giovedì 27 giugno 2024

Mai senza l’altro

Il tempo incerto alterna scrosci d’acqua a macchie di cielo azzurro e ci si mette pure lo sciopero dei conducenti ATM (sacrosanto, viste le condizioni di lavoro in cui ATM, di proprietà del comune di Milano, tiene quei lavoratori: Vai Sala e PD, sempre in linea con l’adesione allo sfruttamento dell’homo faber e ad una sfrenata pragmaticità capitalista!!).

Eppure Monica ed io siamo puntuali al Castello Sforzesco,

Festival della bellezza

per una serata in due tempi: il primo con Massimo Recalcati, psicoanalista di formazione lacaniana, su “Icone: Gesù e Freud”; il secondo con Alessandro D’Avenia, docente di scuola media superiore e scrittore, su “L'Odissea e l'arte di essere mortali”.

Una lunga fila per entrare, un pubblico eterogeneo per età: Magari saranno pure dei rimbambiti di Master Chef o di X Factor, lettori di Fabio Volo o passivi auditori di podcast, ma, intanto, sono e siamo qua, per una serata di sola cultura, senza musica, luci stroboscopiche, effetti speciali, soubrette convinte che “far vedere il culo si possa definire un lavoro” (cit. da Roberto Vecchioni “Questi fantasmi” https://www.youtube.com/watch?v=cPHE1KcmX4s) e uomini e donne qualunque a esporre  sfacciatamente i propri sentimenti in cambio di un quarto d’ora di notorietà.

Recalcati ci intrattiene con una interessante disamina su Freud e l’inconscio. Nulla di trombonico, tutto spiegato in modo coinvolgente e chiaro. Parole che aprono interrogativi autentici sul rapporto con la nostra parte più razionale quanto sull’intelligenza altra che ci abita, sempre. 

Per parte mia, di formazione gestaltica e convinto che il nodo non sia mai mente e corpo ma corpo e mondo, non posso certo aderire alla sua visione. Poi, di tanto in tanto, in me fa capolino l’eretico Massimo Fagioli (1), psichiatra e psicoterapeuta, quello che aborriva Freud dedicandogli parole pesanti, quello ancor più distante di Freud dall’omosessualità, quello delle analisi collettive, a disturbare le riflessioni di Recalcati.

Applausi convinti a cui mi unisco: E’ davvero un grande mondo quello in cui qualcuno o qualcosa ci induce a riflettere su di noi, a cercare sempre nuove risposte che inducono nuove domande.

Ma non sapevo cosa mi stava aspettando!!

Sì perché D’Avenia, uomo di palcoscenico, ci intrattiene per due ore circa portandoci per mano, scanzonato, irriverente e autenticamente profondo insieme, dentro le pieghe del nostro vivere, delle domande che eludiamo per non scoprirci “rappresentazione” invece che “presenza” (sono parole sue).

Nel raccontarci degli esami di maturità, nel prendere le parole e spogliarle del significato convenzionale per portare alla luce il significato originale che dona loro una vita nuova e palpitante, nel narrarci le peripezie di Ulisse, ci immerge nell’esperienza personale di ognuno che è anche percorso di ogni uomo verso il proprio originale compimento esistenziale.

D’Avenia, noi a bocca aperta e col fiato trattenuto, ci svela l'invincibile nostalgia di futuro, quella che ci affligge ogni giorno la cui soluzione, almeno tentata se non riuscita, è tornare nella nostra di Itaca, non quella del passato ma quella ancora da fare rimanendo fedeli al nostro destino. Perché solo se sappiamo abbracciare il nostro destino, che è il nostro desiderio, viviamo.

Mi tornano a galla le parole di Jung che mi sono servite nello stendere la mail di Luglio – Agosto indirizzata ad allievi ed amici. I testi di Gurdjieff scoperti nella mia gioventù e le danze sufi praticate invece pochi mesi or sono.

MI riempiono gli occhi, quando D’Avenia invita ad un gesto di distensione ed amore, il gentile bacio di una giovane coppia davanti a me e i fugaci sguardi di poche altre: Già, quante parole desertiche scorrono tra coppie che si pensano “insieme” uccidendo ogni calore e speranza di un presente ed un futuro davvero “insieme”. Lo scultore Giacometti scriveva, più o meno, che pochissimi sono gli occhi in cui esiste lo sguardo. E se questo sguardo non esiste nemmeno dentro una coppia, come sarà mai possibile volgerlo verso l’altro da sé, verso lo sconosciuto? E forse, tragicamente, non sarà mai volto nemmeno dentro di sé.

MI pare che D’Avenia, mentre ci invita ad un applauso verso di noi e verso il piacere di vivere, ci metta in guardia dal sopravvalutare le manifestazioni esteriori delle persone, mancando invece la comprensione di quelle che sono le motivazioni occulte, nascoste, dei pensieri, delle immaginazioni e dell’agire che le persone compiono. E il loro rispetto.

Resistere, la tanto abusata resilienza, non è rimanere fermi, ma ri-esistere: Nascere.

Grande il D’Avenia.

 

1. https://massimofagioli.com/

 


 

lunedì 17 giugno 2024

Tra passati ricordi e nuova spazzatura

Lupo a mangiare etnico, Monica via per tutta la settimana, ecco gli amici, una sera, a cena. Valerio e Giovanni, allievi di lungo corso, docenti a loro volta, ma soprattutto amici di cuore.

Dalle incursioni in terra marchigiana arrivano vino eccezionale ed olive ascolane, poi ci sono formaggio, nduja spalmabile, gustose salsicce, budino al cioccolato. Non mancano rhum, vodka, grappe ed amari.

Insomma, non manca nulla dell’armamentario per una bella serata.

E le chiacchiere. Quelle che liberano emozioni sigillate dentro a respiri sconnessi, quelle che fanno capolino dentro i segreti più nascosti, quelle che fuggono dal deserto di un vuoto che trova sostanza nell’essere feriti dentro, interiormente. Ferite profonde, e chi non ne ha?

Sara l’anancasmo di non perdere nulla di una memoria ricca e variegata, sarà il bisogno di rivedere oggi i colori di volti e presenze passate… e quante ne abbiamo fatto in decenni di pratica marziale insieme, tra formazione di notte o alle prime luci dell’alba, sotto la pioggia torrenziale o bruciati dal sole, immersi in boschi selvatici o a correre per ripide stradine di montagna.

Momenti indimenticabili: La camminata in cerchio del Pa Kwa  attorno ad un braciere ardente, il librarsi nel buio della notte di una e dieci lanterne, lo spregiudicato taglio di lame su una carcassa di maiale, i giorni di assoluto silenzio intendendosi solo a gesti, i turni di guardia all’accampamento, il sangue quando la lama affondava oltre il lecito, oltre il dovuto, le incomprensioni arbitrali noi così performanti in ambienti volti solo al gioco dello sport e ancora le cene e le feste, ogni occasione buona per celebrare il fragile rito della vita e la spessa trama dell’amicizia.

Affiorano volti e nomi e il dubbio è se, ovunque e comunque, qualcuno di costoro abbia trovato un suo cammino, un suo posto nel mondo, che gli sia di piacere e soddisfazione autentica. Ci manca il saperlo, il sapere che, via dalla comunità ZNKR ora Spirito Ribelle, la dolorosa coscienza della crisi quanto la semplice insoddisfazione, abbiano spalancato le porte del personale rinnovamento; sapere se, con le parole di Rainer Maria Rilke “Non dovrebbero forse questi dolori antichi diventare finalmente fecondi per noi?”.

Non per tutti, certamente. Dei tanti che sono arrivati ed andati leggeri e imbelli, di fatto impermeabili ad ogni stato di coscienza espansa, ad ogni modificata esperienza soggettiva del tempo oppure ferocemente aggressivi nel proiettare sull’altro dubbi e mancanze (“E’ colpa tua se…”) perché questi non divenissero fardelli pesanti alla loro coscienza, poco o nulla ci importa. Loro transitano fuggevoli ed opachi nei nostri ricordi come fuggevoli ed afflitti da acinesia emozionale sono stai i loro mesi o anni nel clan.

Ma alcuni hanno lasciato un segno, anche profondo. Alcuni … quello che, a sentir Giovanni, le “chiavi d’ingresso delle sua porta” non aveva nemmeno bisogno di cercarle perché erano lì, già nelle sue mani; l’oscura strega selvaggia attraversata da pulsioni profonde; l’impiegato “perfettino” che però aveva sentore degli abissi su cui andava marciando; l’affascinante regina caduta alla prima tentazione d’orgoglio o d’età ancora non si sa; il disperato cercatore di sé tra eccessi d’alcool e di sesso e un putrido paravento di bugie.

Ecco, hanno mancato l’appuntamento con la battaglia e la sofferenza che dà un disvelamento che è conoscenza emozionale di sé e dell’altro, hanno scansato l’arbitrarietà e il maramaldo scacco della giustizia dentro alle botte ed agli scontri in cui i deboli subiscono i prepotenti ma solo per poi rinascere davvero forti nella loro vulnerabilità, nella loro integrità.

Hanno mancato ma, forse, altrove e in altra compagnia hanno trovato modi e tempi di avventure e battaglie più a loro adatte sì che ora siano adulti compiuti, adulti vitali ed erotici. Perché ogni creatura umana urla in silenzio per essere compresa diversamente da come appare e da come si comporta, e il codice segreto di questo silenzio non viene nemmeno lambito.

Poi, le immagini, gli atti e le parole che infestano questo ridicolo mondo marziale che ci circonda. Muscolosi ignoranti delle emozioni e dei sentimenti che si pretendono insegnanti di difesa personale per donne, come se bastasse (a riuscirci!!) condurre ad imitare un sonoro ceffone sul muso per armare la fragilità e le paure di una sensibilità così diversa dal maschile (1); praticanti maschi e femmine a pompare di pesi e ripetizioni per irrobustire i muscoli, il motore sopra un telaio che non ha spazio né ragione per ospitarli; tecniche ripetute mille e mille volte come se l’imprevedibilità del vivere non fosse dietro l’angolo a smentirle; saccenti guru robusti di una cultura e di un sapere appena annusato tra libri e parole di un mondo che non gli appartiene, non può appartenere loro perché distante, prima ancora che dai 9.818 chilometri, da un paio di secoli (2).

Inutile limbo di illusioni, quando non spazzatura. Macro recinto di un micro mondo arrotato su se stesso.

Che incredibile forza essere, invece, Spirito Ribelle!! Che stupende emozioni in una sera tra amici di vecchia data con cui aver condiviso e tutt’ora condividere incontri, cadute, scoperte, brevi rinascite che, già sappiamo, andranno a morire ad un prossimo impatto. La Via del guerriero, autentico Budo.

Un ultimo brindisi a chi, noi non lo sappiamo ma tanto lo speriamo, comunque e dovunque, a suo modo, ce l’ha fatta e, sì dai, anche a chi, invece, cammina dormiente nel grigiore quotidiano dei chapliniani “Tempi moderni”.

“E gli alberi votarono ancora per l’ascia, perché l’ascia era furba e li aveva convinti che era una di loro,

perché aveva il manico di legno”

(Proverbio turco)

 

1. “La repressione del desiderio e dell’aggressività genera, come prima conseguenza, una forma di insicurezza particolare, diversa dall’insicurezza che sentiamo tutti e che fa parte della condizione umana. (…)

L’insicurezza alla quale qui mi riferisco, invece, genera una sofferenza nevrotica perché si riferisce all’identità personale: Chi sono davvero? Che cosa voglio? Come devo muovermi per ottenerlo? Il non sapere chi si è, il vivere in funzione altrui, il sentirsi incapaci inducono una precarietà che spinge alla ricerca di conferme nel prossimo e vietano di affrontare i conflitti.

La seconda conseguenza che la rimozione dell’aggressività provoca nella psicologia femminile è un senso di colpa.

Il senso di colpa è di solito collegato a un codice morale (…) Diversa è la situazione in cui non siamo (o non siamo più) consapevoli dei nostri desideri più profondi: ci sentiamo allora colpevoli di non sapere chi siamo e di non sapere perché. Il senso di colpa ha origine, in questo caso, dalla mancanza di rispetto verso la propria identità e dall’inconscia diserzione di fronte a se stessi”. (Marina Valcarenghi “L’aggressività femminile”). Ma quali esperienze hanno di psiche femminile e mondo emozionale femminile questi aitanti venditori di difesa personale? Nessuna.

2. Senza bisogno di citare i contradditori studi di Willard Van Orman Quine sul relativismo culturale, basterebbe affidarsi alle certezze dell’antropologia culturale per smentirli o, più banalmente, portarli a vedere il nostro Alberto Sordi in “Un americano a Roma”!! Sai che figure barbine…

 

 



 

domenica 9 giugno 2024

I colori del Ribelle

Delle Arti Marziali asiatiche noi europei abbiamo importato anche la tenuta di allenamento, secondo le varie fogge giapponesi, cinesi, vietnamite ecc.

A volte, abbiamo creato varianti o inventato cose del tutto nuove.

Come ci si veste praticando

un’arte marziale asiatica?

Fogge e colori hanno sempre un riscontro nelle abitudini culturali e sociali da cui sono nate. Il nero, colore che nasconde le macchie di sporco, richiama gli abiti da lavoro e sta ad indicare che i primi praticanti di Wu Shu (da noi diffuso come Kung Fu) furono proprio i lavoratori dei campi, ma, nel Ninjutsu (1), serviva ad occultare l’adepto nel buio della notte. Il Karategi, la “divisa” tipica del Karate (2), in origine era di un color bianco opaco, bianco “sporco”, perché fatta in cotone non trattato; solo successivamente, con la sua diffusione in tutto il mondo e la conseguente creazione di fabbriche industriali di karategi, è divenuto bianco. Il judogi, la “divisa” tipica del Judo (3), è divenuta blu nelle competizioni sportive per meglio differenziare un atleta dall’altro. Chi pratica una qualche Koryu (4), scuola di arti marziali tradizionali giapponesi, lo fa indossando l’hakama, una specie di gonna - pantalone che era parte dell’abbigliamento abituale dei samurai, anche se “la sua origine risale almeno alla metà dell’ottavo secolo, ben prima che i samurai emergessero distintamente come casta” (http://www.aikidoiaido.it/joomla/articoli/12-hakama#:~:text=Una%20delle%20spiegazioni%20del%20suo,un%20tipo%20di%20gonna%20%E2%80%93%20grembiule.)

Nello Yoseikan Budo, la disciplina creata dal Maestro Hiroo Mochizuki negli anni ’70, “l’abbigliamento comprende una giacca di colore blu e dei pantaloni bianchi simboleggianti lo Yang e lo Yin. Queste due parole esprimono il principio attivo (Yang), maschile, del calore e dell’estate, e il principio passivo (Yin), femminile, del freddo e dell’inverno” (https://www.yoseikan.it/).

Il passaggio dal Karate giapponese privo di contatto al Contact, una sorta di Karate dinamico, altamente sportivizzato e a contatto, precursore di quella che divenne Kick Boxing, ha portato a Karategi variopinti, con i colori della bandiera USA, con logo e insegne di sponsor commerciali.

Insomma, vale davvero tutto!!

Foggia e colori della “divisa” Spirito Ribelle

Data la particolarità, di fatto l’unicità, del nostro gruppo, in termini di cultura del gruppo stesso; didattica ed andragogia dell’apprendimento; contenuti dell’apprendimento stesso, ci siamo posizionati con una “divisa” che, nel mentre permettesse una pratica comoda nella gestualità e resistente a sfregamenti e strappi, richiamasse nei colori qualcosa del tradizionale mondo medioevale nipponico.

Sul versante “cosa indossiamo”, richiamiamo i primi e antichi combattenti asiatici che praticavano così come abitualmente vestivano. Infatti. abbiamo scelto semplici pantaloni e semplice maglia. Per altro, così praticava il Maestro Kenichi Sawai, fondatore del Taiki Ken, spesso ripreso addirittura in maniche di camicia. Se la pratica è metafora e metonimia del vivere quotidiano, è formazione alle relazioni diversamente conflittuali in cui tutti noi siamo immersi in quanto nessun uomo è MAI una monade, non c’è niente di meglio che farlo vestiti come d’abitudine. Per i praticanti “tradizionali” che siano anche patiti della difesa personale da strada, dubito fortemente che le vostre abilità combattenti saranno mai messe alla prova dandovi il tempo di indossare un keikogi, con obi (cintura) ben stretta in vita e piedi rigorosamente scalzi!!

Sul versante “che colori adottiamo”, ecco la scelta che richiama la Tradizione medioevale nipponica.

Colori brillanti (aka), tra questi c’è il rosso. Dai rie è rosso scuro, indica grande rettitudine. All’interno di oka, il rosso, che è potere, significa: Grande rettitudine dentro alla padronanza del potere. Indossiamo pantaloni rosso scuro.

Colori freddi (ao), tra questi c’è il grigio. Tradizionalmente il grigio è considerato sfondo incolore in rapporto al quale risaltano i colori. Nel periodo Edo (1603 - 1868) (5), l’intera gamma dei grigi era considerata colore raffinato (iiki). Indossiamo una maglia grigio scuro.

Siamo artisti raffinati, dotati di potere temperato da rettitudine.

Due righe a parte per la pratica Kenshindo, la pratica con il katana dei samurai. In essa pratichiamo alla foggia tradizionale giapponese: Giacca, pantaloni o hakama e cintura. Giacca blu, pantaloni neri, hakama di qualsiasi colore, purché in tinta unita. Il perché dell’accostamento blu e nero è storia lontana. La racconterò in una prossima occasione.

Ah, nel più completo Spirito Ribelle, spirito di libertà, io non vendo l’abbigliamento agli allievi: Sono il Sensei non un commerciante!! Anche perché, nel mio solito modo formativo maieutico, che imparino loro a crescere, dandosi da fare per abbigliarsi a dovere quando e se si sentiranno pronti per essere davvero parte del clan.

 

1. “I praticanti esperti che padroneggiavano completamente il ninjutsu sono definiti ninja. Le origini di quest’arte marziale sono ancora avvolte nel mistero, così come quelle della rappresentazione del ninja come guerriero vestito di nero” (https://www.italiajapan.net/ninjutsu/)

2. Arte marziale di origini okinawensi, conosciuta nel mondo nelle sue codificazioni giapponesi. Per saperne di più, restano sempre validi i pur datati (1979) “Lo Zen e la via del Karate” di Kenji Tokitsu, esperto di Arti Marziali, creatore di una sua propria arte e ricercatore di valore assoluto e “The way of karate” (1963) di George E. Mattson, pioniere del Karate Uechi-Ryū in USA e scrittore.

3. Il Judo, arte principalmente affidata alle proiezioni al suolo ed alla lotta a terra, deve la sua origine al Maestro fondatore Jigoro Kano (1860 – 1938). Per saperne di più sulle origini, “Judo” di Bindo A. Serani, la cui prima edizione è datata 1953 ed “I Quaderni del Bu Sen” ad opera del Maestro ed educatore Cesare Barioli, uno degli ultimi strenui difensori del Judo Tradizionale contro i sostenitori del Judo ridotto a sport e competizione.

4. “In Giappone sono considerate Koryu le scuole (non solo Marziali) che sono state fondate prima della restaurazione Meiji (quindi prima del 1862), in contrapposizione ai Gendai Budo (Budo Moderni) fondati dopo questa data” (https://www.doushindojo.it/2018/01/06/koryu-gendai-budo-e-false-tradizioni/)

5. Altrimenti detto epoca Tokugawa,1600 – 1868. (https://www.nihonjapangiappone.com/pages/geostoria/storia/sttokugawa.php)

 



Per saperne di più sui colori nella tradizione giapponese:

“I colori nel Giappone antico” G. Pasqualotto

(https://riviste.unimi.it/index.php/MdE/article/download/20674/18339)

“I colori giapponesi” F. Chiagano

(https://www.vadoingiappone.it/informazioni-cultura-giapponese/i-colori-giapponesi/)

 

 




 

 

giovedì 6 giugno 2024

Il mio pensiero di GIUGNO

Con Monica, tre giorni a Lisbona, città splendida.

Splendida ma… anche io, nel mio piccolo, concorro alla distruzione della sua unicità, anche lei, come tutto, piegata dal mondialismo, dalla globalizzazione, dal pensiero neo-liberista che tutto e tutti appiattisce e conforma.

Esagerando potemmo dire che le caratteristiche piastrelle sui muri delle case testimoniano che non sono a Parigi; ovvero che, se guardandomi intorno vedessi la torre Eiffel, invece sarei a Parigi, se scorgessi la Sagrada Familia, sarei a Barcellona.

Esagerando, certo.

Però… una massa indistinta di turisti che camminano alternando passi e sguardi incerti a movenze frettolose e robotiche, comunque mai sazi del consumo di occhi e delle sventagliate di foto scattate su ogni cosa, in ogni dove.

Una piatta apparenza pare ricoprire la storica identità di questa città; botteghe presumibilmente artigiane soppiantate in toto da un continuo susseguirsi di locali e localini per bere e mangiare a tutte le ore, una lunga linea di “Milano”, scusate, “Lisbona da bere” in cui non stona affatto l’apparire di freddi ed anonimi negozi di souvenir, uno identico all’altro, sorta di “bar self service h24” di presunti prodotti tipici locali.

Mi informo e scopro che, sarà stata la presenza di Madonna, spesso a Lisbona per seguire il figlio promessa del Benfica, la locale squadra di calcio, o più verosimilmente le operazioni commerciali della finanza con una serie di facilitazioni economiche e tassazioni al ribasso, sta di fatto che da alcuni anni pullulano le start up, sono aumentati a dismisura i prezzi degli appartamenti, ovunque si trovano “bed and breakfast” ottimi per il turismo “mordi e fuggi”, e “Lisbona è stata eletta come la seconda migliore città al mondo per ‘turismo a cinque stelle’” (fonte: idealista/news 26.04.2022)

ll costo della vita in tutto il Portogallo è il più basso dell'Europa Occidentale? Ma anche il potere d'acquisto è il più basso, con stipendi netti mensili ben più modesti rispetto agli altri paesi dell'Europa Occidentale, con il potere d'acquisto di un cittadino che, a Lisbona, è inferiore a quello di un cittadino di Roma.

Dunque, dietro alla scintillante vetrina della “Lisbona da bere”, cosa si cela?

Il turismo di massa cosa porta con sé in una bellissima città che si è offerta all’evasione modaiola, vorace e superficiale, accettando una politica speculativa che ha tolto dalla vista e dalla vita l’edilizia popolare in cambio di ristrutturazioni frettolose di agiati “bed and breakfast”?

Lisbona come le mille e mille città dell’impero capitalista, dove si arriva e si riparte uguali nelle emozioni e nel sentire, solo ostentando le prove fotografiche e gli oggettini che testimoniano “Sono stato a Lisbona”. Rapidità superficiale in ogni contatto, che subito c’è qualcosa d’altro da vedere, da fissare sul cellulare.

Il secolo scorso, qualcuno ebbe a scrivere “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Marcel Proust). Più recentemente, Julia Kristeva scriveva “La gente si sposta sempre di più, ma non viaggia. Le frontiere restano dentro di noi”, fino ad “Allevamenti intensivi di turisti” di Barbara Balzerani.

Chiacchierando con Raffaella, dolce compagna di milanesi camminate mattutine, mi rimbrotta “Ora è possibile raggiungere località una volta solo appannaggio di pochi, di ricchi”. Vero. Ma a che prezzo? Prezzo di luoghi sventrati delle loro radici e vestiti “a festa” per il consumo di cavallette umane; prezzo di orde di umanità frivola, di sensibilità scadente e scaduta. Prezzo che, ancora Balzerani, descrive così: “Una gran massa di vacanzieri che attraversano luoghi e vite altrui come fossero attrazioni di un luna park, intruppati in riti preconfezionati che garantiscono l’immunità dal contagio della conoscenza e del coinvolgimento emotivo. A inscenare nuove forme di colonizzazione a prezzi stracciati”. (in “Respiro”).

Comunque, da tempo, a Lisbona non sono arrivati, come ovunque, solo i Mc Donald’s e le tante catene del cibo omologato e per tutti.  NO, in ogni localino, anche il più angusto, puoi fare aperitivo con l’aperol spritz, il tradizionale aperitivo di origini venete. Salute!!

Il mio pensiero va alle catene di gym, di palestre, dove figuranti del corpo e del movimento uccidono la loro intelligenza corporea tra esercizi per gli addominali, camminate e corse sul posto, sempre fermi lì su un tapis roulant, pesi sollevati e poi rimessi all’identico posto una, dieci, cento volte, scimmiottamento di gesti uguali per tutti comandati da un volenteroso sudato insegnante.

Che bello essere e praticare Spirito Ribelle. Tutta un’altra cosa!! Che bello scoprire che anche altri, pochi ma ci sono, in ambiti di movimento e corpo, pensano e praticano come noi: “Negli anni stanno crescendo realtà in cui la pratica fisica si ispira sempre di più ai movimenti connaturati nella storia evolutiva umana e nella sua morfologia anziché sposare necessariamente le regole e accettare i sacrifici di una singola specialità”. (Natkedmovement).

Che bello essere singolari viaggiatori del corpo, del sé fisicoemotivo e non superficiali turisti di massa a consumo di aquagym, spinning, calisthenics …