Va bene, candidature e vincitori di ogni gara, sia canora che teatrale, cinematografica ecc. sappiamo bene essere sottoposti a selezione in cui pesano giochi di potere, scambi di favore, ripicche, gelosie e quant’altro delle relazioni e delle miserie umane.
Ma
“La
persona peggiore del mondo”,
pellicola norvegese
del regista Joachim Trier mi risulta inspiegabile come possa essere stata selezionata
per un Oscar: noiosa, prevedibile, macchinosa nelle conversazioni.
Una protagonista, trentenne ed oltre, che non sa nulla di
sé né di quel e come vivere diventa un’eroina dei nostri tempi? Consumarsi e
consumare relazioni, proiettare sugli altri le proprie insicurezze per non fare
i conti con la propria Ombra, è uno stile di vita auspicabile?
Probabilmente è uno stile di vita, è lo stile di vita che
va prendendo piede. Lo stile di una società che più che liquida è ormai
liquefatta, del delirio dei bagni “no gender” (https://luce.lanazione.it/basta-alla-distinzione-maschi-femmine-a-piacenza-gli-studenti-danno-vita-ai-bagni-gender-neutral/),
del consumo senza uso, del sesso on line che rischiare di corpo richiede troppo
coraggio, delle amicizie virtuali, del metaverso, ecc.
Questi autorevoli critici
sfornano uno sfrenato elogio di Peter Pan, dimenticandosi che Peter porterà via
la figlia di Wendy, perché vuole sostituire Wendy con la figlia Jane per condurla
con sé sull'isola e per avere qualcuno che si occupi di lui; che Peter vive una
vita dionisiaca con l'esclusivo desiderio di fuggire dalla realtà.
Eppure, nel film, le scene
conclusive mostrano la protagonista davanti allo schermo di un computer
sbirciare una vita altrui, questo mentre un suo ex incontra la morte ed un
altro ex la vita di un figlio. Mentre gli altri camminano nella vita, si
sporcano le mani nella vita, in tutti i suoi aspetti e contraddizioni, gioie e
dolori, lei sta al computer, sbircia le vite altrui.
E questa sarebbe “solo una ‘persona libera di sesso
femminile’, come direbbe Liliana Cavani, alle prese con la propria educazione
sentimentale, che è anche un'educazione alla vita”??? (Paola Casella)
Umberto Galimberti ricordava in
più occasioni che il cammino dell’uomo è fatto di cadute, ripensamenti, errori,
dunque lungi da me cercare un’eroina a tutto tondo. Ma da qui ad ammirare una
trentenne che vive in superficie fuggendo ogni situazione conflittuale per
restare nel proprio limbo narcisistico, che scarica sempre e comunque fuori di
sé ogni assunzione di responsabilità, no.
Pellicola non certo avvincente,
appiattita sui contorni di una figura femminile superficiale ed egoista, dai
dialoghi privi di pathos che oscillano tra la dotta tavola rotonda di esperti e
lo scambio di un mediocre talk show, è da vedere, forse!!, solo per dare uno
sguardo anche “cinematografico” alla mediocrità e al narcisismo imperante, per
altro così massaggiato dai critici nostrani.
Non tutti, per fortuna, qualche intelligenza pensante,
critica, c’è e scrive “Se per tutto il film si ha la sensazione di assistere
allo sfoggio di un manifesto generazionale che procede per slogan, col senno di
poi viene da chiedersi, quasi con un moto di speranza, se l’intento di Trier
non fosse quello di ritrarre con un misto di sarcasmo ed ironia una generazione
di capricciosi e narcisisti mettendone in luce contraddizioni e idiosincrasie”
(Chiara Zuccari in https://www.sentieriselvaggi.it/la-persona-peggiore-del-mondo-di-joachim-trier/)
Interessante, per me, la
gestualità e il portamento degli attori in scena: rigidi e freddi anche nei
momenti più caldi, più intensi. Sarà la cultura nordica, sarà che volutamente
abitano un vivere dove non crescono le emozioni, le tinte forti, ma tante,
tante, tante parole; parole utili a nascondersi, a non confliggere.