodi meno felici e fervidi della nostra storia, come se ci fosse un nesso preciso tra il deperire della sostanza e il trionfo del formalismo. Basta girare per l’Europa, in città spesso più pulite, più ordinate e più progredite delle nostre, per accorgersi che la gente, in media, è vestita in maniera molto più informale, quasi trasandata.

Da noi, al contrario, non è rara la figura antropologica del villanzone elegantissimo, o della povera di spirito agghindatissima, e ci sono scorci di gruppo (certi pubblici negli studi televisivi, certi strusci per lo shopping del sabato) all' insegna di un travestitismo collettivo che non ha eguali al mondo, ipertruccato e pacchiano.

Quanto alle persone davvero di valore che se ne fregano dell'abito, ognuno di noi ne conosce o ne ha conosciute parecchie: molto semplicemente, non ne hanno bisogno, bastano la faccia, le parole e l'atteggiamento verso gli altri a documentarne ampiamente lo stile.

(M. Serra “L’Amaca” sul quotidiano La Repubblica)