martedì 10 dicembre 2013

Jackson Pollock, dentro

Appartengo ad un’altra generazione. Si dice così quando non si è stati testimoni di eventi che hanno cambiato un’epoca. O quando ci si è chiusi nella tranquilla e protettiva borghesia del Nord. Nasci. Studi. Ti fidanzi. Trovi un lavoro. Ti sposi. Fai dei figli, due quasi certamente. Muori. Spesso senza lasciare traccia
(M. Fratter)


Alessandro Baricco, in una delle sue “lezioni”, paventava l’ipotesi che uomini singoli, uomini straordinari, fossero gli esploratori, i messaggeri, i portatori di ogni cambiamento radicale. Per farlo, citava un campione del salto in alto ed una strapagata e strafamosa modella che interruppero, “di botto”, quanto prima, nei loro rispettivi ambienti, era dato per certo, ovvio e scontato.
Chissà se questi uomini ( e donne) straordinari sono messaggeri, interpreti, di un movimento di rottura che cresce e preme alle loro spalle e, attraverso loro, sale finalmente in superficie o sono invece essi stessi gli anticipatori, i “profeti” di un rinnovamento che nasce e cresce e si esprime “ in primis” grazie a loro.
Mah!? Poco  m’importa, al momento. Il momento in cui, con Monica e Lupo, entro a Palazzo Reale per visitare la mostra dedicata a Pollock ed al gruppo degli “irascibili”.
Una visita guidata, perché abbiamo scelto l’opzione che permetterà a Lupo, in gruppo con altri bimbi, di visitare la mostra accompagnati da un’animatrice loro dedicata e che comprende anche lo sperimentare di persona la tecnica pittorica di Pollock.
Insomma, l’esperta che spiega il percorso artistico di Pollock, introduce i bimbi alla lettura delle sue opere e del movimento che, con lui, dipingeva in quegli anni, il tutto inframezzato dalla pratica: tutti insieme, i bambini, a dipingere alla Pollock !!
Percorso assai interessante anche per me: adulto (anzianotto) un po’ bambino sia per l’ignoranza in materia sia per l’attitudine fanciullesca allo stupore ed al gioco.
Animatrice, insomma, promossa a pieni voti.
Bellissimo, per me, vedere, in filmato, Pollock aggirarsi come una belva famelica attorno alla tela posta ai suoi piedi, poi il suo intenso, a tratti ieratico, versare la vernice e danzare gli strumenti più impensabili per coniugare al meglio impeto ed estasi pittorica.
Un artista che della tecnica, per altro assai originale ed in parte mutuata dalle esperienze delle tribù pellerossa, fa strumento per esprimere le proprie emozioni. Emozioni forti, perturbanti. Un invadere, un occupare fisicamente la tela, un viverla dentro, che mi hanno portato ad altre manifestazioni artistiche, tra cui anche il nostro modo di intendere e praticare l’Arte del combattimento.
Un modo eccezionale nei suoi aspetti terapeutici, trasformativi, sempre uniti ad un’efficacia letale. Binomio inscindibile, che solo un ignorantotto e codardo dentro potrebbe non cogliere. Tuttalpiù potrebbe tenersene alla lontana proprio per evitare il conflitto interiore, la lacerazione dentro abbracciando pratiche marziali che altrove ho definito “abbracciare una pratica fatta di sedentarietà emotiva, che si tenga lontana dalla tempesta emozionale, come se questa non esistesse, oppure rivolgersi ad una pratica che sia  di sciocco e superficiale sfogo, sorta di “scarica” fine a sé stessa” (SHIRO. Dicembre 2013 – Gennaio 2014, a disposizione tra breve).
Ma il percorso di un uomo che voglia sapere chi è, cosa ci fa al mondo e come col mondo si relaziona, non può muoversi dentro né l’una né l’altra ipotesi che ho testé citato: che si occupi di Arte del combattimento o di pittura o di danza. Che sia individuo “straordinario” e famoso come Bruce Lee, Jakson Pollock, Steve Paxton, Trisha Brown, Herns Duplan, solo per citare alcuni degli “uomini straordinari” del ‘900 che hanno praticato Arte, o sia uno sconosciuto ed incerto eretico dell’arte, di ogni arte che si conosca.
Sono contento per Lupo: si è appassionato, si è divertito, è stata l’ennesima occasione per esprimere la sua curiosità ed il suo talento artistico. Poco mi importa se dipinge “bene”, se canta “bene”, se recita “bene”, se danza “bene”. Molto m’importa che dipinga, reciti, canti, danzi esprimendo quel che ha dentro. Quel che ha dentro di autentico, ovvero authentikòs, authèntes = “fatto da sé”. Un agire che si auto – origina, qualcosa di profondo, di originale, dunque di unico, che nasce e si esprime dalle profondità del Sé.
Primi, piccoli passi per crescere.
La visita guidata è finita, lasciamo mamme e bambini ( al solito: e i padri dov’erano ? ) e ci tuffiamo nella Milano che sa di Natale.


In fin dei conti, praticare un’arte marziale è esprimere onestamente se stessi
(M° Yamazaki Ansai)

L’artista moderno lavora per esprimere un mondo interiore; in altri termini: esprime il movimento, l’energia ed altre forze interiori
(J. Pollock)







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