“Cercare, e trovare, maestri
che ci svelino nuovi orizzonti e ci indichino nuove possibili strade è segno di
non aver abdicato al pensiero omologato e di preservare curiosità intellettuale
e vitalità esistenziale. Ogni età della vita ne chiede di nuovi per crescere e
rinnovarsi.
“Mai più maestri” si leggeva
nel ’68 sui muri delle università occupate, nobile anticipazione del già
dimenticato “uno vale uno” che nascondeva solo l’analfabetismo funzionale di
pochi.
Ma oggi, esistono ancora i
maestri? Nelle nostre democrazie, che appiattiscono l’alto verso il basso,
sembra esserci posto solo per voltagabbana o influencer. Mancano guide morali
capaci di risvegliare le coscienze, maestri capaci di indicare sentieri da
esplorare alla ricerca non solo di nuove risposte, ma sopratutto di nuove
domande. Senza maestri si è condannati al pensiero unico e ad un mortificante
livellamento culturale. Oggi vi è una domanda di senso e un’esigenza di ethos
che chiamano a gran voce nuove guide, esempi coraggiosi con cui confrontarsi.
Non smettiamo di cercare i
nostri maestri, non smettiamo di vivere”
(P. Iacci)
No, Maestro, no: io prediligo Sensei,
“Colui che è nato prima”.
Nego la “maestria” che è sapere compiuto, definito e
definitivo.
Non fosse altro perché io sono
anche e sempre allievo: “chi viene allevato, con riferimento all’allevare
nel suo significato di fornire educazione e istruzione” (Vocabolario
Treccani). Sono allievo di altri che ne sanno più di me; sono allievo dei miei
stessi allievi, portatori di curiosità, domande e saperi personali che mi
inducono a riflettere, ripensare e dunque a re – imparare; sono allievo degli
incontri e degli accadimenti del vivere quotidiano che sono sempre esperienze
traducibili in sapere marziale, conflittuale, quanto questi ultimi lo sono nel e per il vivere quotidiano; sono
allievo dei miei stessi errori che, come tali e contrariamente al pensiero
comune che li bolla e punisce come “male”, essi, nel loro senso etimologico “L’andar
vagando, peregrinazione, vagabondaggio” (Vocabolario Treccani) raccontano
di un viaggiare tra sbandate e cadute necessario, inevitabile, per imparare
davvero, per prendere la rotta migliore.
Allora prediligo, per me, “Colui
che è nato prima”. Colui che, in quanto “nato prima”, ha vissuto più
e più esperienze; colui che è stato sotto la tempesta ed invece di scappare o
cercare rifugio, ne è rimasto al centro; colui che è già entrato nel bosco e, pur
tra cadute e paure, lo ha attraversato.
Non un sapiente né un grand’uomo, tantomeno un uomo
perfetto, scevro da colpe e malefatte. Tutt’altro!!
Proprio per questo, nelle
Arti Marziali come nel Counseling, con gli allievi delle arti del
combattimento come con i clienti che a me si rivolgono perché li aiuti a
migliorare la qualità della loro vita, io li comprendo.
Li comprendo perché mi sono battuto per davvero, tra
scontri e fughe ed agguati, per davvero ho impugnato quanto ho subìto i
coltelli, i bastoni, le spranghe. Li comprendo perché ho attraversato ogni
manifestazione del “mal di vivere”; ho conosciuto il dolore e l’assenza nelle
relazioni con i genitori, con il partner, con i figli; ho fatto ogni genere di
male ed ogni genere di male ho subito. Ho vissuto e vivo tutt’ora, giù da ogni
piedistallo, facendo ogni giorno esperienza di me, di me essere fisicoemotivo.
Lascio ad altri il titolo di
“Maestro”, anche quando la pratica marziale o la vita quotidiana li smentisce,
li sbugiarda. Li smaschera svelandone ignoranza, bugie, paure, malefatte che
essi nascondono invece di farne strumento di autocritica e crescita. Ah, già,
loro sono Maestri!!
Io mi tengo quello di “Sensei”,
quello di “Nato prima”.
Però condivido l’appello di
Iacci al cercare “Maestri”, perché “Senza maestri si è condannati al
pensiero unico e ad un mortificante livellamento culturale”, e posso
considerami anche io tale almeno nell’accezione di “esempi coraggiosi con
cui confrontarsi”.
Senza la pretesa di alcuna maestria che spetta a ”Chi
conosce pienamente una qualche disciplina così da possederla e da poterla
insegnare” ( Vocabolario Treccani). A chi, insomma si è fermato, si è
seduto su quanto sa illudendosi, sovente in malafede, di “possedere”, mentre
attorno a lui la vita scorre e tutto cambia.