“Per
favore, togli quel sangue dalla mia batteria”
(dal film Whiplash)
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La locandina del film |
Piero,
carissimo amico sin dai miei diciott’anni, mi suggerisce la visione di “Whiplash”,insistendo
sulle caratteristiche di passione ed elogio della fatica nell’imparare che il
film mostra.
Ed
arriva la sera che, approfittando dell’assenza di Lupo, io e Monica ci sediamo
sul divano per goderci il film.
In
sintesi, la pellicola, del 2014, (apprezzata e premiata la notte degli Oscar),
narra di un giovane aspirante batterista, al suo primo anno in una delle più
prestigiose scuole di musica jazz neworkesi, e del tormentato rapporto con un
docente esigentissimo verso i suoi allievi, violento fisicamente e
psicologicamente, fino ai confini del sadismo. (1)
Il
nocciolo della trama, in perfetto quanto monolitico stile U.S.A. è: solo uno su
mille merita di farcela e per farcela deve penare e soffrire oltre ogni limite.
Così,
l’apprendistato alla batteria di Andrew, il giovane batterista, prende le forme
di uno scontro senza esclusione di colpi, una guerra a tutto campo.
In
Whiplash, fedeli allo logica proposta che travalica il classico “no pain, no
gain” per abbracciare il parossistico “more pain, more gain”, troviamo dei
riferimenti espliciti al cinema, sia quello supinamente prono sia quello critico verso questa logica: gli insulti, a
sfondo omofobo-xenofobo, di Fletcher (il docente) ai suoi allievi, riecheggiano
quelli del sergente Hartman in Full Metal Jacket, mentre in più di
un’inquadratura si potrebbe scambiare il viso tumefatto e sudato di Andrew con
quello di Robert De Niro in Toro Scatenato o di Silvester Stallone nei vari
Rocky. Il musicista jazz come soldato e come pugile, dunque, perché la
relazione docente / allievo è tutta fondata sull’assolutismo, sulla prevaricazione per stimolare una
reazione , reazione che nell’allievo dotato, geniale, lo porterà al
successo altrettanto totale, assoluto.
E
gli altri ? Due lacrime sul giovane trombettista che pareva ce l’avesse fatta,
poi “un incidente” (dice Flechter, il docente) ne ha spezzato il cammino, e ..
“the show must go on”, via con la musica e le prove dell’orchestra. Ah, “l’incidente” è il suicido del trombettista,
che non ha retto lo stress.
Il
film, in parte autobiografico perché il regista ha un passato da batterista, ha
generalmente riscosso successo per la trama avvincente, le intense
interpretazioni dei due protagonisti, le musiche jazz sconosciute ai più,
dunque senza nessun ammiccamento all’udito delle masse, ma davvero godibili.
Poche
le voci dissonanti, tra cui quella di Goffredo Fofi, critico verso questo
modello U.S.A. tanto da definire il film “una
favola per gonzi di destra”.
Quel
che mi ha sorpreso, nelle recensioni “ufficiali” come nel “sentito” di chi lo
ha visto, è la mancanza di alcuna riflessione sulla didattica e pedagogia /
andragogia che il film sostiene.
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by roboticdesign |
Per
restare nel campo “Arti Marziali”, io ho iniziato con un Maestro che, in
perfetta sintonia con l’ambiente Karate degli anni ’70, insegnava senza
ammettere repliche, colpendo fisicamente gli allievi immobili sulle ginocchia o
sul tronco per correggere “posizioni” non adeguate, colpendoli verbalmente nei
sentimenti. Il locale, come molti di voi sanno, era privo di luce elettrica,
riscaldamento e servizi igienici. Il combattimento “controllato”, veniva fatto
senza protezione alcuna, per cui gli incidenti, in allenamento o in gara, erano
all’ordine del giorno. Unica protezione consentita la “conchiglia”, che mi fu
spezzata con un calcio frontale.
Io
stesso, per anni, riprodussi quella logica.
Io
che venivo dalle logiche ( e pratiche !) rivoltose ed anti potere del ’68, che
sfidavo l’opinione pubblica con i capelli lunghi fino alle spalle e i foulard
portati ai polsi ed alle caviglie, che mi scontravo ripetutamente con l’ordine costituito
ed i suoi rappresentanti.
Insomma,
per dirla sul “generale”, nel corso degli anni abbiamo assistito alla
realizzazione democratica della scuola di massa, obbligatoria e dunque aperta a
tutti, che ha però anche significato appiattimento culturale e perdita di ogni
risorsa individuale; all’estensione di internet e social network che ha
permesso di diffondere conoscenze e contatti virtuali, uccidendo, al contempo,
le relazioni reali ed il sapere realmente studiato, masticato e digerito; la
flessibilità lavorativa che, con la perdita del “posto fisso”, ha portato con
sé la precarietà emotiva del soggetto lavoratore.
Dunque,
da un lato trovo disumana la pedagogia / andragogia esaltata nel film,
dall’altro, nel mio personale di uomo, padre, counselor e docente di Arti
Marziali, non posso non notare i danni provocati dal lassismo,
dall’appiattimento culturale, ormai sovrano.
Eppure,
una “terza Via” c’è, eccome.
Tra
il bambino cresciuto in mezzo a capricci eternamente soddisfatti, regole poco
indicate e mai rispettate, coccolato e protetto fino ai quaranta e magari
oltre, casa comperata dai genitori e lavoro procurato dagli stessi, ed il
bambino cresciuto da chi sia convinto che questi, per imparare, debba essere
umiliato, che crescerlo a urla e sgridate quando non a ceffoni gli faccia solo
bene, che il ricatto “se prendi un brutto voto salti la gita con
gli amici”, sia un metodo educativo vincente, si è fatta largo, negli anni,
una terza prassi educativa e formativa.
Quella
esposta dai vari Neill, Rodari, Steiner, don Milani, Dolci, Oliverio, Novara.
Quella
che, nel nostro piccolo, da alcuni decenni proponiamo ad adulti e ragazzi e
bambini, lavorando in primis sull’esempio e sul linguaggio analogico del
facilitatore, di chi il gruppo conduce; poi su una didattica, un’andragogia e pedagogia maieutica in cui sia
l’allievo, piccolo o grande non importa, a cercare la sua strada nel bosco, la
sua uscita dal labirinto, a conoscere le sue emozioni, le sue parti oscure, ad accettare la vulnerabilità come area di
forza, a stare nel confliggere come
luogo di crescita.
Lo
facciamo ogni sera in pedana, ma anche in occasioni ad hoc, che sia la Notte
del Guerriero ( otto ore non stop di pratica marziale, dalla mezzanotte alle
otto del mattino) o la Stille Nacht ( due ore di pratica marziale al buio ed in
assoluto silenzio) o il recente Raduno dei Bambini e Ragazzi con formazione
marziale e “dormita” all’aperto ( qui accanto, in SHIRO, potete leggere i commenti di tutti gli undici giovanissimi
protagonisti. Alcune frasi, nella loro poesia, nella loro innocenza,
racchiudono un mondo !!). Occasioni in cui stimolare ed incuriosire ad
ingaggiare se stessi e le proprie paure, a darsi fiducia nelle piccole cose
manuali come nelle progettazioni teoriche più complesse, ad accettare il confronto.
Non
sempre, anzi, privi di errore nel nostro proporre e fare, ma consapevoli che
anche errare può e deve essere un momento di confronto e crescita. Insieme.
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by idanuphotography |
“Se c’è
qualcosa che vorremmo cambiare in un bambino, dovremmo prima esaminarla e
vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi”
(C.G. Jung)
(1) Mi
sorge un dubbio: Che trattino di musica / spettacolo o di ristorazione, quale è
il motivo per cui hanno così tanto successo i vari “talent” in cui il giudice o
il cuoco di fama maltratta esplicitamente il candidato ? Di più, perché i docenti sadici arrivano alle vette della
notorietà anche ben oltre i confini del
talent in cui appaiono ? Perché vederli tormentare le loro vittime è per molti
uno spettacolo assolutamente imperdibile ?