“Se
non uccido, non è per bontà di cuore”
(Yuienbo)
M° Claudio |
Emozioni forti,
emozioni calde come lacrime sul viso.
Mai le stesse e, nel contempo, sempre le stesse ma che
portano con sé un gusto amaro dalle tonalità variabili, a volte graffiano, a
volte impastano, a volte intorbidano l’equilibrio del palato.
Danzano, rotolano i femori, mentre il bacino pulsa e
innesta, complici le braccia, gesti rapidi di spada.
Ritorna, più nel cuore che nella mente, la musica che ho
ascoltato ieri, complice un inaspettato momento di pausa. Musica di note e voci
roche, di parole che sprofondano nel mare oscuro dei sentimenti. Musica che mi
ha scosso, attraversando la mia solitudine come fa un lampo quando trafigge il
nero del cielo… e poi giunge, sempre, il tuono.
Giovanni |
Il tuono oggi, 22 Marzo, in Dojo, al Seminario di Kenshindo, è il sibilare dei ken d’allenamento,
preludio a quello mortale dell’acciaio dei katana.
Portati alla luce e raccolti gli “strumenti” del corpo,
emergono le espressioni, insieme spontanee e insieme invece affinate da una
formazione attenta, delle nostre pulsioni più profonde. Spazio e tempo e ritmo,
Yomi e Yoshi, ogni spadaccino è solo ed ognuno, però, incontra l’energia del
piccolo gruppo.
Silvano |
L’essere fisicoemotivo immagina ed esplora le diverse
forme del tagliare, dell’affondare la lama nella carne, nel cuore dell’avversario.
Ritmo esterno, visibile, e ritmo interno, nascosto ad
occhi estranei, scandiscono il tracciato delle lame.
“Il possesso di
un’arma di qualità dava al samurai un’opportunità in più di vincere il combattimento,
ed è questa la ragione per cui ad essa si accordava tanta importanza”. (A.
Fieschi: “La maschera del samurai).
Ma sono sempre cuore,
ardimento e pulsazione dello spadaccino a fare la differenza. A decidere chi
vive e chi muore.
Le strutture ritmiche del tameshigiri, il taglio sul
bersaglio, liberano movimenti assassini,
non sempre precisi, non sempre lanciati a tagliare anima e corpo con precisione
chirurgica, troppe volte costretti a strappi e lacerazioni goffe e disordinate.
M° Valerio |
Il silenzio, i tranci di
stuoia che cadono al suolo. Ancora una volta celebriamo l’atto del dare la
morte, di togliere una vita altrui perché la nostra possa continuare. Ritualità
tragica e sofferta, il lieve ondeggiare dei fumi d’incenso offre disegni
aggraziati che paiono consolare chi muore, chi viene tagliato; paiono
accompagnarlo altrove, mentre, in realtà, accompagnano lo spadaccino nel buio
orrendo del suo profondo.
Ognuno, poi, riemerge a suo
modo. E quello schermare libero che è il Gekken, oggi, forse per la prima
volta, non è più agitato e caotico mulinare di armi finte, bugiarde. Oggi è
libertà di danzare la danza del combattimento in cui una foglia cade morta al
suolo, un’altra resta disperatamente attaccata all’albero della vita.
In cerchio, il saluto finale. Per chi ha voluto esserci,
a combattere. A cacciare quella preda che altri non è che noi stessi. Se ne
abbiamo il coraggio, l’ardire …
“Accadde
in quell’istante. La quiete dello stadio s’infranse e il pubblico si alzò in un
fragore di applausi, l’equilibrio di forze dei due tori sul ring era finalmente
spezzato e il toro vittorioso girava e girava entro il recito di bambù, inferocito
ed incapace di controllare la frenesia della gioia trionfante. (….) Vi era
soltanto il misterioso movimento circolare di una triste creatura di color
rossastro che scuoteva e scuoteva ripetutamente il proprio corpo, e una
desolazione spietata come una palude regnava sull’enorme stadio a forma di
ferro di cavallo”
(Yasushi
Inoue)