“Ogni
giorno qualcosa di meno, non qualcosa di più: sbarazzati di ciò che non è
essenziale”.
(Bruce Lee)
La
leggerezza, la fluidità, lo scorrere delle azioni, dei gesti pur sempre
efficaci
Quando
il Judo era davvero l’arte in cui il “debole” teneva testa e sconfiggeva il
“grosso”. Quando i combattimenti avvenivano senza categorie di peso. E gli
stessi praticanti più temuti sul tatami avevano un background di risse da
strada e di sfide senza regole tra adepti di diverse Scuole.
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Prima
che il Judo venisse sportivizzato ( Ma Jigoro Kano, il suo fondatore, aveva
qualche presentimento di quel che sarebbe accaduto introducendo il Judo nel
mondo sportivo ?), spogliato di alcune tecniche ritenute pericolose ( sigh!) ed
i praticanti divisi per categorie di peso ed indirizzati ad un allenamento
basato più sulla prestanza fisica, sulla forza, che sull’intelligenza motoria.
Quando
il Judo era non solo gare e medaglie ed urla sguaiate per un ippon o
dimostrazioni povere
laddove un bambino, pur nella inverosimiglianza del fatto,
mostrava quella meccanica del corpo rigorosa e precisa che permette di
atterrare un peso preponderante, ed un judoka adulto si lasciava condurre
scegliendo con precisione il tempo in cui lo squilibrio sarebbe stato
effettivo.
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Quando
i corpi degli umani, per competere nel Judo o per competere in sport di recente
creazione, non venivano, come succede ora, deformati, ingrossati, ispessiti, il
tutto a danno della loro salute e dell’intelligenza motoria.
Ma,
nelle Arti Marziali come nella società, a prendere il sopravvento è il grosso,
il pacchiano, il vistoso, quello che mostra di più, quello che urla di più.
A
me, a quelli come me che amano la frugalità, il semplice, l’essenziale, non resta
che arretrare, costruire in piccolo relazioni ed occasioni perché una sparuta
minoranza di individui cerchi dentro di
sé, cerchi nella Tradizione aprendola, là dove sia possibile, alle
incursioni del moderno, del contemporaneo, cerchi
di sé e dello stare al mondo in modo sensibile ed autodiretto.
Cerchi
impugnando un anacronistico katana o facendo del bacino e dell’anca e della
muscolatura profonda il luogo dell’azione esplosiva e della forza, invece di
affidarsi a bicipiti esagerati e trapezi
voluminosi.
Cerchi,
dunque, in modo diverso, altro, dall’omofonia imperante. Un omofonia che, per
me, sa tanto di bimbo mai cresciuto con ciò teso a ripristinare la simbiosi,
intra ed extrauterina, dei primi tempi di vita. Un’incapacità ad affermare e
sostenere la differenza, la crisi come occasione di crescita. Eccoli allora,
questi bambini solo anagraficamente cresciuti tutti uguali, nei jeans e nel
fisico “pompato”, negli stessi luoghi di ritrovo e nelle abitazioni comperate
con il sostanzioso aiuto di mamma, nei divertimenti tutti uguali e nello
stordimento di massa, uguali anche nelle fughe verso una diversità che è solo
di facciata.
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Afflitti
dal complesso di Narciso più che dal complesso di Edipo ?
A
loro, nelle Arti Marziali sportivizzate, brulicanti di energumeni ed energumene
(!!) tozzi e ipertrofici, o nelle recenti invenzioni che, facendo leva sulla
fanciullesca paura dell’ “uomo nero”, fanno business mostrando esempi di
inkazzuti muscolati e tatuati che ti insegneranno a difenderti dai mille e
mille aggressori che ti attendono appena fuori la pancia della mamma, pardòn,
appena fuori casa, il loro mondo di vanità esposte, roboanti affermazioni di
superomismo, il tanto, il grosso.
“L’ansioso
prima edifica i suoi timori, poi vi ci si installa sopra” (E.M. Cioran)
A
me, normodato e con panzetta da bevitore di birra, alle Arti Marziali come terapia del saper stare nel confliggere relazionale
quotidiano a partire dallo scontro fisicoemotivo, il piccolo, il poco, il semplice.
http://www.youtube.com/watch?v=ZGhCKvC0CwM
a ciascuno i suoi gusti |
A ciascuno il suo, senza alcun intento polemico ma con i miei personali distinguo
“L’allenamento
non opera su un oggetto, ma sullo spirito e sulle emozioni di un essere umano.
Per agire su sfere così delicate occorrono intelligenza e discernimento.”
(Bruce Lee)