lunedì 24 marzo 2014

Kenshindo, l'acciaio


“Se non uccido, non è per bontà di cuore”
(Yuienbo)

M° Claudio
Emozioni  forti, emozioni calde come lacrime sul viso.
Mai le stesse  e, nel contempo, sempre le stesse ma che portano con sé un gusto amaro dalle tonalità variabili, a volte graffiano, a volte impastano, a volte intorbidano l’equilibrio del palato.
Danzano, rotolano i femori, mentre il bacino pulsa e innesta, complici le braccia, gesti rapidi di spada.
Ritorna, più nel cuore che nella mente, la musica che ho ascoltato ieri, complice un inaspettato momento di pausa. Musica di note e voci roche, di parole che sprofondano nel mare oscuro dei sentimenti. Musica che mi ha scosso, attraversando la mia solitudine come fa un lampo quando trafigge il nero del cielo… e poi giunge, sempre, il tuono.
Giovanni
Il tuono oggi, 22 Marzo, in Dojo, al Seminario di Kenshindo, è il sibilare dei ken d’allenamento, preludio a quello mortale dell’acciaio dei katana.
Portati alla luce e raccolti gli “strumenti” del corpo, emergono le espressioni, insieme spontanee e insieme invece affinate da una formazione attenta, delle nostre pulsioni più profonde. Spazio e tempo e ritmo, Yomi e Yoshi, ogni spadaccino è solo ed ognuno, però, incontra l’energia del piccolo gruppo.
Silvano
L’essere fisicoemotivo immagina ed esplora le diverse forme del tagliare, dell’affondare la lama nella carne, nel cuore dell’avversario.
Ritmo esterno, visibile, e ritmo interno, nascosto ad occhi estranei, scandiscono il tracciato delle lame.
Il possesso di un’arma di qualità dava al samurai un’opportunità in più di vincere il combattimento, ed è questa la ragione per cui ad essa si accordava tanta importanza”. (A. Fieschi: “La maschera del samurai).
Ma sono sempre cuore, ardimento e pulsazione dello spadaccino a fare la differenza. A decidere chi vive e chi muore.
Le strutture ritmiche del tameshigiri, il taglio sul bersaglio, liberano movimenti  assassini, non sempre precisi, non sempre lanciati a tagliare anima e corpo con precisione chirurgica, troppe volte costretti a strappi e lacerazioni goffe e disordinate.
M° Valerio
Il silenzio, i tranci di stuoia che cadono al suolo. Ancora una volta celebriamo l’atto del dare la morte, di togliere una vita altrui perché la nostra possa continuare. Ritualità tragica e sofferta, il lieve ondeggiare dei fumi d’incenso offre disegni aggraziati che paiono consolare chi muore, chi viene tagliato; paiono accompagnarlo altrove, mentre, in realtà, accompagnano lo spadaccino nel buio orrendo del suo profondo.
Ognuno, poi, riemerge a suo modo. E quello schermare libero che è il Gekken, oggi, forse per la prima volta, non è più agitato e caotico mulinare di armi finte, bugiarde. Oggi è libertà di danzare la danza del combattimento in cui una foglia cade morta al suolo, un’altra resta disperatamente attaccata all’albero della vita.
In cerchio, il saluto finale. Per chi ha voluto esserci, a combattere. A cacciare quella preda che altri non è che noi stessi. Se ne abbiamo il coraggio, l’ardire …

“Accadde in quell’istante. La quiete dello stadio s’infranse e il pubblico si alzò in un fragore di applausi, l’equilibrio di forze dei due tori sul ring era finalmente spezzato e il toro vittorioso girava e girava entro il recito di bambù, inferocito ed incapace di controllare la frenesia della gioia trionfante. (….) Vi era soltanto il misterioso movimento circolare di una triste creatura di color rossastro che scuoteva e scuoteva ripetutamente il proprio corpo, e una desolazione spietata come una palude regnava sull’enorme stadio a forma di ferro di cavallo”
(Yasushi Inoue)





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