mercoledì 6 luglio 2022

L’inutilità e l’assurdità di praticare Arti Marziali

 Praticare Arti Marziali come “Via”, come perfezionamento di se stessi, come costrutto etico? Il che significa l’assenza di uno scopo estrinseco, di un qualcosa di tangibile, dunque totalmente al di fuori dalle logiche di una società che valuta solo ciò che è misurabile, solo ciò che risponde ai dettami di produzione e consumo.

Per ovviare a questo si propongono le Arti Marziali in sede di

Difesa Personale. Ma qui si fa subdolamente presa sulle paure umane (1), negando le cifre oggettive che parlano di una generale diminuizione della micro criminalità (2); vendendo come fondamentale la preparazione fisica (3) (corsa, addominali, piegamenti sulle braccia, ecc.); facendo memorizzare come se fossero efficaci una sequela di tecniche spruzzate di elementi di psicologia poi simulate in ambienti protetti con aggressori addomesticati, per non scrivere delle varie difese da coltello di gomma e pistola di plastica!! Senza dimenticare che, come a mani nude tutti convengono che per difenderti da un pugno devi anche e prima saperlo tirare, nessuno invece ti spiega che per difenderti da una coltellata devi anche e prima avere le “palle” per saper affondare il coltello, quello vero, quello affilato, nella carne di qualcuno (4).

Sport. E qui entra in gioco tutta la retorica dello sport agonistico come vittoria contro se stessi che, ad ogni competizione, viene regolarmente smentita dalle urla beluine degli allenatori, dagli incitamenti “Ammazzalo” del pubblico, dalle crisi isteriche e dagli atteggiamenti narcisisti degli agonisti. Vuoi fare sport agonistico? Bene, sai che lo fai per sconfiggere un altro da te, per portare a casa un trofeo, una medaglia, perché nel tuo percorso personale hai bisogno di una gratificazione esterna: nulla di male, ma non sbandierare valori etici che lì non necessariamente allignano. (5)

Quand’anche le Arti Marziali siano proposte come “Via”, nessuno è ma riuscito a spiegare come ripetere e ripetere tecniche, memorizzare gesti, copiare pedissequamente un modello dato, possa condurre il praticante se non all’Illuminazione almeno alla calma interiore, alla comprensione di sé. Anzi!!

Assodata l’inutilità e l’assurdità di praticare Arti Marziali? Non proprio.

Personalmente, e rifacendomi alla storia delle Arti Marziali giapponesi, ritengo che la base da cui partire sia una pratica efficace ed efficiente in quanto a conoscenza corporea e propriocezione, dunque io sono corpo, faccio esperienza di me corpo (6); capace di sviluppare una “melodia cinetica” completa (7); in grado di offrire la capacità di stare in uno scontro fisico (senza pretese di machismo e delirio di onnipotenza, di invincibilità). Quello che era Bujutsu: Porto a casa la pelle a scapito della tua, beh, almeno ci provo!!

Da lì, solo da lì, può (ma non è detto!!) originarsi il Budo, la “Via”. (8)

Budo che, per me, non è assolutamente una condizione statica, oggettiva: la saggezza, l’illuminazione. Budo è intraprendere un percorso fisicoemotivo (9), di corpo tutto, fatto di conoscenza di sé, di come si è e come si vuole stare nelle relazioni, dunque estremamente pratico perché lo si esprime e lo si applica nel quotidiano e dunque, di rimando, dal quotidiano ne è inevitabilmente influenzato a sua volta. Nessun arroccarsi dentro quanto scoperto esibendo verità e certezze, anzi, disponibili ad incrociarsi con percorsi di altri, accettando gli eventuali ingombri che ci inducono a cambiare rotta, a sostare in spazi inusuali per riflettere e verificare sia in merito al percorso marziale che stai praticando sia in merito a quanto di te stai costruendo.

Come condurre questo cammino?

Uccidendo da subito lo stile precostituito, il modello dato e cristallizzato, perché “panta rei” (tutto cambia) e cambia pure l’individuo che pratica, perché ogni individuo è unico nel suo stato emotivo, nelle esperienze di vita, nelle sue abilità fisiche ed egli stesso cambia. D’altronde, sin dall’antichità,  il sapere umano, filosofico, si è sviluppato come metodo di ricerca e conoscenza che, da un certo luogo fisico, si allargava ed esportava, modificandosi, incrociandosi in un meticciato continuo con contesti culturali differenti; la stessa antropologia ci spiega che ogni modello dato ha valenza e potenza solo ed unicamente nel contesto storico e culturale in cui è nato, dunque riproporre “paro paro” il Karate del Giappone dei primi del ‘900 ora e in Italia agli italiani o il Krav Maga che i soldati israeliani usano per uccidere i nemici ad un pacioso impiegato di banca o ad una agghindata commessa di negozio …

Uccidendo da subito il Maestro, quello che “ha la maestria”, ha in mano il sapere. Perché nell’ottica descritta sopra, nessuno ha il “sapere” di una materia che è in continuo mutamento e che necessita di continue contaminazioni per sapersi adeguare e per saper comprendere l’allievo che ha davanti, tanto più che, come in ogni relazione, il fare forma e trasforma ambedue i componenti la relazione, docente e discente.

Uccidendo, di conseguenza, la pretesa che l’allievo sia un inerte vaso vuoto da riempire, un foglio bianco su cui chi sa scrive il testo esatto. Ma anche la pretesa, più subdola, di educare, di “condurre fuori” il discente (10) dalla sua ignoranza.

In alternativa, cosa io propongo nel mio percorso di pratica e accompagnamento “marziale”?

Una pratica non codificata, non cristallizzata, dunque non un carapace, che, attraverso il saper stare nel confliggere, nello scontrarsi, fornisca i mezzi perché il praticante stesso scelga come conoscere di sé e dell’ambiente e che relazioni adulte e coraggiose instaurarvi, compreso gli strumenti atti ad argomentare, praticamente e teoricamente, quanto egli sceglie, non perché depositario della Verità ma proprio perché formato alla flessibilità, anche nell’accettare di cambiare la sua posizione.

Questa pratica sempre mutevole necessita di un modo di coinvolgimento che, scartando il dover essere in un certo modo dato, accompagna il praticante a conoscere quanto ha già potenzialmente in sé, le sue personali risorse, e a dar loro fiducia agendole apertamente, Una didattica maieutica (11), libertaria, unica in grado di formare individui autonomi ed autodiretti (il guerriero di contro al soldato), cioè tanto capaci di stare e fare da soli, dotandosi di norme  personali, quanto di vedere nell’altro lo specchio relazionale che ci svela, una relazionalità che è l’impronta del nostro stesso profilo.

A condurre questa pratica non un Maestro ma un Sensei (“colui che è nato prima”). Ossia uno che è già stato sotto una tempesta e invece di fuggirla o trovare un rifugio l’ha sostenuta. Un Sensei non è per forza una brava ed illuminata persona, anzi. Solitamente è uno che si è sporcato mani e cuore con la merda, uno che ha fatto del male e il male lo ha subito, che ha conosciuto la propria Ombra, che è sceso più e più volte nel buio della propria cantina, ma non lo nasconde, non pretende di illuminare là dove domina il buio, non ha la pretesa di tenere le mani sempre pulite e disinfettate. Uno che ha conosciuto violenza e dolore e ti può testimoniare che ci si può convivere, ti può accompagnare a conoscerti ed accettarti per quel che sei e vivere secondo quel che tu sei e non subendo imposizioni o espedienti esterni, fingendo con te stesso prima ancora che con gli altri.

Una pratica flessibile e profondamente incarnata, un metodo libertario che ti mostra come essere responsabile verso te stesso, un facilitatore che ti accompagna dentro le tue emozioni, ecco come le Arti Marziali di un altro continente, di un’altra cultura, di secoli e secoli addietro, possono formarti a divenire uomo oggi, qui in Italia, nel terzo millennio.

 

1.     “La psicoanalisi considera le situazioni temute da una persona nel mondo esterno come espressioni delle situazioni di pericolo che essa incontra nel proprio mondo interiore” (A. Oliverio Ferraris, psicologa “Psicologia della paura”)

2.     “Per le rapine, il dato disponibile è quello del 2020, che registra 20.000 rapine, in calo del 17,6% rispetto al 2019: sicuramente hanno influito lockdown e limitazioni alla circolazione, anche se il trend in discesa si registra dal 2013, che aveva segnato un picco di oltre 43.000 rapine” (https://www.sicurezzamagazine.it/criminalita-diffusi-i-dati-relativi-ai-reati-in-italia-tra-2020-e-2021/)

3.     “Lo strumento principale per la nostra sopravvivenza è il cervello, con le sue prodigiose capacità di elaborazione e adattamento. Non abbiamo zampe poderose, né artigli e zanne, ma abbiamo il nostro cervello. La nostra sopravvivenza dipende dalla nostra capacità di adattarci rapidamente ai cambiamenti dell’ambiente circostante” (D. Grossman, ex tenente colonnello dell'esercito degli Stati Uniti. “On Combat”)

4.     “Dobbiamo sforzarci senza sosta di sviluppare tecniche di simulazione sempre più realistiche affinché nel suo addestramento ogni guerriero possa interiorizzare un insieme di abilità che potrà poi esprimere in situazioni reali”

(omissis)

“Ripetiamolo: tutto ciò che viene impresso durante l’addestramento riemerge nelle situazioni reali. L’auto-conservazione stessa può essere condizionata dall’addestramento. La riluttanza ad uccidere (che sia innata o appresa), il senso della sacralità della vita umana, le emozioni, il rimorso, la compassione: tutto può essere superato e azzerato tramite l’addestramento” (ibidem)

5.     T. Santambrogio “Dove ci porterà lo sport” http://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/search?q=dove+ci+porter%C3%A0+lo+sport

6.     Mi riferisco alla distinzione di Edmund Husserl: “distinguendo il Leib dal Körper: il primo è il corpo vivo, è la carne, esso si muove con l’essere umano ed è un corpo che sente e patisce; il secondo è il corpo cosale, che abita in un mondo fisico insieme a tutti gli altri corpi (Costa, 2016)” in https://www.psicologiafenomenologica.it/articolo/leib-korper-ripensare-fondamenti-psicopatologia/; fino a Jean Luc Nancy: “Non abbiamo un corpo ma siamo corpo” in “La chiave di Sophia”. Giu – Sett 2020.

7.   .  “Il neuropsicologo russo Alexander Lurija, nel secolo scorso, definì melodie cinetiche proprio i movimenti più complessi e fluidi che percepiamo come belli. Non a caso, Howard Gardner, docente di Scienze dell’Educazione e Psicologia all’università di Harvard, ha teorizzato l’esistenza di vari tipi di intelligenza, tra cui l’intelligenza corporeo-cinestetica, che genera il piacere di muoversi e di guardare il movimento”

(https://stefanopaolillo.wordpress.com/2018/04/27/le-melodie-cinetiche/)

8.     “La Via del combattimento, termine utilizzato nel XX secolo per designare le arti marziali con un fine prevalentemente ‘pacifico’ che indicava, oltre a discipline fisiche e di combattimento, anche dei concetti di natura etica, filosofica e morale” (L. Frederic, storico dell'arte, scrittore, specialista nelle culture dell'Asia, in particolare India e Giappone “Le Arti Marziali dalla A alla Z”)

9.     Per “fisicoemotivo” intendo “il Corpo come, o in quanto: Essere vivente, Stratificazione di Memorie (cosmiche, filogenetiche, ontogenetiche), Dispositivo Emotonico, Dispositivo Sinestetico, Struttura Bioenergetica, Struttura Omologica” (S. Guerra Lisi, artista, formatrice, esperta della riabilitazione di disabili sensoriali, motori e psichici “Il corpo matrice di segni”)

10.  “Una metafora dell’architetto Colin Ward ‘ Vaso, creta o fiore?’ è particolarmente efficace per spiegare questo concetto. Le differenti pedagogie si traducono nella visione dell’essere umano come un vaso che deve essere riempito o come creta grezza che deve essere modellata. L’approccio libertario lo identifica invece in un fiore, che è già in sé, ma che deve essere aiutato a sbocciare. Senza la presunzione di trasformarlo in qualcosa che non è” (F. Codello, filosofo e pedagogista in “La Chiave di Sophia” n.16 Ott 2021 – Gen 2022)

11. . “La maieutica è orientata a sviluppare la capacità di acquisire apprendimenti che portano l’alunno a fare da solo e a essere in grado di costruire delle competenze permanenti, non estemporanee né basate su performance puramente ripetitive” (D. Novara, pedagogista “Il manifesto della scuola maieutica”)

 















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