“Tutto il tempo, sì, bisogna allenarsi tutto
il tempo,
ma allora la parola allenamento acquista un nuovo senso.
È sviluppare la coscienza del proprio corpo che diventa l'essenziale dell'allenamento.
Non è soltanto muoversi intensivamente, ripetendo e sudando”
ma allora la parola allenamento acquista un nuovo senso.
È sviluppare la coscienza del proprio corpo che diventa l'essenziale dell'allenamento.
Non è soltanto muoversi intensivamente, ripetendo e sudando”
( K.
Tokitsu )
by KejaBlank |
Il silenzio ed il buio della notte che investono la sala.
Un timido lumicino , qualche schizzo di luce fievole.
Musica e danza, esprimendo di sé al momento. Vicinanza di
corpi, sguardi e respiri.
Spiragli di spazi occupati
da gambe e braccia.
La penombra che nasconde corpi di guerrieri che si
incontrano .. mani sul volto, sul petto,
sul dorso.
Le mani dell’altro, i suo
avambracci, a percorrere il tuo corpo tutto, come curiosi e sfacciati turisti
che infestino una piazza, senza mai andarsene. E quella “piazza” sei tu, è il tuo corpo che viene invaso, toccato,
percorso, violato più e più volte, nel buio della sala.
Il pugno schizza sibilando.
Volto impassibile, sguardo fermo, mentre le nocche del compagno si fanno
sentire sfiorando rapide l’orecchio. Tu, fermo davanti a lui, accogli i colpi
che arrivano: non puoi, non devi, fare niente. Solo sostenere col tuo sguardo
gli occhi del predatore che ti sta di fronte, che ti colpisce forte e rapido mirando
al volto per poi deviare quel paio di centimetri che ti salvano i connotati,
facendo rabbrividire l’orecchio, sfiorato dal colpo.
In coppia, ora, a provare
pugni e calci. Ad esprimere l’arte del contenere, laddove il compagno avanzi
sfrontato a scontrarti, ad invadere il tuo spazio. Capacità di alternare
esplosione di colpi a suadenti movenze che circondano, contengono, soffocano,
l’aggressore.
Il combattimento libero,
libero di percuotere e ritirarsi, schiacciare ed eludere, proiettare al suolo e
divincolarsi, mentre l’ululato dei lupi riempie la sala, accostando richiami
antichi, selvaggi, primitivi al lottare
di uomini e donne che, per un paio d’ore di buio, affondano corpi ed
emozioni nell’arte della caccia e della sopravvivenza.
Ora è Tanshu, la danza del
guerriero. Ognuno sia il cacciatore, il predatore che crede. Ognuno si muova
nel buio della sala cacciando di sé e dei suoi demoni, delle sue debolezze
nascoste e di quelle che mostra, travestite di potere e tracotanza, per non
apparire nudo, per non apparire fragile, di quelle “maschere” e di quei ruoli
che ne imbrigliano la vitalità per rientrare nella norma, nel “copione”
condiviso.
Chissà se qualcuno dei guerrieri di “Stille Nacht” ha
incontrato la sua Ombra, si è
mostrato a sé nella sua nudità inerme.
Chissà se qualcuno si è concesso il dono.
Sì perché, il nostro “laico” modo di intendere il Natale,
di intendere l’arrivo dell’anno nuovo è, nel solco della nostra usuale pratica
marziale, il desiderio di donarsi e
donare.
by KejaBlank |
Un desiderio che si costituisca sulla fertilità delle energie e sulla
possibilità anche di disperderle; un desiderio di vivere appieno la vita accettandone anche i suoi aspetti più
aspri; un desiderio che sappia
travalicare i limiti dei bisogni personali, erigendosi a strada maestra di
relazione nei rapporti intra e inter personali, fino, forse, per alcuni, non
so, alla dimensione del sacro.
Un desidero di dono che si fa capacità reale di donare
come antidoto all’anaffettività ed alla ragione astratta che non
trasforma. Una capacità di donare che consente di affrancarsi dal narcisismo
per aprirsi alla conoscenza dell'altro e del nostro stare al mondo.
Dunque, innanzitutto, un donarsi per comprendersi,
trasformarsi e crescere e, nel contempo, misurare le proprie risorse e scarsità
con le altrui risorse e scarsità. Ed anche un donare di sé agli altri. Sorta di
alienisti sempre “in guardia”. Capaci di esplorare pulsioni e passioni, di
metter mano alla sessualità umana che è scorgere i movimenti pulsionali degli
esseri umani a confronto.
Corpi, emos-azioni, nel buio
e nel silenzio della nostra serata di Kenpo “Stille Nacht”.
Al saluto finale, il mio augurio, coraggioso, spavaldo,
forse anche temerario, eccessivo: “Che
l’anno nuovo non ci porti quel che vogliamo, ma quel che siamo”.
Poi, luci accese e sguardi
che sanno di un mare calmo, le chiacchiere allegre, il brindisi conviviale tra
birra, vino e dolci e panettone.
L’avventura, per i guerrieri dello Z.N.K.R., continua.
“Nulla ci può riscattare nella vita se non la
dimensione del sentimento; se un dio dovrà giudicarci e vorrà perdonarci, lo
farà perché abbiamo molto amato, non perché abbiamo, per esempio, molto pensato”
( A. Carotenuto )
La riflessione di Giovanni sulla serata, la potete
trovare sul suo blog: