venerdì 5 giugno 2015

Whiplash


“Per favore, togli quel sangue dalla mia batteria”
(dal film Whiplash)

La locandina del film
 Piero, carissimo amico sin dai miei diciott’anni, mi suggerisce la visione di  Whiplash”,insistendo sulle caratteristiche di passione ed elogio della fatica nell’imparare che il film mostra.
Ed arriva la sera che, approfittando dell’assenza di Lupo, io e Monica ci sediamo sul divano per goderci il film.

In sintesi, la pellicola, del 2014, (apprezzata e premiata la notte degli Oscar), narra di un giovane aspirante batterista, al suo primo anno in una delle più prestigiose scuole di musica jazz neworkesi, e del tormentato rapporto con un docente esigentissimo verso i suoi allievi, violento fisicamente e psicologicamente, fino ai confini del sadismo. (1)
Il nocciolo della trama, in perfetto quanto monolitico stile U.S.A. è: solo uno su mille merita di farcela e per farcela deve penare e soffrire oltre ogni limite.
Così, l’apprendistato alla batteria di Andrew, il giovane batterista, prende le forme di uno scontro senza esclusione di colpi, una guerra a tutto campo.

In Whiplash, fedeli allo logica proposta che travalica il classico “no pain, no gain” per abbracciare il parossistico “more pain, more gain”, troviamo dei riferimenti espliciti al cinema, sia quello supinamente prono sia quello  critico verso questa logica: gli insulti, a sfondo omofobo-xenofobo, di Fletcher (il docente) ai suoi allievi, riecheggiano quelli del sergente Hartman in Full Metal Jacket, mentre in più di un’inquadratura si potrebbe scambiare il viso tumefatto e sudato di Andrew con quello di Robert De Niro in Toro Scatenato o di Silvester Stallone nei vari Rocky. Il musicista jazz come soldato e come pugile, dunque, perché la relazione docente / allievo è tutta fondata sull’assolutismo, sulla prevaricazione per stimolare una reazione , reazione che nell’allievo dotato, geniale, lo porterà al successo altrettanto totale, assoluto.
E gli altri ? Due lacrime sul giovane trombettista che pareva ce l’avesse fatta, poi “un incidente” (dice Flechter, il docente) ne ha spezzato il cammino, e .. “the show must go on”, via con la musica e le prove dell’orchestra.  Ah, “l’incidente” è il suicido del trombettista, che non ha retto lo stress.
Il film, in parte autobiografico perché il regista ha un passato da batterista, ha generalmente riscosso successo per la trama avvincente, le intense interpretazioni dei due protagonisti, le musiche jazz sconosciute ai più, dunque senza nessun ammiccamento all’udito delle masse, ma davvero godibili.

Poche le voci dissonanti, tra cui quella di Goffredo Fofi, critico verso questo modello U.S.A. tanto da definire il film “una favola per gonzi di destra”.
Quel che mi ha sorpreso, nelle recensioni “ufficiali” come nel “sentito” di chi lo ha visto, è la mancanza di alcuna riflessione sulla didattica e pedagogia / andragogia che il film sostiene.

by roboticdesign
Per restare nel campo “Arti Marziali”, io ho iniziato con un Maestro che, in perfetta sintonia con l’ambiente Karate degli anni ’70, insegnava senza ammettere repliche, colpendo fisicamente gli allievi immobili sulle ginocchia o sul tronco per correggere “posizioni” non adeguate, colpendoli verbalmente nei sentimenti. Il locale, come molti di voi sanno, era privo di luce elettrica, riscaldamento e servizi igienici. Il combattimento “controllato”, veniva fatto senza protezione alcuna, per cui gli incidenti, in allenamento o in gara, erano all’ordine del giorno. Unica protezione consentita la “conchiglia”, che mi fu spezzata con un calcio frontale.
Io stesso, per anni, riprodussi quella logica.
Io che venivo dalle logiche ( e pratiche !) rivoltose ed anti potere del ’68, che sfidavo l’opinione pubblica con i capelli lunghi fino alle spalle e i foulard portati ai polsi ed alle caviglie, che mi scontravo ripetutamente con l’ordine costituito ed i suoi rappresentanti.

Insomma, per dirla sul “generale”, nel corso degli anni abbiamo assistito alla realizzazione democratica della scuola di massa, obbligatoria e dunque aperta a tutti, che ha però anche significato appiattimento culturale e perdita di ogni risorsa individuale; all’estensione di internet e social network che ha permesso di diffondere conoscenze e contatti virtuali, uccidendo, al contempo, le relazioni reali ed il sapere realmente studiato, masticato e digerito; la flessibilità lavorativa che, con la perdita del “posto fisso”, ha portato con sé la precarietà emotiva del soggetto lavoratore.

Dunque, da un lato trovo disumana la pedagogia / andragogia esaltata nel film, dall’altro, nel mio personale di uomo, padre, counselor e docente di Arti Marziali, non posso non notare i danni provocati dal lassismo, dall’appiattimento culturale, ormai sovrano.

Eppure, una “terza Via” c’è, eccome.
Tra il bambino cresciuto in mezzo a capricci eternamente soddisfatti, regole poco indicate e mai rispettate, coccolato e protetto fino ai quaranta e magari oltre, casa comperata dai genitori e lavoro procurato dagli stessi, ed il bambino cresciuto da chi sia convinto che questi, per imparare, debba essere umiliato, che crescerlo a urla e sgridate quando non a ceffoni gli faccia solo bene, che  il ricatto “se prendi un brutto voto salti la gita con gli amici”, sia un metodo educativo vincente, si è fatta largo, negli anni, una terza prassi educativa e formativa.
Quella esposta dai vari Neill, Rodari, Steiner, don Milani, Dolci, Oliverio, Novara.

Quella che, nel nostro piccolo, da alcuni decenni proponiamo ad adulti e ragazzi e bambini, lavorando in primis sull’esempio e sul linguaggio analogico del facilitatore, di chi il gruppo conduce; poi su una didattica, un’andragogia e pedagogia maieutica in cui sia l’allievo, piccolo o grande non importa, a cercare la sua strada nel bosco, la sua uscita dal labirinto, a conoscere le sue emozioni, le sue parti oscure, ad accettare la vulnerabilità come area di forza, a stare nel confliggere come luogo di crescita.
Lo facciamo ogni sera in pedana, ma anche in occasioni ad hoc, che sia la Notte del Guerriero ( otto ore non stop di pratica marziale, dalla mezzanotte alle otto del mattino) o la Stille Nacht ( due ore di pratica marziale al buio ed in assoluto silenzio) o il recente Raduno dei Bambini e Ragazzi con formazione marziale e “dormita” all’aperto ( qui accanto, in SHIRO, potete leggere i commenti di tutti gli undici giovanissimi protagonisti. Alcune frasi, nella loro poesia, nella loro innocenza, racchiudono un mondo !!). Occasioni in cui stimolare ed incuriosire ad ingaggiare se stessi e le proprie paure, a darsi fiducia nelle piccole cose manuali come nelle progettazioni teoriche più complesse, ad accettare il confronto.
Non sempre, anzi, privi di errore nel nostro proporre e fare, ma consapevoli che anche errare può e deve essere un momento di confronto e crescita. Insieme.

by idanuphotography
 “Se c’è qualcosa che vorremmo cambiare in un bambino, dovremmo prima esaminarla e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi”
(C.G. Jung)

 (1) Mi sorge un dubbio: Che trattino di musica / spettacolo o di ristorazione, quale è il motivo per cui hanno così tanto successo i vari “talent” in cui il giudice o il cuoco di fama maltratta esplicitamente il candidato  ? Di più, perché i  docenti sadici arrivano alle vette della notorietà anche ben oltre i confini  del talent in cui appaiono ? Perché vederli tormentare le loro vittime è per molti uno spettacolo assolutamente imperdibile ?
 


 

 

2 commenti:

  1. Ho trovato in "Un nuovo padre" di Pietropolli Charmet, una bella descrizione di quella terza via che mi sembra indichi il post di Tiziano, e questo in senso costruttivo. In senso più complesso, "cosa resta del padre", di Massimo Recalcati, sembra ricercare cosa dell'archetipo sia in stato di frantumazione, i relativi costi della cosa, e ancora, nuovi spunti di ricerca per chi vuole interrogarsi su questo tema molto importante del maschile. Se riesco a condividere di più i contenuti, ci provo. Chi vuole condividere a voce il tema o le letture, volentieri. Buona estate! Francesco

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  2. Grazie Francesco.
    In una povera Italia dove i lettori sono una “specie” in via di estinzione, dove impazza “Cinquanta sfumature di grigio” o, per restare ai nostri autori, dove si pubblicano e si vendono romanzetti stile “harmony del 2000” scritti da mediocri come De Carlo o Tamaro o Bianchini; dove, nel campo della saggistica, già una goccia nell’oceano della produzione, si pubblicano e si vendono saggi scritti da Bruno Vespa o Walter Veltroni (sigh!!), i titoli, e gli autori, da te proposti sono una manna.
    Il primo è uomo da decenni impegnato sul versante della pedagogia e del sostegno a genitori e figli in difficoltà.
    Il secondo, benché io non ami il pensiero lacaniano, è autore e conferenziere di grande qualità.
    Speriamo che il tuo messaggio sia recepito, che qualcuno legga e ne scriva !!

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