“ I tatuaggi bisogna
‘soffrirli’. Dopo aver vissuto qualcosa di particolare,
lo si racconta tramite il
tatuaggio come in una specie di diario”
(N.
Lilin)
Io non ho tatuaggi. O, almeno, non ho tatuaggi
volontariamente incisi da una mano estranea.
Sul corpo, ho segni (simboli), incisi dalle cose, dagli
eventi.
Un cicatrice sulla
testa, caduto dalle scale quando, bambino, mi atteggiavo a David Crockett
e una sotto l’arcata sopraccigliare, colpito quando credevo che noi sessantottini
avremmo cambiato il mondo.
Ma i segni che più sento miei sono quelli degli eventi
che il corpo ha somatizzato: Escrescenze
sotto pelle a ricordare.
La prima quando, ventenne, sboccando sangue, entrai in
ospedale per poi trattenermi in un sanatorio.
Una, da poco superati i quarantacinque anni, quando
l’Amore (con la A maiuscola) mi cacciò dal campo che pure insieme avevamo
costruito e condiviso e progettato per il nostro futuro insieme.
Una, quando i primi referti medici tratteggiavano i
contorni di un male assassino e fu solo a dipinto terminato che le fosche tinte
mutarono in colori pastello.
Una, quando la morte di mio padre Renzo venne annunciata
come ormai alle porte.
E la vita è tutto un mutare, panta rei, ma che fatica capirlo ed accettarlo davvero con tutto me
stesso; e che riconoscere, scriveva Thomas
Elliot (poeta e saggista), è esplorare dal punto da cui siamo partiti per
tornarci e trovarlo diverso.
Allora, in questi che per me sono giorni sbagliati ed io
stesso sono sbagliato a rantolare e dibattermi su una strada sbagliata, faccio
fatica a comprendere, a stare in un tempo che, nell’attesa, sembra non passare,
ma passa. E fa male.
L’equilibrio, pur incerto, è stare lontani dal buio e dal
non - riconoscimento che porta al mal di vivere, che io abitai in alcuni anni
della mia tormentata e turbolenta adolescenza, e dall’ottimismo fissato e per
sempre, da una sorta di delirio di onnipotenza, che io cavalcai fiero e tronfio
di me quando ripetevo “Io non vado in
ferie, la mia vita, io, sono sempre in ferie” prima di quel doloroso
cartellino rosso e di un incontro terapeutico fortemente destabilizzante con il
dr. Michele Mozzicato, medico, psichiatra e psicoterapeuta.
A volte mi chiedo se questa fatica di stare nel mezzo,
Tao indefinito e incerto, sia meglio o peggio dei due estremi.
Intanto, in questi che per me sono giorni sbagliati ed io
stesso sono sbagliato a rantolare e dibattermi su una strada sbagliata, a
masticare malamente un inconscio che è un estraneo, (ma per me, non tanto
estraneo) che mi abita; a cozzare la mia ragione contro quella che difende ed
addirittura protegge il ladro a cui mi si dice nessuno, tanto meno il derubato,
può chiedere di assumersi responsabilità ed eventuali conseguenze del suo
entrare furtivo, del suo rubare, del suo essere privo, per scelta o per
incapacità, di un habitat suo in cui costruire cose ed amore ed è dunque lecito
dai!!, che rubi qui e là pezzi di cose e di vita di altri.
“Nei tempi antichi, barbari
e feroci,
i ladri s'appendevano alle
croci:
ma nei presenti tempi più
leggiadri,
s'appendono le croci in
petto ai ladri.”
(G.
Mazzini)
“Dichiarandoci anarchici
proclamiamo innanzitutto di rinunciare a trattare gli altri come non vorremmo
essere trattati noi da loro; di non tollerare più la disuguaglianza che
permetterebbe ad alcuni di esercitare la propria forza, astuzia o abilità in
maniera odiosa.”
(Pëtr
Alekseevič Kropotkin)
Intanto, appunto, il mio personale confliggere è stare lì
con ciò che è anche incomprensibile, aprirmi alla presenza dell’altro che mi
permette di capire di me. E accingermi a cambiare, se ne sarò capace ma voglio
e devo esserne capace se non voglio annegare, se voglio ancora abitare questo
habitat condiviso anche se privato di alcuni mobili che mi erano cari.
La domanda è: dove si poserà questo nuovo “tatuaggio”
somatico ? Su questo “pene che non ha più
nessuna fantasia” (https://www.youtube.com/watch?v=lQLAlIlJeKQ) o sulla
mano vecchia da vecchio a segnalarmi le trombe sempre più prossime dei
settant’anni?
Non è una risposta che io non ne ho, ma forse comprendo
che l’Amore, (quello con la A maiuscola), non è giudicante, spesso è esigente e
mette a nudo; che l’Amore, (quello con la A maiuscola), è permettersi di
mostrare la propria fragilità, le proprie parti Ombra, senza che l’altro ne
approfitti. E che l’Amore ( quello con la A maiuscola), è l’altra faccia del
Conflitto, perché, puntino nero in quella parte bianca, il riconoscimento, declinato in tutte le sue versioni e senza il quale
non c’è Amore, è nel conflitto. Nel
conflitto, nello stare nel conflitto, i doppi impresentabili di noi possono
essere presentati e, forse, riconosciuti. Così prendendo le distanze dalla
confessione che invece divide bene e male.
Eros e Thanatos, "pulsione di vita"
e "pulsione di morte", non c’è vita senza morte. Nello sciamanesimo è
la compresenza nell’individuo e nelle cose del “vivente” e del “morente”, nel Taoismo,
l’ho già scritto, è data dall’unione sempre mobile di Yin e Yang, nelle
raffigurazioni simbolo-immaginali è rappresentata dagli Amanti Divini ed
alchemicamente indicata dal Matrimonio Mistico.
Un vivere, ci ricorda Wilhelm Reich (medico, psichiatra e
psicoanalista) in cui la vita è sempre e contemporaneamente, coesistenza di
contrazione ed espansione.
“La morte è l’aroma
dell’esistenza. Essa sola dà sapore agli istanti, essa sola ne combatte
l’insulsaggine. Le dobbiamo all’incirca tutto” scriveva Emil Cioran, filosofo del ‘900.
A me, a tutti noi credo, e soprattutto quando arrivano i giorni
sbagliati e noi stessi siamo sbagliati a rantolare e dibatterci su una strada
sbagliata, tocca impegnarsi in questa danza antica liberando le nostre
potenzialità disoccupate, apprezzando dell’attendere, ancorché questi sia e dia
sofferenza, la sua prossimità semantica all’attenzione.
war in my mind…. black
in my soul…..