lunedì 22 giugno 2015

Lo spadaccino e il demone muto


Montedinove (AP): Seminario Kenshindo
Mercoledì 17 Giugno

 Acciaio letale. Delirio guerriero.
Ci prepariamo con i bokken, spostamenti repentini.
L’avversario di fronte, poi alle spalle.
Tracciamo il percorso dei fendenti seguendo la linea dettata dal bokken dell’altro, posto di traverso, tra collo ed anca.
Delirio di scontro e confronto.
Suburbia di rancori e pietà. Come una periferia malfamata, da tempo abbandonata al suo rovinoso destino. Intrisa di strade strette e strette, strettissime, prospettive di emancipazione. Lì covano energie dissennate, umori repressi, miscuglio di violenze e fratellanza di strada, prevaricazioni di banda e complicità nascoste.

Ti vorrei qui, accanto a me. Se non a praticare acciaio, a condividere l’aria impregnata di emozioni profonde, di me che mi disvelo ai muti mostri famelici che mi divorano dentro. Che io sono anche questo.

La Via dello spirito della spada”, Kenshindo. Siamo in cinque. Figuri in blu e nero a stagliarsi nel paesaggio maturo delle colline marchigiane, sotto un cielo striato di blu e di viola.
L’acciaio dei katana ingaggia i colori caldi del posto, marroni dalle venature di porpora e verdi mossi come acqua di mare.
L’acciaio straccia l’aria, volti tesi nello spasmo dell’uccisione.
Quanti figuri di blu e di nero ho visto passare.
Chi a scivolare lieve nell’apatia e nella noia che dà brandire una spada come morto oggetto di trastullo, passatempo superficiale, fuori moda.
Chi a fuggire spaventato dopo aver incontrato gli occhi del demonio, il suo demonio, subendo la sconfitta, precipitandosi in ritirata, per salvarsi il culo e non giocare da protagonista il proprio vivere, che la comparsa, in scena, non ha responsabilità.
Chi a lottare, a straziarsi il cuore in una pratica, in un amore enorme e totalizzante, spada sempre con sé, finché arriva il momento che tutta la legna si è esaurita nel bruciare alta, ancora più alta, la fiamma della passione e allora il fuoco muore e ci si accontenta del caldo della cenere, finché dura. Perché poi, il morso del gelido inverno come la banalità del mediocre quotidiano, hanno il sopravvento. E di quella passione, di quell’amore enorme, non resta che uno sbiadito ricordo ed un katana impolverato ad intristirsi inutile su di un mobile in salotto.

Siamo in cinque, solo in cinque e così tanti in cinque, per un fare d’acciaio che divide e sconquassa e rivolta, dentro prima ancora che fuori.
I fasci di bambù ora incombono.
Se le misure contano, 20 centimetri circa di circonferenza, abbiamo pure da fare i conti con la mobilità stessa insita in sei, sette canne tenute insieme da degli elastici: un colpo, un impatto impreciso o grossolano, tagliente malamente a dilaniare il fascio, e le canne si smuovono, creando spazi e fratture imprevedibili.
Le lame calano e ascendono in un susseguirsi cadenzato da movimenti e sbuffi e grida di guerra.
Poi … quel che è stato è stato.
Ognuno di noi cinque sa.

A tavola, coccolati dalla gentilezza di Graziella, la padrona di casa, tra vino forte e liquoroso e la ricchezza stupefacente della cucina marchigiana, le parole del cuore scorrono fluenti.
Fuori, il cielo nero si trapunta di mille e mille stelle.

 “Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate Scoprite”
(M. Twain)
 





1 commento:

  1. la frescura dei colli,alle pendici dei Sibillini,monti magici densi di esotersmo e leggende. Quando le energie della luce cedono il passo all'oscurità,nel crepuscolo che avanza ove si alternano in un "chi sao" forze opposte e complementari ,lì, impugnare l'acciao tra i colori sfumati della natura imponente, sotto sguardi silenziosi di predatori invisibili,pronti a balzare sulla preda...sei solo,fuori da ogni spazio tempo, dentro te stesso.
    il Cielo dapprima tempestoso si apre all'arrivo di noi 5 , un pentacolo umano pronto a vivere o morire, simbolicamente ma che avrà chiare ripercussioni sulla vita di ognuno di noi.
    Un viaggio senza chiedere a Caronte, armati di acciaio letale,sibilante, ruggente..prove di taglio con la dolcezza forte del legno,a tre ,soli e quanto sono libero...a volte pensi di esserlo, ma se ascolti il tuo corpo, lui non sà mentire e ti mostra quanto pattume intellettuale ti illude.

    5 tagli..puro istinto che non prende misure,non calcola...agisce. E finalmente "la bestia" ruggisce,assapora attimi di libertà, libera di divorare...
    quanto è forte questo "motore" che ho dentro? quanto lo sto conoscendo? abbisogna di nutrimento affinchè non torni a divorare me stesso...che un pò per tutti credo sia così. Un antica leggenda pellerossa diceva che abbiamo un lupo bianco e uno nero dentro noi, e sopravvive chi nutriamo di più. Ma secondo me si sbagliavano, vanno entrambi nutriti, anzi,con maggior riguardo quello non consono alla società in cui viviamo,eppur parte integrante di noi,altrimenti, se affamato,esce incontrollato e sbrana...noi stessi,gli altri..poco importa, ma l'importante è sapere che c'è, e dargli almeno in parte,il nutrimento di cui necessita.
    A lungo non ti ho nutrito, e hai cercato di divorarmi,come fiamme affamate di ardere anima e carni..e ancora bruci e, trovo anche modo di equilibrarti con elementi d'acqua, dosando come un alchimista errante ma, quanto fascino hai sanguinario amico....

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