Combattere, lottare, è brutto, sporco, oscuro.
Combattere, confliggere corpo a corpo, sudarsi addosso, premere l’un contro l’altro, mescolare odori diversi, compreso quello della paura, questo è praticare Arti Marziali.
Per questo diffido dei bei corsi, di Arti Tradizionali come di sport da contatto o di nuove (!?) specialità da strada, sia che in essi vigano le pelle parole, le belle teorie, le dissertazioni metafisiche e guai a mettersi le mani in faccia, sia che in essi vigano il guizzare di muscoli, le urla ed i comandi in stile “marine”, le “pompate” a terra e poi tutto il tempo a scazzottarsi.
Diffido perché senza “botte”, non c’è Arte del combattere, solo disquisizioni intellettualistiche, pretese di sapere e saggezza che crollano alla prima sberla presa per strada o, per mezzo di una bocciatura scolastica, un licenziamento al lavoro, un abbandono nella coppia, una disobbedienza del figlio, nella vita quotidiana.
Diffido perché scazzottarsi a sfogo è solo, appunto, uno sfogatoio senza alcun intervento dentro le parti Ombra di sé, dentro le pulsioni profonde che agitano ogni essere umano: ti sei sfogato, punto e basta. Come correre a perdifiato in salita o una “sveltina” in auto con una prostituta o una sbronza con gli amici. E dopo poco, sei il solito di prima. (1)
Sere or sono, un aitante giovanotto, ai primi passi nel nostro Dojo dopo alcuni mesi di pugilato, disse pressappoco così “ Mai mi è successo che così tanto uomini mi mettessero le mani addosso”.
Ecco, fare Arti Marziali, è mettersi le mani addosso. Che non è tirare un pugno in faccia o proiettare l’altro al suolo: questa è tecnica, è restare al di qua dello scontro.
Le “mani addosso” sono entrare consapevolmente in una relazione fisicoemotiva con l’altro, perdersi e ritrovarsi nell’abbraccio con l’altro allo scopo di non morire, violarne la sfera intima accettando di farsi inevitabilmente violare la propria che altrimenti non c’è relazione.
E’ amigdala ( la parte limbica del nostro cervello) che si nutre di pulsioni orrende (2) in cui non c’è posto per la vita altrui.
E’, in un percorso che comprende il metacomunicare, dunque anche le emozioni ( che sono emos – sangue – azioni ), scandagliare la sofferenza psichica interiore, quell’anima primitiva, dionisiaca, che la società “per bene” stenta ad accettare, tuttalpiù confinandola in giochi di società (gli sport e le trasgressioni di massa ben recintate, in discoteca per esempio) e che tu stesso, tu che pratichi, non sai dove mettere nel tuo personale teatrino “per bene”.
Per questo, per me, praticare realmente Arti Marziali significa che ogni incontro è per l’individuo anche un incontro con se stesso, un’occasione unica per approfondire, grazie alla conoscenza conflittuale dell’altro, anche la conoscenza conflittuale di se stesso, accostandosi alle proprie reazioni e cercando di individuarne e metterne a fuoco le motivazioni oscure e profonde, quel “giardino segreto” di cui scrisse, più di trent’anni fa, un grande karateka come Henri Plée. Così il rapporto con l’altro, anche quando nello scontro fisico in “simulazione” soccombiamo, è comunque indispensabile perché l’Io possa misurarsi con la realtà, con l’ambiente e servirà a migliorare quell’altro rapporto altrettanto fondamentale che è per ognuno di noi il rapporto con se stesso.
Altrimenti, per me non è “Arte Marziale” ma, appunto, “seghe mentali “(3) , che siano sostanziate da forme da imitare, esercizi a coppia da memorizzare e lunghe sedute di meditazione, o che lo siano da sfuriate fisiche tra pesi, sudore e pugni e calci e lotta a terra giocati nell’illusione dell’invincibilità e nel timore dell’aggressione (4).
(1) “I tipi caratteriali nevrotici tentano di ottenere che l’ambiente rafforzi le loro illusioni, inclusi i modi in cui, a seconda del carattere, affrontano la realtà ed esprimono se stessi. Il fine di cercare il tipo di rinforzo adatto è di mantenere lo status quo con una pulsione energetica abbastanza bassa per non affrontare il dolore e l’angoscia del legame nevrotico e la piena responsabilità della propria vita. (…) E’ enorme l’investimento nel mantenere intatto il carattere e il livello muscolare e nell’appoggiare l’illusione dell’immagine di sé idealizzata. L’unione di questi elementi ha funzionato nell’infanzia contro una minaccia negatrice della vita e continua funzionare ora di giorno in giorno”. (L. Marchino: La Bioenergetica)
(2) Durante un corso di Difesa Personale rivolto alle donne, alcuni allievi che mi facevano da assistenti scoprirono, con loro grande sorpresa e turbamento, il gusto inebriante e piacevole del sopraffare una donna. Gusto che, giustamente, alla loro mente / educazione risuonava orrendo. Ma è proprio qui, nella melma scomposta delle emozioni sconosciute e brutali, delle pulsioni, che il praticante, attraverso le Arti Marziali come io le propongo, scopre se stesso ed impara a gestirsi. Disconoscere la violenza e reprimerla significa solo colludere in modo distruttivo con l’odio che si soffoca in sé, negare il mostro che abita in noi sperando che mai si affacci allo scoperto, che mai esploda, perché represso ed incontrollato, in un banale diverbio stradale o in una lite in famiglia, con conseguenze disastrose e letali.
(3) “ La sega mentale malefica consiste nell’identificazione dell’Io con un suo simbolo e nella creazione di sofferenza in seguito alla supposizione di minaccia a tale simbolo estesa all’intero Io”. (G.C. Giacobbe: Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita)
(4) Tutte queste paure di essere aggrediti per strada, alimentate da docenti / sifu / maestri che su ciò coltivano il loro business, mi hanno stufato. Credo che il cuore della DP, oggi, stia nel riconciliarsi con le proprie ferite emozionali, le proprie paure e mutilazioni, quei fantasmi perturbanti che ci limitano nel vivere e su cui ricalchiamo vecchi copioni. Di contro, “la salute di un individuo dipende dalla possibilità di essere creativo, cioè di ‘autorealizzarsi’, e coincide con l’espansione fiduciosa delle proprie potenzialità, con il dispiegarsi delle caratteristiche neoteniche proprie della specie umana” (A. Carotenuto: La mia vita per l’inconscio). Questo è sapersi difendere: avere per tutta la vita una visione personale, responsabile e consapevole di quello / come sto facendo. Il sapersi destreggiare in uno scontro di strada è, per così dire, tanto un mezzo nell’apprendimento quanto un effetto collaterale del praticare !!
"Ho iniziato a capire che un guerriero deve dare prova di sé non solo in battaglia ma anche nella vita. Vive in nome di un codice (…) Il combattimento è un’estensione di quel codice, non la sua fonte".
(colonnello D. Grossman: On Combat)
Post illustrato con le immagini del nostro 31° Kangeiko, stage invernale, tenutosi a Maserno – Montese (MO) nei giorni 25 e 26 Febbraio. Fatica fisica e fatica emozionale, mettersi alla prova in un ambiente diverso dal quotidiano, condividere nel gruppo. Anche questo ci differenzia, anche questo mostra cos’ è realmente “Formazione Guerriera”.