“Coloro
cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare
nulla, tranne la tecnica”
(Gregory
Bateson)
“Coloro
cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare
nulla, tranne la tecnica”
(Gregory
Bateson)
Una pratica che scopre l’ineccepibile verità del corpo e
della corporeità come strumento fondamentale attraverso cui l’esistenza
dispiega le proprie possibilità in relazione a sé stessi e all’ambiente in cui
viviamo. Come ho scritto più volte, ogni postura, ogni gesto mostra il nostro
personale modo di stare al mondo, il nostro personale modo di relazionarci con
le diverse sfumature che ci compongono quanto con la personalità e il carattere
di chi ci sta accanto nel lavoro, a scuola, in famiglia, in tutte le relazioni
sociali.
D’altronde
il corpo è il luogo ove si realizza ogni
tipo di apprendimento,
ogni
tipo di comunicazione.
Ancora impera, è senso comune, il pensiero cartesiano mente – corpo (siamo ancor in pochi a leggere il vivere come corpo – mondo) e lo si nota nell’uso di massa del corpo Korper, oggetto da plasmare e modificare a piacimento e non corpo Leib, corpo vissuto, corpo abitato; uso di massa non solo nelle pratiche ginniche, sportive e, ahimè, marziali, ma anche in quella che è chiamata “vetrinizzazione” (1) dell’individuo e di cui ho già scritto in altri post.
Piano piano, però, si va facendo strada il “Sento dunque
sono” (V. Bizzari, filosofa, si occupa di disordini dell’intersoggettività,
combinando fenomenologia e psicopatologia.) o ancora “Pensare in termini di
movimento” (R. Laban), “Noi siamo emozioni in movimento” (T.
Santambrogio): Io sono questo corpo, essere fisicoemotivo, che ha imparato
dalla propria personale storia a tenere un certo stile relazionale verso se
stesso e verso gli altri. (2)
Conoscere,
migliorare, mutare, questo nostro personale modo di stare al mondo è possibile
lavorando a partire e con il nostro essere corpo.
Qualsiasi altra strada che sia
logocentrica è destinata a fallire. A parte che anche ogni intervento
logocentrico, mentale, in realtà non prescinde MAI dal corpo, con l’aggravante
che, pur investendo il sé corpo, non ne è consapevole: Usa il cervello, che è
corpo, la lingua, che è corpo, le orecchie con l’udito che è corpo ecc.
E la
pratica delle Arti Marziali?
Noi Spirito Ribelle
sappiamo e proponiamo “la forza che si espande” (peng) e “la cedevolezza che
attrae (lu) come espressione del nostro
personale sostegno, del nostro personale stare più o meno bene in una
situazione critica di confronto e scontro; il cadere al suolo (ukemi), come
disponibilità a lasciarsi andare accettando la momentanea perdita di controllo e
il rovesciamento di ogni nostra abitudine e certezza quanto la capacità di
ridurre il danno; la strategia difensiva mukae come capacità di assorbimento di
ogni possibile intrusione per ridurne l’impatto e come momentanea perdita per
poi guadagnare. Ogni nostro “fare” corporeo, marziale, è terreno di pratica e
ricerca di sé, mai “tecnica” a sé stante.
Ecco perché praticare Spirito
Ribelle è fare della gestualità a solo e poi nel corpo a corpo autentica ed
efficace pratica di difesa personale intesa non solo come capacità di
reggere un’aggressione fisica, ma anche e soprattutto una Via (Do) verso la
salute fisicoemotiva e lo stare bene, stare meglio, con se stessi e con gli
altri in ogni ambito della nostra vita quotidiana.
Mica poco!!
1. Con “vetrinizzazione sociale” si intende un fenomeno
sociale caratterizzato dalla spettacolarizzazione di sé stessi, della propria
vita e di tutto ciò che è ad essa relativo.
2. Le stesse scienze cognitive stanno abbandonando l’idea del
corpo come periferico per abbracciare, invece: “"Il paradigma della
cognizione incorporata enfatizza il ruolo delle possibilità d’interazione con
l’ambiente associate al possesso di sistemi percettivi e di abilità motorie.
Ciò conduce i sostenitori di questa visione a sostenere che la definizione di
processi come la percezione, il ragionamento e il linguaggio dipendono, da un
punto di vista ontologico ed epistemico, da proprietà corporee collocabili al
di là dei confini stabiliti dal sistema nervoso. Oltre a essere una tesi
teorica, il paradigma della cognizione incorporata fa riferimento a numerose
evidenze empiriche. Studi sperimentali mostrano il sussistere di una dipendenza
tra il possesso di particolari abilità cognitive da parte di un agente e le
caratteristiche morfologiche e dinamiche del suo corpo, suggerendo nuovi modi
di concettualizzare ed esplorare la natura dei sistemi cognitivi."(Cit.
S. Zipoli Caiani in https://www.pensierocritico.eu/intelligenza-incarnata.html)
“Aprite le porte dell’immaginazione” ci esortava
Micaela, la mia docente di Laban Movement Analisys. La sento parlare, la sento
esprimersi e mi sembra me; un me femminile, certo più educato, meno volgare,
meno carnale nelle sue espressioni, ma altrettanto esposto alle pulsioni, alle
emozioni che danzano avvinghiate ad un corpo esperito, corpo abitato.
Quel “consumo senza uso” che si nutre di macroscopica
proliferazione di oggetti la cui conseguenza è una crescente indifferenza nei
loro confronti; quel diffuso narcisismo che porta ad ostentare, a
“vetrinizzare” oggetti cose, e oggetti che sono corpo / persone.
Pratico di spada, tagliente,
affilata, nel cuore della notte, solo in questa mia piccola dimora, musica
blues di sottofondo, Kalì a dormire e sognare rumorosa nella cuccia. Monica via
per giorni, Lupo via dal mattino rientrerà per mezzanotte.
Mi pare che ogni taglio, ogni falciata, rispecchi il vivere
che è crocevia di abitudini e sorprese. Il vivere ha senso se ha sempre con sé
l’aspettativa di una conferma quanto di un evento inaspettato. Così nei tagli e
nelle falciate che sibilano per la stanza vuota, vive sempre un gioco di
presenze ed assenze, un tessuto di fregi e sfregi.
Yakiire, la tempra dell’acciaio, ne è il cuore? Lo scorrere
del tempo è il cuore del vivere? Compresso tra la consapevolezza che, a 72
anni, il tempo che resta è nettamente inferiore a quello che ho alle spalle, e la
certezza che il tempo trascorso non ha dissipato equivoci e dubbi.
“L’erba non è piena di cose, è un filo, un filo che
conquista il mondo con la sua semplicità” (F. Arminio “La cura dello
sguardo”), e i tagli nel vuoto caldo, tra sofferte note di chitarra elettrica e
luci opache ad accarezzare mobili antichi la cui storia è passata tra terre
d’Asia, si fanno stanchi, flebili.
Depongo il katana, unico, forgiato da un Maestro a cui un
incidente ha ormai da anni tolto la possibilità di replicare le sue opere. Sudo
appena sotto il keikogi. Batte il cuore. Riposano, finalmente, i tormenti ed i
fantasmi dell’anima.
Passione in ogni momento Spirito
Ribelle, da solo o in gruppo, all’aperto, in Dojo o semplicemente a casa, a
mani nude o a mano armata. “Passione Botte e Sorrisi”, così ci presentiamo.
Avanti a chi abbia la voglia di condividere. Avanti.
Dalle ceneri dello ZNKR (1980 – 2017), nasce lo Spirito Ribelle
Da una Scuola che era:
Comunità come luogo fisico e
luogo di cultura condivisa. Casa sempre aperta a tutti i praticanti (chiavi
d’ingresso del locale a disposizione di tutti) e per tutte le esigenze e le
occupazioni (non solo allenamenti a tutte le ore, ma anche luogo di riposo, di
preparazione agli esami universitari, di rifugio notturno in situazioni
delicate di famiglia, di intimità di coppia, di feste di compleanno, ecc.).
Struttura articolata capace di proporsi ovunque, in autonomia o in
collaborazione con Enti Pubblici, circoli culturali privati, università,
federazioni sportive, ecc. e investendo campi diversi come: La pratica sportiva
agonista (Karate, Yoseikan Budo e diversi sport da contatto). Il coinvolgimento
di ragazzi ed adolescenti in difficoltà e grave difficoltà psichica o sociale
come di adulti in difficoltà. Le più diverse espressioni artistiche ed
artigianali (teatro, musica, sartoria, costruzione di maschere) condensate
negli spettacoli autoprodotti di Teatro Marziale,
ad un minuscolo gruppo di
“ribelli”.
Spirito Ribelle non ha sede fisica ma vive costantemente o quasi all’aperto. La scarsezza numerica dei praticanti impedisce, di fatto, iniziative fuori dal corso “Mani nude ed armi povere” e dai Seminari di Kenshindo.
La stanchezza fisica, ma forse
di più quella emotiva, dei praticanti, rende fragile ed incerto anche solo
ipotizzarne la durata nel tempo.
Il piacere, quello esperito, quello realizzato, e il desiderio, quello che si origina nell’immaginario, hanno bisogno l’uno dell’altro. Quando questo non avviene, quando questa società stimola il nostro desiderio con continue lusinghe di piacere senza mai lasciarci né la possibilità materiale né il tempo di fruirne, perché il succedersi repentino degli “oggetti del desiderio” vanifica ogni nostro sforzo costringendoci nel ciclo infinito di competizione, accumulo e desiderio, lì attecchisce il disagio. (1)
Un ciclo alienante in cui gioca un ruolo importante anche la ricerca di un senso al nostro vivere; senso che ci è facile trovare nel lavoro, nel lavorare (2). Non a caso chi non lavora è socialmente considerato “down”, anche quando è un pensionato, uno che ha alle spalle una vita di lavoro: “Sì ma ora non sei più produttivo, hai solo tempo, tempo da sprecare”. Per non parlare di chi fa del lavoro un mezzo di dignitosa facoltà di vita e non uno stressante obbligo, un vanto nella propria cerchia sociale, un distintivo segno di importanza. Ambedue, chi in pensione e chi non affoga negli impegni di lavoro, sono additati al pubblico ludibrio, “devono” sentirsi fuori luogo. (3)Allora tocca ad una buona e sana pratica di corpo, di
movimento, permettere all’individuo di sottrarsi a questo subdolo veleno, di
disertare la cultura dominante fatta di bulimia nell’accaparrare, di consumo
senza uso, consumo ostentativo (4), di obbligo a faticare per ottenere
dal mondo quello che ci serve, o meglio, ci fanno credere ci serva e che poi si
mostra caduco, sostituito subito da altro oggetto.
Una buona pratica che
superi la mancanza di percezione del corpo, ridotto a cosa (Korper), dove al
centro non ci sia più la mente, col corpo costretto ad adattarsi alle sue
astrazioni, ma ci sia un individuo Leib, corpo esperito, abitato, consapevole
di essere individuo proprio perché corpo.
Una buona pratica è un
viaggio di apprendimento coinvolgente e non solo una raccolta di informazioni
gestuali. E’ un percorso di consapevolezza motoria che, “col” e “nel” fare, incontra
l’ascolto delle pause e degli intervalli, consentendo a varchi di silenzio di aprirsi
per portare “parole” di corpo del tutto nuove ed inaspettate.
Una buona pratica ci apre
il contatto profondo con noi stessi e con l’ambiente intorno, in una relazione dinamica
con il reale fatta di eventi concreti e persone e incontri.
Questa buona pratica, io l’ho trovata nelle Arti
Marziali così come da me interpretate e proposte allo Spirito Ribelle
Un modo del tutto avverso alla massificazione imperante: Piccoli o grandi
supermercati di generiche tecniche ripetute e copiate. Nelle Arti Marziali
che sono terreno di incontro e scontro fisicoemotivo (5), di carne in
movimento, da cui nasce l’individuo vitale ed erotico: Il
guerriero del terzo millennio.
1. https://www.instagram.com/cosebrutteimpaginatebelle/; https://www.instagram.com/agenziastanca/; ecco
due voci interessanti e dissacranti.
2. “La gente non si ammazza di lavoro soltanto perché vuole
guadagnare di più: questo comportamento nasconde, più in fondo, l’ansia di
produrre senso, di giustificare in qualche modo la propria vita sulla Terra”
(Colamedici & Gancitano “Ma chi me lo fa fare? – Come il lavoro ci ha
illuso: la fine dell’incantesimo”)
3. “Il lavoro si trasforma, in questi casi sempre
più diffusi, in una fede religiosa, perché promette identità, trascendenza e
comunità. Identità, perché produce una mission e ti dice chi sei, cosa vuoi,
quali obiettivi devi avere nella vita; trascendenza, perché ti connette con una
vision capace di dare senso (o più spesso offrirne l’illusione); comunità,
perché genera un parco fedeli con cui condividere ed espandere il proprio trust
e rinsaldare la relazione tossica” (ibid)
4. “Si tratta, quindi, di un “consumo vistoso” non guidato
da obiettivi “utilitaristicorazionali” bensì da motivazioni sociologiche quali
l’ostentazione di uno stile di vita agiato, il riconoscimento di uno status
sociale desiderato o un comportamento meramente emulativo che risponde a
bisogni fittizi di appagamento personale e realizzazione sociale.” (F.
Scudo. Tesi di laurea Anno Accademico 2017/2018)
5. “Tutti hanno un piano fintanto che non prendono
un pugno in faccia”. (M. Tyson)
Occorre stare attenti a quello che il me – corpo mi
sussurra. Cura delle sue parole, che sono legamenti e muscoli e articolazioni
in movimento, dosarle e differenziarle per poi di nuovo amalgamarle insieme.
Sono parole di soavità e potenza che mi scorrono dentro, a volte forti altre
discrete, e le sento fin giù nel ventre, cuore disposto ad ascoltarle, sempre.
Il flusso dei gesti, che so
associato al sentire emozionandosi, danza e strappa tra movenze libere,
che sanno di abbandono, e movenze trattenute, come impedite. In essi vanta il
suo potere il tempo, che è intuire, ora dilatato ora accelerato (1)
Più che aggiungere e sforzarmi, sento che ho da prestare
delicata attenzione a quel che scorre, a quel che cade e a come non affaticarmi
là dove ho da sostenere.
Praticare corpo bene, entrare nel benessere e persino nel bellessere (2) significa togliere, come scriveva Bruce Lee tradito nei suoi insegnamenti dal business delle Scuole e dei Maestri che accumulano tecniche e tecniche, e come a suo modo ci ammonisce quel solitario e irriverente “diverso” di Mauro Corona; significa rallentare lasciando spazio alla vulnerabilità, alla forza gentile delle emozioni.
Ora, appoggiato pesantemente al
muro, corpo rilasciato, avverto come lasciarmi rimbalzare indietro. Freno la
mia irruenza che testimonia di come io viva i distacchi, le separazioni, sempre
come atti bruschi e carichi di pesanti emozioni, e cerco la strada del corpo
che si ripiega, si arrotola su se stesso: Non facile per me.
Poi sperimento anche la presa decisionale che è “onda in
avanti” e mi fa respingere attivamente, mondo capovolto e destrutturazione
dell’altro, poi il “lasciare”, un sottile e infido “tirare” che è l’esatto
opposto di “premere”, di “spingere”. Pratiche di Push Hands, di Suishou del
Taiki Ken alla ribalta, totalmente rivisitate.
Nel proprio spazio personale,
che è spazio di contatto e conflitto con l’ambiente e l’altro, gioco di
attraversamenti diretti, lineari, di esplorazioni periferiche, a disegnare
contorni sempre mutevoli, infine di gesti trasversali, che sono sinuosi, a
intrecciarsi e sciogliersi senza sosta alcuna. Nella forma di Tai Chi Chuan
quali e quanti di questi? Che senso vogliono esprimere?
Mi stupisco sempre nello scoprire che il centro del mondo
non è dove me lo aspetto ma qui accanto, tra anfratti e distese secondari, dove
non mi aspetto nulla e trovo tanto, trovo di tutto.
Probabilmente poco importa se
la scelta sia giusta o sbagliata; anzi, non esiste “giusto o sbagliato”, esiste
un ininterrotto sbalordirsi di chi e come sono, di come ogni errare, ogni Musha
Shugyo (il cammino del guerriero fatto di prove e verifiche), sia l’essenza del
praticare, del vivere.
2. Secondo Enzo Spaltro (medico e psicologo), il
benessere dipende dalla capacità e dalla possibilità di esprimersi nei vari
contesti della nostra vita e, in fondo, il Bellessere è la convinzione di
realizzare in futuro un benessere. Il “cuore” delle Arti Marziali.
Sussulti di movimento e gesti che vanno a scemare, mentre lo spazio intorno pare restringersi dentro una goccia d’acqua. Limpida e trasparente, quest’ultima fatica a trattenere il residuo fluire di me – corpo in azione.
Ho passeggiato su cerchi infiniti del Pa Kwa, avvoltolandomi
dentro spire e spirali, dentro domande di destino dalle risposte così numerose
da sembrare chicchi di un rosario del tempo. Sono entrato nel corpo di drago
che danza la forma Tai Chi Chuan, nascondendo pugni e calci e leve articolari
sotto il mantello della delicatezza.
Quanto influiscono nella mia trans-forma questi mesi di
assiduo studio su principi e gesti che si devono ad artisti e ricercatori del
corpo e del movimento che nulla hanno a che vedere con le Arti Marziali?
Mi scopro a riflettere che la corposa teoria (e pratica)
sul movimento di Rudolf Laban, generalmente noto per il suo lavoro di danzatore
e coreografo, a onor del vero nasce da una ricerca nel mondo del lavoro.
Ricerca tesa ad ottimizzare le prestazioni dei lavoratori prendendo in
considerazione non solo “i fattori di tempo e velocità del movimento
operaio, piuttosto che favorire l’apprezzamento e la consapevolezza del
movimento. Grazie a questi studi entrambi (Laban e Lawrence) cominciano
a considerare, in aggiunta al fattore tempo, altri elementi che sono necessari
per la manipolazione dei materiali e l’uso degli strumenti e cioè il flusso o
il grado di controllo, la forza o i diversi gradi di pressione da esercitare
sugli oggetti e il percorso rettilineo o flessibile che si richiede al
movimento durante il lavoro” (F. Falcone). Questo avvien prima per indagare
su metodi di lavoro che alleggeriscono dalla fatica le raccoglitrici di
ciliegie; poi, dal 1941 al 1946, applicano le loro sperimentazioni a diversi
operai inglesi, a partire dalle metodiche di incartamento manuale delle
tavolette di cioccolato Mars sino alle operazioni di funzionamento delle gru e
delle macchine di carico e scarico nel porto del canale di Manchester. Facile,
dunque, che la dura realtà della produzione, della ricerca dell’efficacia ed
efficienza nel lavoro, abbia una diretta ed immediata corrispondenza con
efficacia ed efficienza nel combattimento, dove la posta in gioco è la vita
mia per la morte tua.
D’altronde, nello scontrarsi con un avversario,
l’immediatezza, la tempestività sono fondamentali, sono i veri Hon
(fondamentali) per sopravvivere. L’importanza del fattore tempo è relazionata
alla facoltà cognitiva dell’intuire. Il colore interiore consono a
questo fattore di moto è relativo al momento della decisione che si esprime con
un’azione che deve essere presa improvvisamente. Altro che “intenzione”.
E qui torno alle mie esperienze di Chi Kung e Kiko, ai
gesti Iron Shirt, la “camicia di ferro”, agli esoterici giochi dell’Healing
Tao, alle pratiche di costruzione di un corpo sano, flessibile, potente. E
praticare di corpo, corpo Leib, è praticare di emozioni e personalità
che agisce; è svelare l’orientamento dell’uomo nel suo mondo interiore, dal
quale sgorgano continuamente impulsi che trovano uno sbocco nell’agire, nell’essere
al mondo trasformandolo e venendone trasformati.
Ancora Nami, il movimento ad
onda che ci caratterizza, noi Spirito Ribelle. Un’onda che non solo
nasce dal basso e si propaga avvolgendo le articolazioni tutte, ma, novità
assoluta che scoprii da solo una decina di anni or sono, può nascere “tirando”
invece che “spingendo”, dall’alto invece che dal basso. Fluida potenza esplosiva
in cui intervengono, splendido suggerimento dell’embriologia del Body Mind
Centering, le torsioni delle articolazioni stesse, portando così ulteriore potere
e penetrazione a colpi e pressioni.
Sogno di corpi fluttuanti,
capaci di piegare resistenze e forza di gravità alla libertà del movimento
umano. Nonostante la temperatura autunnale, l’umidità di un inverno alle porte,
i miei piedi mi portano ancora nel mondo marziale come se attorno ci fosse il
vuoto a proteggermi. Ancora pochi minuti in cui attraversare lo spazio poi,
cuore che batte profondo, è il tempo della “Respirazione testicolare” a sondare
ed espandere energia vitale, energia erotica.
Sì, che palle con queste esternazioni ed elucubrazioni, con questi saccenti “pistolotti” sull’importanza dell’educazione per prevenire gli atti violenti o i comportamenti devianti, sulla violenza e l’aggressività come male da estirpare nella mente e nella coscienza degli individui.
Poi, nei salotti televisivi, politici, giornalisti,
intellettuali danno quotidianamente spettacolo di violenza, prevaricazione,
maleducazione: urlano l’uno contro l’altro, alzano la voce interrompendo
l’interlocutore e gli scrivono cartelli offensivi mostrandoli alle telecamere.
Non di meno si comportano gli stessi politici, in camera o senato come nelle
sedi istituzionali di regioni e comuni, arrivando anche a mettersi le mani
addosso. (1)Un K.O. alla violenza sulle donne di G. Mattu
Se da un lato questi spettacoli grotteschi consentono al
potere di restare tale inducendo gli spettatori a prendere le distanze da un
simile mondo, dunque annichilendo ogni voglia di partecipare alla vita
pubblica, anche solo di votare, dall’altro sono essi stessi portatori e
seminatori di violenza e prevaricazione; inducono e incoraggiano a riprodurre
quegli stessi atteggiamenti nella vita quotidiana di ogni singolo; giustificano
l’uso della violenza e della prevaricazione. Salvo poi censurarli in un cortocircuito
schizofrenico di cui chissà se si rendono conto.
I dati Eurispes del 2022 (2) e quelli ISTAT sui
crimini violenti come pure quelli di Federfarma sull’abuso di psicofarmaci, quelli
inquietanti sulla crescita della ludopatia e sul consumo di alcool, stanno a
testimoniare lo stato di malessere e violenza che alberga nella società e non
cessa, anzi, cresce!!La punizione di Marsyas di T. Vecellio
“Un
secondo importante ambito di esacerbazione della violenza riguarda invece la
zona grigia delle lesioni personali – dai furti violenti alle estorsioni, dalla
gelosia (non solo sentimentale, ma anche in famiglia, tra compagni di lavoro o
tra amici) alle aggressioni per futili motivi, dalle risse al bar o in
discoteca ai litigi tra vicini e automobilisti per precedenze o parcheggi
“rubati”. (Educazione e violenza: parliamone. Alcuni elefanti nella
stanza in ‘Charta Sporca’ Settembre 2023).
Violenza e aggressività sono
marchiate come “il male”, qualcosa di estraneo ad esseri umani che si reputino normali
ed equilibrati, una nefasta macchia da sbiancare, da cancellare dal lindo
corredo dell’uomo buono. Come se Freud e chi è venuto dopo di lui, non avessero
spiegato niente; come se gli studiosi di polemologia non avessero ampiamente
messo in risalto natura e funzioni della guerra e della violenza, che piaccia o
meno, che disturbi o meno, le “anime belle” le quali pontificano dall’altro del
loro potere politico o mediatico.
Il corpus delle pulsioni umane non può né essere negato né
essere cancellato: troverà sempre il modo di sfogarsi. Allora la questione è
riconoscerle, accettarle e “sfogarle” in modo consapevole, indirizzarle, fin
dove possibile, verso scopi socialmente accettati quando non utili.
Chi è al potere lo sa, tanto da
offrirne sfogo e sublimazione in campi che non disturbino più di tanto il
mantenimento dello “status quo” o addirittura convergano sul suo rafforzamento,
in un pericoloso miscuglio di spinte dove convivono la vetrinizzazione e il
narcisismo estetico di corpi ridotti ad oggetti; la bulimia di cose ed oggetti
da comprare, da esibire; la pornografia dei sentimenti esposti in pubblico
ovunque; gli eccessi e l’illegalità coperti e tollerati nei ranghi degli ultras
sportivi; la censura del gioco illegale mentre lo Stato guadagna su quello
legale mietendo migliaia di vittime affette da ludopatia; la spinta a fare del
lavoro il principale se non unico ambito di realizzazione personale (3),
ecc.
L'uomo di latta con Dorothy di A- Siviglia |
Già educare, nel suo significato di “condurre fuori”, mi
pare vocabolo fuorviante: stabilisce un’autorità neutra, incontaminata, che
“conduce fuori” l’altro, chi è subalterno, chi giace nell’ignoranza. Visione
rachitica, claudicante. Visione che esclude un qualsiasi coinvolgimento dei
soggetti “alti”, educatori, nella relazione; di più, esclude che i presunti non
– valori degli educati non coinvolgano gli educatori medesimi: Il che, come
scritto sopra, è ampiamente smentito dalla realtà.
Rapportarsi alla violenza, all’aggressività, ad ogni
comportamento considerato deviante, significa invece che nessuno può ritenersi
estraneo alla contaminazione; significa anche riconoscere che violenza,
aggressività e comportamenti devianti, sono intrinsecamente connessi alle
pulsioni e alle istituzioni umane.
Personalmente, credo che si
dovrebbe parlare ed operare in termini di formazione, che è un percorso
che vede il soggetto stesso come attore principale.
Già Lev Tolstoj, in un articolo del 1862 sulla rivista “
Jasnaia Poljana” scriveva: “La differenza tra il concetto di educazione e il
concetto di formazione culturale risiede solo nell'imposizione, che
l'educazione si crede in diritto di esercitare. L'educazione è la formazione
imposta”.
Oggi ci è ancora più chiaro che perché abbia probabilità di
essere efficace, ogni processo di crescita ha alla base l’affermazione che lavoro
molto meglio se sono io a volerlo fare, non se devo farlo; che se lo voglio
fare, è per me; se lo devo fare è per altri. Perché “La nostra motivazione interiore
dipende dalla libertà di scelta” (J. Whitmore “Coaching”).Il silenzio della violenza di G. Alberici
Tutto ciò stronca ogni assunto che l’educando sia
fondamentalmente un passivo ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si
origina lo stimolo è importantissimo, e che l’educando non abbia altra scelta
se non sforzarsi di capire lo stimolo così come esso è.
Personalmente, nel mio piccolo
e data la mia, pur modesta, esperienza politica condotta per sola passione
prima e poi professionalizzata che mi ha fatto schifare di quel mondo, nel
1980, con alcuni compagni di viaggio, fondai un gruppo in cui la cultura
della partecipazione e della condivisione fosse egemone, e la storia più
che trentennale dello ZNKR lo sta a dimostrare (4). Un gruppo in
cui fosse decisivo il processo di conoscenza e trasformazione personale, e
chissà mai che avesse ragione Margaret Mead, antropologa, nello scrivere “Non
dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e impegnati possa
cambiare il mondo. In effetti, è l’unica cosa che è sempre accaduta.”
Lo feci puntando su una pratica di formazione corporea,
fisicoemotiva, marziale in particolare, perché convinto, con la psicologa
Vasudevi Reddy, che “La mente è ciò che il corpo fa”.
Mi sono dedicato alla diffusione di un linguaggio corporeo
che assume violenza ed aggressività come codice di condotta in un
contesto “protetto” dove ogni praticante, a partire da me, possa riconoscere ed
accettare le sue pulsioni, scoprendo l’importanza della collaborazione quanto
l’assumersi la responsabilità tragica di tagliare di netto tale collaborazione,
fino a tagliare di netto l’altro da sé. Conscio che ogni altro è,
volente o meno, una parte di noi, che la preda che andiamo cacciando
siamo noi.
Per questo, lo Spirito Ribelle, nato dalle ceneri dello ZNKR, le Arti Marziali tra Bujutsu (la pratica efferata dell’uccidere per non essere uccisi) e Do (la “Via”, il codice di condotta morale). Ovvero un piccolo clan di uomini e donne che cercano di sé e del proprio miglioramento. Una minuscola sfida al pensiero dominante.
Cupid di G. Sciuto |
1. Per tacere della sistematica violenza e prevaricazione che sta nelle decisioni delle istituzioni, del sistema bancario, delle multinazionali, ecc. Quelle decisioni che spesso si scopre essere corrotte e delinquenti, ma certo non sono meno esecrabili quelle che usano “legalmente” il loro potere per soggiogare e violentare classi, ceti ed individui più deboli.
2. Rispetto al 2021 l’aumento dei reati nel 2022 ha
riguardato, in particolare, i furti (+17,3%), le estorsioni (+14,4%), le rapine
(+14,2%), le violenze sessuali (+10,9%), la ricettazione (+7,4%), i
danneggiamenti (+2,9%) e le lesioni dolose (+1,4%) (fonte Ministero
dell’Interno – Eurispes).
3. “Oggi non possiamo chiedere al lavoro di
offrire tutto il senso della vita. Non possiamo pretendere che definisca
appieno la nostra identità, perché siamo complessi, mutevoli e abbiamo bisogno
di strumenti molteplici per esprimere ciò che siamo”
(Colamedici e Gancitano “Chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la
fine dell’incantesimo”. Chi interessato, troverà una mia recensione su questo
blog)
4. Sul blog, come negli archivi cartacei e digitali della
nostra rivista SHIRO, trovate la storia e le storie di questa splendida
piccola comunità. Ancor più, sono convinto, ne restino tracce indelebili nella
storia personale di ognuno dei praticanti, di ognuno di coloro che, per mesi o
per anni, quella storia ha attraversato.
Magari il percorso corporeo, di consapevolezza corporea è in realtà la fine e non l’inizio del “percorso”, come potrebbe sembrare.
Magari, all’improvviso, si affacciano al praticante delle forze misteriose, sorta di fata morgana del deserto, un’ombra scaraventata da un piccolo evento.In queste settimane, autunno
che si fa avanti prepotente, il mio “sentire” è un campo di battaglia impegnato
a respingere i ricordi petulanti e intrusivi di certezze passate. Questa quasi
ossessione è certo una distrazione, mi protegge dal pensare, dall’ascoltare
qualcos’altro. Ma cosa? Senza questi ricordi, cosa entrerebbe dentro di me –
corpo?
Sono movimenti di leggerezze e pesantezza, di fluidità e contratture.
Imparo e reimparo di nuovo che i
nostri sensi esistono solo come potenzialità e successivamente si evolvono in
risposta a stimoli ed esperienze. La percezione tattile e il senso del
movimento sono allocati in ogni cellula del corpo. È attraverso i sensi che
riceviamo informazioni dal nostro ambiente interno, noi stessi, e da quello
esterno, gli altri e l’ambiente in cui viviamo.
Il modo in cui distilliamo, modifichiamo, stravolgiamo,
accettiamo, respingiamo e utilizziamo tali informazioni fa parte della
percezione. La percezione è un’esperienza totale. E’ un processo fisicoemotivo
di interpretazione delle informazioni basato sulle esperienze passate, sulle
circostanze presenti e sulle aspettative future.
Poi c’è la sfida di saper
trasferire quello che incontro ed imparo in questi seminari nel mondo fuori da questi
gruppi, fuori da queste mura.
Comincio a dare poca importanza a come le cose siano,
quanto piuttosto a essere in uno stato di stupore per il fatto che le cose
siano, esistano. Mi muovo da solo, in coppia, nel gruppo; trovo le distanze, le
separazioni che si sono cristallizzate nel sospiro in cui ha fatto irruzione la
chiusura. Riesco a sentirmi, a diventare completamente vivo e ad aprire il
getto della mia energia a pieno volume. Gioco, danzo, fluttuo, a volte stregone
altre bambino, a volte guerriero altre amante. Muscoli del corpo rilasciati e
rapidi, per quanto consente l’età, certo.
Ogni pensiero disordinato che mi distrae e mi disturba si
presenta come sintomo dello squilibrio con il mio ambiente abituale; se la
mente resiste allo scorrere della vita, sorgono i pensieri dissonanti,
infidi.
Ormai da decenni ho appreso che
per sapere chi si è, occorre sapere cosa si sente, ed ognuno è il suo
personale, non omologabile, corpo senziente.
Tanto più siamo noi - corpo, più siamo a contatto con la
realtà, perché è solo la percezione del nostro corpo l’unico modo di farci
esistere nel mondo. Là dove è intralciata, quando non interrotta, questa
unità esistenziale tra il sé e il corpo, si manifesta il germe della nevrosi,
del cosiddetto “mal di vivere” e le sue espressioni più disturbanti e malsane.
Si tratta di imparare il potere magico ed ipnotico
dell’arte del corpo, del movimento, e con essa raccontare storie; quelle storie
che non si possono insegnare, si possono solo sentire in noi, nella nostra
interiorità e nella nostra immaginazione più profonda e poi condividere tra
gesti e respiri e balzi e scarti e avvitamenti.
Ogni esistenza è traboccante di silenzi e misteri, di
nascondimenti ed occultamenti, dove si gioca la dicotomia tra vita interiore,
emozioni autenticamente provate, e vita esteriore.
Ecco, tra momenti intensi di
Danzaterapia nel gruppo condotto da Arianna e Marina, incontri
sul terreno flessibile del Laban Movement Analysis, esplorazioni accurate di
Body Mind Centering, dallo sfondo emerge in figura prepotente il carro delle
Arti Marziali. Volteggi ed avvitamenti dell’esoterico Pa Kwa, figure sinuose
del Tai Chi Chuan, letali assalti del primitivo Taiki Ken, contatto estremo,
invadente del Kali filippino, corpo energetico e possente del Chi Kung… lo Spirito
Ribelle sale alla ribalta.
Tutto ciò ora lo metto al servizio del mio percorso
marziale, al servizio dei miei compagni di viaggio verso Poteri Potenti.
Da subito.
PS) Mostra di Rodin, al
Mudec. Le sculture avvolgenti, flessuose e potenti insieme, richiamano
apertamente il danzare ed il suo linguaggio. Anni or sono lessi di Isadora
Duncan e di come fu spartiacque tra danza classica e danza moderna; lessi
degli esercizi tecnici come “mezzi e non un fine” (R. Garaudy “Danzare
la vita”); lessi del suo ispirarsi ai fenomeni naturali quali onde e vento e nuvole.
Qui, in queste sculture, emerge chiaramente come l’incontro tra lei e Rodin
abbia fortemente influenzato lo scultore e le sue opere. Sugli schermi, poi,
scorrono le immagini di coreografi a loro volta ispiratisi a Rodin. Tra loro,
vedo Anna Halprin e le sue performance. Qualche attimo di commozione
ricordando, molti anni addietro, quando con lei entrai in contatto, lo scambio
di parole e di materiale didattico, i miei primi faticosi passi in un mondo di
corpo e movimento che non era il mio. Sono proprio contento di aver proseguito
e di fare del mio percorso marziale terreno di semina anche del patrimonio
corporeo che va sotto il nome di “danza”.