Atmosfera ovattata, poche persone ad aggirarsi sotto un
cielo ora sereno, i cui precedenti rutti e gli scrosci d’acqua hanno tenuto
lontano gli abituali frequentatori.
Praticare all’aperto ci
impedisce di sfoderare l’acciaio. Allora sarà nostra premura identificarci,
anima e pancia, con katana e kodachi d’allenamento.
Le lame sibilano sferzando
l’aria, chiedo ed invito corpi a fluire, a trovare nel senso interiore delle
cose il senso motorio che non si sforza, non sfrigola sugli accidenti ma
fluisce e fluisce e fluisce ancora.
Entro dentro il dare la morte e
non posso che incontrarne l’altra faccia: l’amore e le cose, le persone che
l’hanno animato. Ogni cuore che incontro è un taglio che sanguina. Come provo
quel che sto provando? Che fosse un dono casuale (ma il caso esiste?) o che io
avessi bisogno d’amore è stato un tocco di mano… poi un graffio ed un altro, orrenda
danza di menzogne e nascondimenti.
Percezione dell’insieme che è più naturale, più sincera,
della percezione frammentaria dei singoli elementi.
Spezza il silenzio se ne hai
paura. Urlagli contro quel che hai dentro. C'è un oceano di motivi per essere
felici ma ci sono correnti nere e putride che lo attraversano sotto e sotto ti
trascinano ad affogare.
L’allievo mi chiede di
sensazioni che lo attanagliano, lo attaccano all’impugnatura del katana:
com’è difficile separarsi restando insieme!! O forse come è tragicamente e
grottescamente facile restare insieme stando di fatto separati.
Forse, dai, mi costa pena ammetterlo, avevo un disperato
bisogno di sentire che a me ci tenevi davvero, davvero. E resto incredulo a
chiedermi se davvero ti occupavi di me, di noi o se era un vuoto da riempire,
se era od ora è un fardello che mi spacca dentro.
Perché i duelli prima a vuoto, poi in coppia, portano
sempre domande che non vogliono risposte.
Ci sono tutti? Non c’è alcuna necessità di avere paura,
solo stiamo lasciando andare cascate di emozioni.
Squarcio il silenzio dell’animo a trovarci le voci del
cuore. Cosa mi stanno dicendo?
Avanzo e qualcosa mi trattiene indietro. Finché non avrò
udito il canto della verità non sarò mai sereno.
Così Natsu no sora,
“cielo d’estate”, passi rapidi e felpati mente le lame sgusciano e poi cozzano
l’una contro l’altra.
La strada maestra è qui, oppure un poco più in là. O
nemmeno c’è, la “strada maestra” solo cocci di un vaso fragile che ogni giorno
mi accingo a ricomporre, perché vivere è anche sentire le ferite addosso e
dentro eppure sorridere.
Per quanto posso, per quanto sono capace.
Tre ore di Kenshindo, di “Via dello spirito
della spada”, sono sempre tante.
Scegliamo di lasciar stare la scherma libera, il
combattimento libero, Gekken.
Minuti dedicati a noi, al nostro io-corpo. Corpo attivo,
perfetto tramite di segni e simboli diretti e spiazzanti.
Presto a casa, allievi che sono
amici a sorriderci dentro, tra un aperitivo tipico di Bassano del Grappa e un
formaggio di quelle parti, salame di campagna e birre che ti stonano la mente e
pizza e cioccolato e rhum ad 80 gradi e chiacchiere che non sono tali ma
dialoghi di esperienze ed intelligenze del vivere.
Grazie vita di farmi esistere.
Domani, torneranno Monica e Lupo. Io ci sarò ad amarli.