lunedì 25 luglio 2022

Sempre più muscolosi

E dai di preparazione fisica!! Fatti i muscoli, fatti il fiato: Sbaglio o è questo l’imperativo dominante nel fitness come nella pratica sportiva e pure spesso in chi pratica Arti Marziali?

Eh già, i muscoli, quelli sì che sono importanti, addirittura fondamentali. O no?!

Eppure è il sistema scheletrico ad essere la nostra basilare struttura di sostegno. Esso è fatto di ossa e articolazioni. Le prime reggono il peso in rapporto alla forza di gravità, operano come impianto di leve per i nostri movimenti, e ne regolano la forma. Il nostro ambito d’azione è subordinato allo spazio interno alle articolazioni e alla combinazione di movimenti compiuti intorno ai loro assi.

Il sistema scheletrico dona al nostro corpo 

una sua forma fondamentale.

Grazie ad essa operiamo sull’ambiente dislocandoci nello spazio, disegnandolo e ridefinendolo e producendo tante nuove e varie forme quanti sono i movimenti a nostra disposizione. E’ attraverso la consapevolezza corporea e incarnata dei processi cognitivi e mentali del sistema scheletrico (1) che viene alla luce la qualità strutturale della mente e come il pensiero stesso trovi base su sistemi di leva, punti di fulcro e spazi che permettono la capacità di formulare le idee e comprenderne meglio le relazioni. Proprietà quali la chiarezza, l’assenza di sforzo e il senso della forma sono esperienze fisicoemotive connesse al sistema scheletrico.

E ti pare poco? Eppure, quanti praticanti dedicano tempo ed energia a migliorare quest’aspetto? Quanti hanno il sé scheletro come fulcro del loro muoversi ed agire?

Temo che questi praticanti, come i loro maestri ed istruttori, nemmeno sappiano come fare!! Ovvero non sappiano esplorare quelle caratteristiche funzionali del sistema scheletrico che consentono movimenti eseguiti con il minimo sforzo; non sappiano capire le relazioni tra ossa e articolazioni e la loro integrazione nel corpo; non sappiano intervenire sui modelli di allineamento e di movimenti inefficaci per trasformarli in vettori di potenza e precisione. Altrimenti tra proposte di schede di allenamento ai pesi e video in cui si mostrano in trazioni alla sbarra o in piegamenti sulle braccia (piegamenti, non flessioni, si chiamano “piegamenti”, azz) due parole o due gesti li spenderebbero sul come lavorare di scheletro.

Davvero credono che a puntare tutto o quasi sui piegamenti sulle braccia, i crunch, le trazioni alla sbarra, si raggiunga il massimo possibile di efficacia ed efficienza? Non sanno che trascurare scheletro ed articolazioni, come pure sistema endocrino e tessuto miofasciale, mina la salute fisicoemotiva e anche la performance stessa?

Riuscite ad immaginare il motore di un Ducati 750 sul telaio di un Garelli 5o cc, i freni di una bicicletta Graziella, la marmitta di un Ciao, i copertoni di una fat bike, ecc. per non parlare del pilota…

 

 1. Un processo comunemente chiamato embodiment: http://www.spazioformamentis.it/embodiment/

 



 

giovedì 21 luglio 2022

Quanta finzione nelle Arti Marziali

Certo, alcune dimostrazioni ed esibizioni non sono così, ma tante, troppe lo sono perché io non scriva che:

Non ne posso più delle solite dimostrazioni ed esibizioni dove il mega maestro o l’istruttore palestrato malmenano un povero allievo succube e passivo che porta loro un attacco prestabilito, concordato.

Non ne posso più delle solite dimostrazioni ed esibizioni dove il mega maestro o l’istruttore palestrato, appena l’allievo accenna il movimento concordato addirittura già agiscono per neutralizzarlo.

Non ne posso più delle solite dimostrazioni ed esibizioni dove il mega maestro o l’istruttore palestrato mettono in leva, proiettano al suolo o lanciano a metri di distanza l’allievo consenziente ed inerte, che sia quello rigido come un ramo secco, quello molliccio come un cuscino sgonfio, quello dal braccio lasciato penzoloni al fianco invece di usarlo per piantare uno sganassone sul volto di chi lo sta manipolando come fosse pasta per la pizza.

A cosa servono?

Possibile che il mega maestro o l’istruttore palestrato non siano in grado, pur nella finzione di un attacco concordato, di parare e contrattaccare solo nel momento in cui l’attacco entra nella loro sfera “intima”, quella zona “rossa”, zona bollente, che sta sul confine della loro “guardia”?

Possibile che chi guarda ammirato non si renda conto della gracilità di quelle difese fasulle? Che basterebbe fintare un diretto e all’ultimo portare un gancio e il mega maestro o l’istruttore palestrato verrebbero centrati in pieno?

Ma questo mega maestro o l’istruttore palestrato, se vogliono davvero mostrare come difendersi, che so, da un diretto e pure concordato, non sono in grado di farlo solo e quando il pugno entra davvero nella loro zona “rossa”?

Ma questo mega maestro o l’istruttore palestrato, loro in primis, si sono mai formati a difendersi realmente, ossia solo e quando il pugno entra davvero nella loro zona “rossa”?

Eppure le Arti Marziali pullulano di esercizi, di giochi, atti a difendersi quando l’attacco è alle soglie della propria guardia così da non cadere nelle “finte” dell’avversario, altri ad anticiparlo appena questi mostri l’intenzione dell’attacco, altri ancora ad indurlo ad attaccare dove si vuole. (1)

Certo, formarsi a queste diverse strategie di difesa comporta sbagliare e sbagliare ancora, comporta prendere colpi su colpi: il mega maestro o l’istruttore palestrato sono stati a loro volta formati in questo modo? L’allievo che guarda estasiato e vuole diventare forte e invincibile come il mega maestro o l’istruttore palestrato è disponibile a sbagliare e sbagliare ancora, a prendere colpi su colpi per imparare?

Queste dimostrazioni ed esibizioni così costruite, hanno avuto il pregio di avvicinare alle Arti Marziali migliaia di praticanti, ma erano gli anni ’70. Possibile riproporle ora, così finte, nel terzo millennio? A cosa servono?

 

1. Qualunque sia la strategia adottata è prioritario il saper gestire "mentalmente e fisicamente" l'avversario controllando le emozioni e le azioni proprie ed altrui. Nelle Arti marziali afferenti all’area nipponica, una prima suddivisione delle strategie adottabili è la seguente: KAKE WAZA (SEN - SEN NO SEN): Attacco diretto prima che l'avversario metta in atto una strategia, ovvero " Intuire l'intenzione”. KAKE NO SEN (SEN NO SEN): Attacco nell'esatto momento in cui l'avversario dia segno di eseguire un attacco, "sentire il momento in cui la freccia è scoccata e l'arciere non può più modificare la traiettoria, ed agire prima che arrivi". TAI NO SEN: Attacco nel momento esatto della partenza dell'attacco dell'avversario utilizzando una tecnica di difesa "De-ai". AMASHI WAZA (GO NO SEN): Difendersi uscendo completamente dall'attacco avversario e quindi eseguire un contrattacco. UKE WAZA (GO NO SEN): Colpire difendendo (uchi-komi). RENZOKU WAZA (SHIKAKE WAZA): Attaccare utilizzando una combinazione di tecniche, per aumentare l’efficacia della nostra azione o per contrastare la reazione avversaria.  SASOI WAZA (SHIKAKE WAZA): Invitare all'attacco mostrando delle aperture nella propria guardia (suki) per stimolare l’azione avversaria e poi usare una strategia adeguata. KUZUSHI WAZA (SHIKAKE WAZA): Aprire o rompere  la guardia dell’avversario per disorientarlo e portare un attacco, un esempio classico è quello del kendoka che batte o “spazza” con la propria shinai quella del partner. (http://www.hombu-dojo.it/tai-no-sen,-go-no-sen,-sen-no-sen.html)





mercoledì 13 luglio 2022

Percorsi

Ognuno con i suoi, di percorsi. Quelli della partenza: da regioni diverse, da situazioni famigliari diverse, da infanzie diverse. Quelli del tragitto in cui hanno giocato un ruolo elementi diversi: la leva militare, il nomadismo totale, l’impegno politico estremista.

Poi arriva il tempo e l’occasione in cui ognuno non può passare ad aspettare; quel momento, quell’occasione che non lascia un minuto in più a tergiversare.

Anche qui, diverso per ognuno come diverso è il tocco per conoscersi ed entrare: una birra in un localino a porta Romana, poderosa motocicletta accanto e tanto da parlare: il riconcorrersi con la fatica di trovarsi sul palco di un circolo ARCI in via Bellezza; le parole di un amico che già ha annusato il percorso e l’impegno della caccia da attraversare.

Tra il mondo della terra, del quotidiano, e quello del cielo dove rimbalzano i sogni e le passioni c’era e, per certi versi c’è ancora, un posto dove ognuno può trovare il cuore e l’anima, e pure il buio e lo sporco del proprio personale mistero da affrontare come una cura.

Dove in te puoi credere e il tempo che hai passato ad aspettare è un momento che ti attraversa dentro, senza cancellare né il prima né il dopo.

Dove tutti gli anni che sono passati non hanno mai avuto timore di cambiare idea, anche di sbagliare, anche di cadere, ma sempre poi per rialzarsi che ogni sconfitta la vivi come un dono.

Quello che sarà per ognuno lo sarà nel futuro, e nessuno ci assicura che tutti i sogni che abbiamo un giorno diventeranno realtà e nemmeno che resteranno gli stessi.

In quel posto e poi in ogni posto che vai scegliendo passerai le notti ed i giorni, le storie dettate dal tuo inconscio e gli accadimenti voluti dal tuo Io. Ogni scontro, ogni battaglia da combattere, vedrà il sole sorgere ogni volta e te, volto contro vento, ad affidarti al tuo intuito, al tuo fiuto.

Su una riva lontana o sul portone accanto sembrerà che il tempo si sia fermato, e starà ad ognuno di noi decidere se chiudere le braccia al petto o lasciarle aperte a quel che sta accadendo.

Intanto, in questa afosa serata di Luglio, noi siamo qui. Tavola imbandita, casa che odora di protezione ed affetto, una ruvida riproduzione dalla mano di Gauguin a vegliare forte e serena.

Grazie Giovanni ed Elise, grazie per quel tempo e quell’occasione che anche stasera ci aspetta. Z.N.K.R. prima, ora Spirito Ribelle, il clan c’è; c’è per chiunque voglia condividere, sia che ancora pratichi di pugno e di coltello o che calpesti altri sentieri. Basta volerlo davvero, basta decidere.

 

Il luogo della poesia

Non sta il poema

nelle tenebre oscure del linguaggio

ma in quelle della vita.

Non sta nelle perfezioni del suo corpo

ma nelle emorragie della sua ferita.

Non sta là dove credevamo che ci fosse

né è immagine unica né fissa.

Sta là dove fugge quel che amiamo:

sta nella sua partenza.

E’ il nostro dire addio a noi stessi

ogni volta incrociando lo stesso angolo.

E’ pagina che muove solo il tempo

con il suo inchiostro uguale ma diverso.

Il poema non sta, no, nel linguaggio

ma nell’alfabeto della vita.

(Jaime Siles)

 

 





 

 

mercoledì 6 luglio 2022

L’inutilità e l’assurdità di praticare Arti Marziali

 Praticare Arti Marziali come “Via”, come perfezionamento di se stessi, come costrutto etico? Il che significa l’assenza di uno scopo estrinseco, di un qualcosa di tangibile, dunque totalmente al di fuori dalle logiche di una società che valuta solo ciò che è misurabile, solo ciò che risponde ai dettami di produzione e consumo.

Per ovviare a questo si propongono le Arti Marziali in sede di

Difesa Personale. Ma qui si fa subdolamente presa sulle paure umane (1), negando le cifre oggettive che parlano di una generale diminuizione della micro criminalità (2); vendendo come fondamentale la preparazione fisica (3) (corsa, addominali, piegamenti sulle braccia, ecc.); facendo memorizzare come se fossero efficaci una sequela di tecniche spruzzate di elementi di psicologia poi simulate in ambienti protetti con aggressori addomesticati, per non scrivere delle varie difese da coltello di gomma e pistola di plastica!! Senza dimenticare che, come a mani nude tutti convengono che per difenderti da un pugno devi anche e prima saperlo tirare, nessuno invece ti spiega che per difenderti da una coltellata devi anche e prima avere le “palle” per saper affondare il coltello, quello vero, quello affilato, nella carne di qualcuno (4).

Sport. E qui entra in gioco tutta la retorica dello sport agonistico come vittoria contro se stessi che, ad ogni competizione, viene regolarmente smentita dalle urla beluine degli allenatori, dagli incitamenti “Ammazzalo” del pubblico, dalle crisi isteriche e dagli atteggiamenti narcisisti degli agonisti. Vuoi fare sport agonistico? Bene, sai che lo fai per sconfiggere un altro da te, per portare a casa un trofeo, una medaglia, perché nel tuo percorso personale hai bisogno di una gratificazione esterna: nulla di male, ma non sbandierare valori etici che lì non necessariamente allignano. (5)

Quand’anche le Arti Marziali siano proposte come “Via”, nessuno è ma riuscito a spiegare come ripetere e ripetere tecniche, memorizzare gesti, copiare pedissequamente un modello dato, possa condurre il praticante se non all’Illuminazione almeno alla calma interiore, alla comprensione di sé. Anzi!!

Assodata l’inutilità e l’assurdità di praticare Arti Marziali? Non proprio.

Personalmente, e rifacendomi alla storia delle Arti Marziali giapponesi, ritengo che la base da cui partire sia una pratica efficace ed efficiente in quanto a conoscenza corporea e propriocezione, dunque io sono corpo, faccio esperienza di me corpo (6); capace di sviluppare una “melodia cinetica” completa (7); in grado di offrire la capacità di stare in uno scontro fisico (senza pretese di machismo e delirio di onnipotenza, di invincibilità). Quello che era Bujutsu: Porto a casa la pelle a scapito della tua, beh, almeno ci provo!!

Da lì, solo da lì, può (ma non è detto!!) originarsi il Budo, la “Via”. (8)

Budo che, per me, non è assolutamente una condizione statica, oggettiva: la saggezza, l’illuminazione. Budo è intraprendere un percorso fisicoemotivo (9), di corpo tutto, fatto di conoscenza di sé, di come si è e come si vuole stare nelle relazioni, dunque estremamente pratico perché lo si esprime e lo si applica nel quotidiano e dunque, di rimando, dal quotidiano ne è inevitabilmente influenzato a sua volta. Nessun arroccarsi dentro quanto scoperto esibendo verità e certezze, anzi, disponibili ad incrociarsi con percorsi di altri, accettando gli eventuali ingombri che ci inducono a cambiare rotta, a sostare in spazi inusuali per riflettere e verificare sia in merito al percorso marziale che stai praticando sia in merito a quanto di te stai costruendo.

Come condurre questo cammino?

Uccidendo da subito lo stile precostituito, il modello dato e cristallizzato, perché “panta rei” (tutto cambia) e cambia pure l’individuo che pratica, perché ogni individuo è unico nel suo stato emotivo, nelle esperienze di vita, nelle sue abilità fisiche ed egli stesso cambia. D’altronde, sin dall’antichità,  il sapere umano, filosofico, si è sviluppato come metodo di ricerca e conoscenza che, da un certo luogo fisico, si allargava ed esportava, modificandosi, incrociandosi in un meticciato continuo con contesti culturali differenti; la stessa antropologia ci spiega che ogni modello dato ha valenza e potenza solo ed unicamente nel contesto storico e culturale in cui è nato, dunque riproporre “paro paro” il Karate del Giappone dei primi del ‘900 ora e in Italia agli italiani o il Krav Maga che i soldati israeliani usano per uccidere i nemici ad un pacioso impiegato di banca o ad una agghindata commessa di negozio …

Uccidendo da subito il Maestro, quello che “ha la maestria”, ha in mano il sapere. Perché nell’ottica descritta sopra, nessuno ha il “sapere” di una materia che è in continuo mutamento e che necessita di continue contaminazioni per sapersi adeguare e per saper comprendere l’allievo che ha davanti, tanto più che, come in ogni relazione, il fare forma e trasforma ambedue i componenti la relazione, docente e discente.

Uccidendo, di conseguenza, la pretesa che l’allievo sia un inerte vaso vuoto da riempire, un foglio bianco su cui chi sa scrive il testo esatto. Ma anche la pretesa, più subdola, di educare, di “condurre fuori” il discente (10) dalla sua ignoranza.

In alternativa, cosa io propongo nel mio percorso di pratica e accompagnamento “marziale”?

Una pratica non codificata, non cristallizzata, dunque non un carapace, che, attraverso il saper stare nel confliggere, nello scontrarsi, fornisca i mezzi perché il praticante stesso scelga come conoscere di sé e dell’ambiente e che relazioni adulte e coraggiose instaurarvi, compreso gli strumenti atti ad argomentare, praticamente e teoricamente, quanto egli sceglie, non perché depositario della Verità ma proprio perché formato alla flessibilità, anche nell’accettare di cambiare la sua posizione.

Questa pratica sempre mutevole necessita di un modo di coinvolgimento che, scartando il dover essere in un certo modo dato, accompagna il praticante a conoscere quanto ha già potenzialmente in sé, le sue personali risorse, e a dar loro fiducia agendole apertamente, Una didattica maieutica (11), libertaria, unica in grado di formare individui autonomi ed autodiretti (il guerriero di contro al soldato), cioè tanto capaci di stare e fare da soli, dotandosi di norme  personali, quanto di vedere nell’altro lo specchio relazionale che ci svela, una relazionalità che è l’impronta del nostro stesso profilo.

A condurre questa pratica non un Maestro ma un Sensei (“colui che è nato prima”). Ossia uno che è già stato sotto una tempesta e invece di fuggirla o trovare un rifugio l’ha sostenuta. Un Sensei non è per forza una brava ed illuminata persona, anzi. Solitamente è uno che si è sporcato mani e cuore con la merda, uno che ha fatto del male e il male lo ha subito, che ha conosciuto la propria Ombra, che è sceso più e più volte nel buio della propria cantina, ma non lo nasconde, non pretende di illuminare là dove domina il buio, non ha la pretesa di tenere le mani sempre pulite e disinfettate. Uno che ha conosciuto violenza e dolore e ti può testimoniare che ci si può convivere, ti può accompagnare a conoscerti ed accettarti per quel che sei e vivere secondo quel che tu sei e non subendo imposizioni o espedienti esterni, fingendo con te stesso prima ancora che con gli altri.

Una pratica flessibile e profondamente incarnata, un metodo libertario che ti mostra come essere responsabile verso te stesso, un facilitatore che ti accompagna dentro le tue emozioni, ecco come le Arti Marziali di un altro continente, di un’altra cultura, di secoli e secoli addietro, possono formarti a divenire uomo oggi, qui in Italia, nel terzo millennio.

 

1.     “La psicoanalisi considera le situazioni temute da una persona nel mondo esterno come espressioni delle situazioni di pericolo che essa incontra nel proprio mondo interiore” (A. Oliverio Ferraris, psicologa “Psicologia della paura”)

2.     “Per le rapine, il dato disponibile è quello del 2020, che registra 20.000 rapine, in calo del 17,6% rispetto al 2019: sicuramente hanno influito lockdown e limitazioni alla circolazione, anche se il trend in discesa si registra dal 2013, che aveva segnato un picco di oltre 43.000 rapine” (https://www.sicurezzamagazine.it/criminalita-diffusi-i-dati-relativi-ai-reati-in-italia-tra-2020-e-2021/)

3.     “Lo strumento principale per la nostra sopravvivenza è il cervello, con le sue prodigiose capacità di elaborazione e adattamento. Non abbiamo zampe poderose, né artigli e zanne, ma abbiamo il nostro cervello. La nostra sopravvivenza dipende dalla nostra capacità di adattarci rapidamente ai cambiamenti dell’ambiente circostante” (D. Grossman, ex tenente colonnello dell'esercito degli Stati Uniti. “On Combat”)

4.     “Dobbiamo sforzarci senza sosta di sviluppare tecniche di simulazione sempre più realistiche affinché nel suo addestramento ogni guerriero possa interiorizzare un insieme di abilità che potrà poi esprimere in situazioni reali”

(omissis)

“Ripetiamolo: tutto ciò che viene impresso durante l’addestramento riemerge nelle situazioni reali. L’auto-conservazione stessa può essere condizionata dall’addestramento. La riluttanza ad uccidere (che sia innata o appresa), il senso della sacralità della vita umana, le emozioni, il rimorso, la compassione: tutto può essere superato e azzerato tramite l’addestramento” (ibidem)

5.     T. Santambrogio “Dove ci porterà lo sport” http://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/search?q=dove+ci+porter%C3%A0+lo+sport

6.     Mi riferisco alla distinzione di Edmund Husserl: “distinguendo il Leib dal Körper: il primo è il corpo vivo, è la carne, esso si muove con l’essere umano ed è un corpo che sente e patisce; il secondo è il corpo cosale, che abita in un mondo fisico insieme a tutti gli altri corpi (Costa, 2016)” in https://www.psicologiafenomenologica.it/articolo/leib-korper-ripensare-fondamenti-psicopatologia/; fino a Jean Luc Nancy: “Non abbiamo un corpo ma siamo corpo” in “La chiave di Sophia”. Giu – Sett 2020.

7.   .  “Il neuropsicologo russo Alexander Lurija, nel secolo scorso, definì melodie cinetiche proprio i movimenti più complessi e fluidi che percepiamo come belli. Non a caso, Howard Gardner, docente di Scienze dell’Educazione e Psicologia all’università di Harvard, ha teorizzato l’esistenza di vari tipi di intelligenza, tra cui l’intelligenza corporeo-cinestetica, che genera il piacere di muoversi e di guardare il movimento”

(https://stefanopaolillo.wordpress.com/2018/04/27/le-melodie-cinetiche/)

8.     “La Via del combattimento, termine utilizzato nel XX secolo per designare le arti marziali con un fine prevalentemente ‘pacifico’ che indicava, oltre a discipline fisiche e di combattimento, anche dei concetti di natura etica, filosofica e morale” (L. Frederic, storico dell'arte, scrittore, specialista nelle culture dell'Asia, in particolare India e Giappone “Le Arti Marziali dalla A alla Z”)

9.     Per “fisicoemotivo” intendo “il Corpo come, o in quanto: Essere vivente, Stratificazione di Memorie (cosmiche, filogenetiche, ontogenetiche), Dispositivo Emotonico, Dispositivo Sinestetico, Struttura Bioenergetica, Struttura Omologica” (S. Guerra Lisi, artista, formatrice, esperta della riabilitazione di disabili sensoriali, motori e psichici “Il corpo matrice di segni”)

10.  “Una metafora dell’architetto Colin Ward ‘ Vaso, creta o fiore?’ è particolarmente efficace per spiegare questo concetto. Le differenti pedagogie si traducono nella visione dell’essere umano come un vaso che deve essere riempito o come creta grezza che deve essere modellata. L’approccio libertario lo identifica invece in un fiore, che è già in sé, ma che deve essere aiutato a sbocciare. Senza la presunzione di trasformarlo in qualcosa che non è” (F. Codello, filosofo e pedagogista in “La Chiave di Sophia” n.16 Ott 2021 – Gen 2022)

11. . “La maieutica è orientata a sviluppare la capacità di acquisire apprendimenti che portano l’alunno a fare da solo e a essere in grado di costruire delle competenze permanenti, non estemporanee né basate su performance puramente ripetitive” (D. Novara, pedagogista “Il manifesto della scuola maieutica”)

 















lunedì 4 luglio 2022

Pelle dura e cuore caldo

A settant’anni sono tante, tantissime, le persone entrate ed uscite nella mia vita. Come una pianta le cui radici affondano nel terreno e che cresce negli anni nonostante le avversità, alcune le posso chiamare “amico”.

Stasera sono tra amici: allievi che con me hanno condiviso decenni di botte e stage, incontri con Maestri più o meno tali, abbracci con altri allievi che hanno camminato con noi prima di allontanarsi, pulizie e lavori di ristrutturazione nello storico Dojo di via Simone d’Orsenigo, spettacoli di “Teatro Marziale” in tutta Italia e, naturalmente, centinaia di momenti conviviali!!

Siamo a casa di Valerio; dopo le costrizioni imposte dalla pandemia ci siamo spontaneamente ritrovati ad organizzare cene a casa dell’uno o dell’altro, tra chiacchiere, allegria, buon cibo e buon alcool che nessuno qui è astemio.

Il mio percorso è stato ed è ancora teso a costruire relazioni, a costruire un gruppo, un “clan”, perché a tenere corsi, in fin dei conti, sono tutti bravi. Ogni giorno che così ho vissuto, ogni ostilità che ho sconfitto, fa parte della forza che ora mi porto dentro fatta di tutti i momenti odiati ed amati.

E della nostra casa, del nostro Dojo, tutti gli allievi avevano le chiavi: allenarsi quando gli pareva, certo, ma anche preparare esami universitari, rilassarsi, festeggiare compleanni, suonare la chitarra, e c’è chi ci ha dormito notti intere quando il matrimonio era finito o era un semplice litigio, chi ci ha fatto l’amore perché Milano non è certo facile ed ospitale per chi cerca intimità ed un luogo caldo per sognare.

Anche se quel dojo fisico non c’è più, anche se oggi, come Spirito Ribelle, transitiamo tra il Dojo di Giuseppe e i giardini Candia, lo spirito è lo stesso. Li guardo e sembra proprio come se il tempo non passasse mai, e devo guardare più volte le facce per scoprire i segni del tempo, sopra al tempo e il suo flusso.

Ricordiamo incontri e scontri, compagni di formazione e Arti le più diverse praticate. Mi par di cogliere, tra emozioni e condivisioni di ricordi, un certo senso irrequieto, un filo tagliente che sembra recriminare su una mia severità nel condurre il gruppo. Vero, ero severo e poco incline a lasciar andare. Eppure, con un praticare che io proponevo già allora ben più efficace ed efficiente di quanto in giro si respirava, onda shock nel corpo invece del solito ruotare di anche che ancora oggi va per la maggiore, credo che quello stile di mio comportamento li abbia aiutati ad affrontare e a tenere testa, fino ad abbatterli, l’agonista campione di questo e quello che cercava di vincere eludendo le regole della competizione, il Maestro dall’ego smisurato in cerca di ulteriore visibilità, il praticante di altra disciplina smanioso di mostrare la sua superiorità: tutti segnati, tutti abbattuti. In fin dei conti, da qui inizia il vero percorso marziale, perché se il Bujutsu, il combattere, non funziona, non c’è alcuna possibilità di approdare al Budo, la “Via”, la ricerca di sé e del buon stare al mondo.

Lo ammetto, in questo mio ora essere accogliente e comprensivo, molto, tanto, è una personale conquista di crescita e maturità a disposizione di tutti coloro che mi sono al fianco, ma un poco, una punta, è la non certo generosa considerazione che ho acquisito dell’animo umano, anche “grazie”, tra i tanti passati in Dojo ZNKR, a quelli stronzi e che certo non rimpiango.

Il mio sguardo ora diverso lo conoscono tutti quelli che, tra il corso ai giardini Candia ed i Seminari di Katana in via Labeone, mi sono accanto. Dentro c’è la certezza di una vita sempre nuova, con la forza e la passione di rialzarsi ancora ed ancora, ogni volta in piedi, affrontando ogni giorno come un'altra prova.

Io spingo forte ad ogni respiro, sorriso nel volto e nel cuore, e anche se non ho chiaro il mio obiettivo, tentennare e persino cadere sono soltanto un modo per scoprirmi vitale, appassionato, aggressivo.

Valerio perfetto padrone di casa, Donatella che ride di gusto, Giuseppe a giocare con Ermes, Giovanni che rincorre le narrazioni quando sono troppo lontane, Elise che ci immortala con il cellulare, Monica a dissertare.

Lo spirito è ancora quello: In un modo o nell’altro, ognuno con le sue differenze, è Jitakyoei, “Insieme per crescere e progredire”. Diversi sì, ma uniti.

Alla prossima cena, in quel di Abbiategrasso, dalla famiglia Laurito: Giovanni, Elise ed il piccolo Ermes!!

 





venerdì 1 luglio 2022

Ghiaccio

Pellicola italiana di pugilato, periferia, dubbi e riscatto. Pellicola di umori ed atmosfere cupe, intrise di rabbia dove la speranza cuoce a fuoco lento e non ci è dato sapere se finirà col bruciarsi o meno.

Un giovanotto spaesato, con un padre invischiato con la malavita che della malavita gli lascia addosso debiti, ricatti e ombre troppo scure per scrollarsele di dosso.

Un padre di famiglia alle prese con i rimorsi per un sogno non realizzato e la serenità di una famiglia da tirare avanti.

Due attori su tutti, Giacomo Ferrara, già ottimo interprete nella serie “Suburra, e Vinicio Marchioni, il “Freddo” della serie “Romanzo Criminale”.

 Ghiaccio

regia di Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis

 

La pellicola procede tra tentennamenti ed esitazioni dei due protagonisti, narrando di compromessi che non sanno di alcuna ragione e di vittorie che non hanno un domani. Sensazioni e sentimenti che non dovrebbero morire se ci credi, che metti dentro la tua vita se ce la fai, anche se tutto attorno a te rema contro.

Il tempo non può esistere solo per invecchiare, e qualcosa urla dentro ad ambedue che non sono e non saranno quel che il decadere della periferia da loro vuole. Forse, se ce la faranno.

Pellicola intensa, un pò troppo pervasa da continua musica, davvero riesce a fare di un argomento trito e ritrito e di uno sport già tante volte infilzato dal cinema USA ed anche italiano, un oscuro e rabbioso momento di autentico piacere, smuovendo sensazioni e inducendo anche a riflettere sul senso e la fragilità di questa vita.