sabato 19 aprile 2025

Yuri, le delicate mani che uccidono

 


Evidenza serale, ore melanconiche, fuori la luce trema coraggiosa nel suo discendere verso il tramonto.

Tendo e fletto le braccia che sfidano delicate l’avversione dell’aria.

Nessuno a guardarmi, nemmeno io. Minuti fruscianti, mentre danzo di Yuri.

Yuri, “percepire la forza”, è l’estensione nello spazio di Ritsuzen e Hanzen. E’ unire il corpo con l’ambiente attraverso la sensazione e la percezione di tutte le membra che l’aria oppone resistenza ai miei movimenti. Più essi sono piccoli, migliore è la pratica.

Aderente a me un drago muscoloso agita squame e coda che sono solamente sue e lungo le braccia mi scivola un’ombra pesante: Vacilla la vivida sensazione che ciò che è appariscente sia più importante e potente di ciò che non lo è. Vacilla fino a crollare: Invincibile resa.

D’altronde questo è il mistero del Taiki Ken, delle Arti sottili che fanno di vulnerabilità, flessibilità e dolcezza arma tagliente e letale.

Nessuna gestualità è ferreamente codificata, immutabile nel tempo.

Solo, qui allo Spirito Ribelle, un gruppo scelto di movimenti che poi ogni praticante interpreterà a suo modo, secondo il suo personale stile di movimento, fino a costruirne di nuovi, di esclusivamente suoi.

Melodie cinetiche… “Nel Taikiken non esistono forme fisse” ed ancora “Il Taikiken mira a consentire a ciascun individuo di utilizzare i movimenti del corpo che gli sono più adatti. Questo è sia il pregio principale che una delle maggiori difficoltà del Taikiken. Una persona inizia a sbocciare come vero praticante delle arti marziali della scuola interiore solo quando è in grado di utilizzare i movimenti che sono intrinseci al proprio corpo. È proprio perché il Taikiken permette alla persona di sviluppare le proprie forme di movimento che a volte viene definito come privo di forme, ma dotato di esse.” Così si esprimeva il Maestro Kenichi Sawai, fondatore del Taiki Ken.

Melodie cinetiche attraverso la pratica di Yuri, le delicate mani che uccidono.

“Io sto condividendo la mia percezione, non la verità. La verità è nella tua esperienza”

(B. Bainbridge Cohen)

 

 



 

giovedì 17 aprile 2025

Le infinite vie dell’Energia e la Vulnerabilità


 


Pur profondamente contrariato che la salute sia andata in vacanza, trascurando di essermi compagna, non intendo rinunciare, per quel e per come posso, a vivere la mia quotidianità.

Eccomi alla sala Gnomo, all’interno dell’Università Cattolica, alla presentazione di due libri dedicati alla

Vulnerabilità

Interessante la presentazione, dove una delle autrici ricorda l’impulso che Brené Brown (1), nelle sue conferenze in rete, le diede nell’affrontare la vulnerabilità come risorsa. D’altronde anche io nei video della Brown trovai ispirazione e slancio per meglio definire il mio passaggio da una pratica marziale che, pur già staccandosi dai concetti di forza e durezza abbracciando invece flessibilità e dolcezza, ancora non aveva bene chiari i concetti teorici dentro i quali completare una pratica siffatta. (2)




Fare della vulnerabilità un’occasione di crescita e potenza, fu per me percorso immediato anche se non agevole. Percorso in cui più volte persi la direzione. Percorso lungo il quale persi anche più di un allievo, smarritosi perché accanto ad una ricerca continua che eludeva dogmi e certezze ora fioriva anche una epistemologia (3) del tutto nuova e lontana da quanto l’ambiente marziale dava per scontato, per assodato, per sicuramente condiviso. Un percorso di ricerca e di avventura non adatto a chi chiedeva certezze e rassicurazioni e, probabilmente, in cui io non fui in grado di sostenere i più deboli, i più fragili, mostrando loro, col brivido di attraversare le insidie del “bosco” (4), anche quanto ciò li avrebbe arricchiti e fortificati.

Sì che la Tradizione marziale, checché ne dicano machisti, muscolati, palestrati, fautori del “No pain no gain”, dei mille piegamenti (piegamenti, non flessioni!!) sulle braccia e delle sfiancanti serie di esercizi per gli addominali, dei volti truci e mai sorridenti (5), delle tecniche (waza) ripetute cento e mille volte, ha inscritto in sé concetti quali flessibilità, adattabilità, adesione e trasformazione della forza dell’opponente volgendola a proprio vantaggio.

“L’Aiki è un mezzo per raggiungere l’armonia con un’altra persona in modo tale che tu

possa farle fare ciò che desideri”

(M. Ueshiba 1883 – 1969 fondatore dell’Aikido)

 

“La forza interna è più sottile e meno immediata, ma non per questo meno potente. Essa incorpora aspetti come la fluidità, la consapevolezza e la capacità di adattamento. Comprendere e applicare la forza interna richiede dedizione e disciplina, poiché non è visibile e palpabile come la forza esterna”

(https://www.makoto.it/post/equilibrio-tra-forza-esterna-e-forza-interna-una-filosofia-delle-arti-marziali)

 

“La flessibilità può neutralizzare la forza bruta che fa di questa disciplina non solo una semplice arte marziale o uno sport ma una vera e propria filosofia di vita.”

(J. Kano 1860 – 1938 fondatore del Judo)

 




Ma torniamo alla presentazione dei due libri.

In particolare, mi lascia perplesso il ripetuto accostare “vulnerabilità” a successo. Come se la dolcezza forte della prima fosse di per sé garanzia di una prestazione vincente, come se la vulnerabilità fosse un’arma in più in vista del successo.

Espongo i miei dubbi, suscitando subito la risposta piccata di una delle autrici. La comprendo.

  • Da un lato è questo il momento in cui è lei sul palco, è lei una delle “regine” dell’evento, e questo mio avanzare dei dubbi incrina l’aura di momentaneo potere che le viene dato; difficile mantenere l’equilibrio, accogliere prendendosi il tempo di “masticare” quanto arrivato e poi donare una riflessione pacata; difficile, insomma, accettare concretamente di essere vulnerabili!!
  • Dall’altro, viviamo tempi in cui il pensiero collettivo è sempre teso a spronarci al successo, al superamento dei limiti, all’emergere dall’anonimato, dunque viene immediato, viene facile, quasi inconsapevole, accoppiare qualsivoglia stato emotivo ad un finale sempre positivo, sempre di successo. Beh, uno dei libri reca in copertina proprio questo mefistofelico accoppiamento!!




Eppure, per me, la forza dell’essere vulnerabile sta proprio nel rischio di essere travolti, schiacciati dalla prepotenza, dalla concreta possibilità di non raggiungere il traguardo perché frenati da ostacoli insormontabili.

Per tanti anni “vulnerabilità” ha fatto il paio con debolezza e gracilità, con uno stato emotivo da celare agli altri e di cui vergognarsi a fronte de “L’uomo che non deve chiedere mai” (6), dell’arroganza e prepotenza come manifesto di riconoscimento ed affermazione.

Io credo invece che riconoscersi vulnerabili è autentica forma di audacia, di coraggioso amore per il rischio, di consapevolezza che può accadere di fallire accettando il fallimento come una delle possibili risposte della vita. Essere vulnerabili è essere autentici.

“… e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarsi con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni,

nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi”

(E. Borgna 1930 – 2024 psichiatra e saggista in ‘La fragilità che è in noi’)




Chiunque pratichi davvero l’Arte del combattimento, leggendo quanto sopra, ha già capito l’importanza della vulnerabilità, di abitare un registro emozionale delicato non solo come parte integrante del vivere, ma anche come premessa fondante la capacità di essere individui autentici e, in quanto tali, capaci di accogliere e comprendere l’altro e l’ambiente.

Sarà scelta autonoma di ognuno che farsene di tale comprensione: Per prevaricare l’altro o per creare una relazione soddisfacente per entrambi.

Chiunque eserciti pratiche conflittuali di contatto ha già capito, spero, come esse possano essere di autentica qualità, di autentica crescita e trasformazione, solo ed unicamente se esperite a partire da emozioni delicate e sensibili. E a culo i vari macho man che affollano il teatro delle Arti Marziali portandovi il loro celodurismo, il loro pesante bagaglio di certezze e verità assolute, il loro “Uomo che non deve chiedere mai”.

Anche perché, come ci ricorda la filosofa Simone Weil: La nostra carne è fragile: qualsiasi pezzo di materia in movimento può trafiggerla, lacerarla, schiacciarla, oppure inceppare per sempre uno dei suoi congegni interni. La nostra anima è vulnerabile, soggetta a depressioni immotivate, penosamente in balìa di ogni genere di cose, e di esseri altrettanto fragili o capricciosi. La nostra persona sociale, da cui dipende quasi il sentimento dell’esistenza, è costantemente e interamente esposta al caso. (in ‘Attesa di Dio’).

 





1. Brené Brown 1965 –.  Accademica e ricercatrice. https://brenebrown.com/

 

2. Come sa chi mi accompagna da tempo, il mio procedere è sempre prassi – teoria – prassi di contro a chi invece privilegi teoria – prassi – teoria.

Il rapporto teoria-prassi rappresenta uno dei nodi cruciali dell’epistemologia pedagogica. Si tratta, indubbiamente, di un rapporto da concepire in chiave di unità dialettica: la teoria, senza prassi, è vuota; così come la prassi, senza teoria, è cieca. In altre parole, una teoria senza relazione con i problemi delle pratiche educative finisce per risultare astratta ed inefficace; ma, al tempo stesso, una prassi che si esaurisce nel far fronte in maniera immediata a tali problemi, senza lumi teorici, rischia di vagare nel buio, di andare per tentativi.” (M. Baldacci in ‘Teoria, prassi e “modello” in pedagogia’)

 




3. ‘Nella filosofia del sec. 19°, la parte della gnoseologia che più in particolare si occupava dei metodi e dei fondamenti della conoscenza scientifica. In un’accezione più moderna e corrente, che prescinde dalla priorità dell’indagine gnoseologica e preferisce insistere sull’esemplarità della scienza positiva, s’intende per epistemologia l’indagine critica intorno alla struttura e ai metodi (osservazione, sperimentazione e inferenza) delle scienze, riguardo anche ai problemi del loro sviluppo e della loro interazione, sinon. quindi di filosofia della scienza; può riferirsi anche all’analisi critica dei fondamenti di singole discipline: epistemologia della matematica, e. della fisica, ecc., o della conoscenza in quanto tale (e. genetica, e. evoluzionistica)’.

(https://www.treccani.it/vocabolario/epistemologia/)

 

4. Letteratura, fiabe e psicoanalisi ci ricordano l’importanza dell’attraversamento del bosco come metafora della discesa nel nostro sé più profondo per uscirne adulti autodiretti, coraggiosi, vitali ed erotici: “Andate nel bosco, andate. Se non andate nel bosco, nulla mai accadrà, e la vostra vita non avrà mai inizio” (C. Pinkola  Estés, scrittrice, poetessa e psicoanalista). Che, nelle Arti Marziali realmente tali, è il necessario attraversamento e la compenetrazione tra Bujutsu, la pratica di uccidere per non essere uccisi, e Budo, la Via per divenire un uomo migliore: “Termine utilizzato nel XX secolo per designare le arti marziali con un fine prevalentemente ‘pacifico’ che indicava, oltre a discipline fisiche e di combattimento, anche dei concetti di natura etica, filosofica e morale” (L. Frédéric in ‘La Arti Marziali dall’A alla Z’)

5. “C’è una gran differenza tra il vivere con una espressione gentile ed il vivere con una espressione truce. Col passare del tempo non solo cambierà l’espressione degli occhi, ma cambieranno anche il viso della persona e la sua visione della vita“ (K. Tohei 1920 – 2011 Maestro 10° dan Aikido in ‘ La coordinazione mente – corpo’)

6. Nota pubblicità televisiva degli anni ’80 che offriva un’immagine di quella mascolinità, che oggi definiremmo tossica, per cui si riconosce un vero uomo dal fatto che non debba chiedere nulla ma prendere ciò che vuole.

 

 


 

 

 

 

sabato 12 aprile 2025

Perché mi piace il Kenpo Taiki Ken

 

Spirito Ribelle - Pa Kwa

Chissà, magari il compito di ogni individuo che voglia farsi adulto è abitare il cielo immenso costellandolo di stelle. Non per riempirlo, che quel vuoto buio ci parla il linguaggio del mistero e del silenzio, “vuoto fertile” (1) di stampo gestaltico, e riempirlo mi parrebbe sconcio e superfluo, quanto per tessere fili invisibili di danza capaci di giocare a rimpiattino e rincorrersi tra una stella e l’altra. Si addensa, così, una melodia cinetica in cui, Tao e sempre Tao, vuoto e pieno si muovono insieme amalgamandosi e insieme scontrandosi.

Fu il poeta Ezra Pound a scrivere “Quello che veramente ami non ti sarà strappato. Quello che veramente ami è la tua vera eredità”.


Amando io il vivere, il vivere di corpo, di corpo fisicoemotivo, e dedicandomi alla pratica delle Arti Marziali da quasi mezzo secolo, convengo che ciò che davvero ami ed a cui dedichi molto, se non tutto, di te stesso, rimane.

  • Ho praticato diverse Arti Marziali e sport da contatto guadagnando gradi superiori e qualifiche di rilievo.
  • Ho attraversato

una prima fase di ricerca dell’Arte migliore, quella completa e più efficace in combattimento;

una seconda di miscelazione delle diverse Arti tra di loro perché questa miscela non lasciasse fuori niente né di tecniche /tattiche né di strategie.

  • Infine (era ora, ma almeno io ci sono arrivato: Quanti altri?) sono approdato alla fase in cui comprendere che è il praticante il centro, l’attore protagonista, con il suo personale ed unico corpo / corpo fisicoemotivo dentro cui far attecchire il sapere del corpo in movimento. Ovvero l'insieme delle informazioni che il corpo stesso fornisce sul proprio movimento, posizione e forza applicata aggiustandole ed adattandole a seconda delle situazioni. Non si tratta né di eleggere una disciplina come l’unica valida né di fare una ‘marmellata’, una sommatoria di pezzi dell’una e dell’altra. il che risulterebbe solo fragile come un puzzle.
Eccomi karateka



A quel punto, una ventina e più di anni or sono, non potevo che innamorarmi di un’Arte, fino ad allora praticata insieme ad altre, di cui il fondatore Wang Xiangzhai diceva: “Non esiste un equilibrio assoluto, quando parliamo di equilibrio, parliamo della capacità di controllare l'equilibrio in questo preciso momento” (2)

Liberato dalla meta, dall’ansia di approdare ad un risultato, pratico errante e vagabondo, pratico per il piacere ed il gusto di percorrere il cammino della conoscenza di me attraverso la conoscenza di me corpo; mai gravido di un carico prestabilito, una tecnica da imparare, una sequenza da memorizzare, e sempre pronto a rinnovarmi, perché essere artista, tanto più artista marziale non è mai, non può essere mai sgranare un rosario recitando devozioni.


ZNKR alle origini



Pare generalmente accettato che la spinta originaria alla creazione dello Yi Quan / I Chuan, il fondatore Wang Xiangzhai la ebbe perché disgustato dalle rigidità formali, dalle pretese dogmatiche, in cui versavano gli allenamenti convenzionali e ripetitivi dei principali stili ‘interni’ di Kung Fu: Tai Chi Chuan, Pa Kwa Chuan e Hsing’I.

Qualcuno una riflessione su come si insegna e si apprende ancora oggi nella pratica di Arti cinesi, giapponesi, vietnamite, filippine, tra ‘copia e incolla’ e ricerca ossessiva dell’imitazione perfetta, avrebbe voglia di farla?

Quando alcuni allievi proposero al fondatore di cambiare il nome della sua Arte in Dachen Chuan ((‘pugilato del grande risultato’ o ‘pugilato grande e completo’) questi rispose: “Non ci sono limiti allo sviluppo dell’Arte Marziale, perché dovrei chiamarla ‘grande risultato’?” (3)

Qualcuno una riflessione sui ‘sistemi’ di questa o quell’Arte che presuppone un percorso con inizio e fine solo al termine del quale l’allievo può essere considerato ufficialmente ‘arrivato’, ‘esperto’, ‘padrone’, avrebbe voglia di farla?

Il sistema nervoso è molto importante e il sistema nervoso è influenzato dall'attività mentale – spirito”. Scriveva già cinquant’anni or sono Yao Zonggxun (4), relegando in secondo piano il lavoro muscolare.

ZNKR Kangeiko - stage invernale a. 2013


Oggi, nel terzo millennio, nelle Arti Marziali ancora l’attenzione prioritaria è sui muscoli, sul potenziamento muscolare e l’allungamento muscolare. Oggi ancora l’attenzione principale è sul corpo come Korper e non Leib (5), sul tentativo di unire corpo e mente come fossero due cose diverse. E questo nonostante il sapere taoista, la fenomenologia occidentale, le neuroscienze (6) e… lo Yi Quan!!

Perché dello Yi Quan

ho scelto la versione giapponese?

  • La mia formazione marziale è iniziata con un’Arte giapponese, il Karate stile Shotokan, ed è proseguita affiancando alla pratica regolare di questo stile esperienze prolungate o saltuarie di altri stili di Karate come Shingakukai, Wado Ryu, Shito Ryu, Goju Ryu, e, dunque, le mie fondamenta sono propriamente giapponesi.
  • Il primo incontro con lo Yi Quan nel 1980 o giù di lì, avvenne nella versione giapponese grazie al Maestro Tokitsu Kenji. Riferimento che, nei decenni, pur saltuariamente, non ho mai perso.
  • Quando decisi di approfondire lo studio di quest’Arte avevo la possibilità di scegliere tra un comodo studiare nella mia città, Milano, presso il Maestro Yang Li Shen che vi si era appena trasferito o un molto meno comodo recarmi regolarmente a Firenze presso il Maestro Stefano Agostini che, con il Maestro Sun Li, diffondeva uno stile di Taiki Ken, lo I ken. Pur non potendo certo disconoscere la validità del Maestro Yang Li Shen, preferii la scomodità del viaggiare Firenze – Milano. (7)
  • Infine, ho sempre aborrito la traduzione di Yi /I che veniva data qui in Italia ed appiccicata allo Yi Quan / I Chuan, ovvero ‘Intenzione’, dunque ‘Pugilato dell’intenzione. Mi sono invece ritrovato nella traduzione che ne dà la sinologa Giulia Boschi ‘Spontaneità, su cui concordava, in una conversazione privata avuta durante uno stage presso di lui, il Maestro Xia Chaozhen e che è propria anche dei Maestri che lo Yi Quan insegnano in Francia. C’è una bella differenza tra proporre una pratica basata sull’intenzione “Orientamento della coscienza verso il compimento di un’azione, direzione della volontà verso un determinato fine; può indicare semplicemente il proposito e il desiderio di raggiungere il fine, senza una volontà chiaramente determinata e senza la corrispondente deliberazione di operare per conseguirlo” così la definisce il Vocabolario Treccani, o sulla spontaneità “La caratteristica, il fatto di essere spontaneo e non calcolato o affettato, come tendenza abituale a comportarsi con naturale franchezza e immediatezza” (ibidem).

Spirito Ribelle. Maki mani che avvolgono



Giacomo Dall’Ava scrive: “Le azioni sono inscritte nella carne ancor prima che l’intenzione consapevole agisca e detti i comandi. Insomma, non è che abbiamo un corpo ma siamo corpo” (‘La reazione all’ambiente che ti comanda’ in ‘La chiave di Sophia’ n.12 giugno – settembre 2020). Chiunque stia leggendo capisce subito la differenza, lo spartiacque, che rimanda, ohibò!!, a quella tra Korper e Leib, tra la solita pratica ripetitiva e dogmatica ed il percorso creativo, totale che, mi pare di poter affermare senza essere smentito, stava alla base della nascita dello Yi Quan e della sua versione giapponese, il Taiki Ken.

“Non ci sono forme fisse nel Taikiken. Sebbene questo libro presenti metodi di difesa e attacco, sono solo esempi dei tipi di attacchi e difese possibili. Praticare per perfezionare Zen e Hai costituisce la base dell'allenamento. Quando si entra in contatto con un avversario, il proprio corpo deve essere in grado di muoversi in completa libertà. Costringere persone grandi e piccole a praticare le stesse forme non ha senso. Inoltre, un'eccessiva attenzione alle forme uccide solo la libertà di movimento. Il Taikiken mira a consentire a ogni individuo di usare i movimenti del corpo che gli si addicono”

(K. Sawai ‘Taikiken The Essence of Kung-fu’. Traduzione dall’inglese mia)

Letto quanto sopra, comprendi perché 

mi piace il Kenpo Taiki Ken?

E a te?

 

 


 

 

1. https://scuolacounselinggestalt.it/v-come-vuoto-fertile/#:~:text=La%20sensazione%20era%20quella%20di,Ci%20abbracciammo.

2. He Jinping ‘Wang Xiangzhai – Contradictions old man’ traduzione dal cinese all’inglese di A. Kalisz; dall’inglese all’italiano, mia. In ‘Collection of essays about Yiquan published at A. Kalisz’s site in years 1996 – 2007.

3. Master Yao Chengguang answers question; traduzione dal cinese all’inglese di A. Kalisz; dall’inglese all’italiano, mia. Ibid.

4.Yao Zongxun ‘General characteristics of Yiquan”; traduzione dal cinese all’inglese di A. Kalisz; dall’inglese all’italiano, mia. Ibid.

5. Leib è il corpo vivente, abitato, di cui faccio esperienza, che è me. Körper è il corpo-cosa, il corpo nella sua materialità, corpo oggettivizzato, quello che come una maglia allungo, stiro, accorcio, ripiego come se fosse altro da me, come se non fosse me e come tale suppongo (erroneamente) non mi influenzi fino a determinarmi nel pensare, negli stati d’animo, nell’agire a seconda di come lo tratto.

6. “La mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello” (A. Damasio ‘L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano)

7. A conferma delle capacità del Maestro Yang Li Shen, posso scrivere che due miei allievi, già plurigraduati cintura nera presso di me e con qualifica di Maestro, i quali stavano cercando una loro autonoma strada marziale, studiarono per diversi anni col Maestro Yang Li Shen. Ambedue raggiunsero la qualifica di Insegnante e gradi superiori, quarto e sesto, entrando nella ristretta cerchia dei discepoli a lui più vicini, almeno fino a quando il Maestro lasciò l’Italia e la sua organizzazione si sbriciolò. Io però non rimasi affatto colpito dal suo modo di insegnare, che mi risultava dogmatico e per nulla corrispondente allo spirito di quell’Arte come descritto invece dal Maestro Guo Gui Zhi: “D. Ci sono allenamenti codificati nel Dacheng Chusn / Yi Quan? R. No, nulla di predeterminato. (omissis) Il lavoro di visualizzazione, di sensazione e sullo spirito fa parte del metodo interno. Yi si può tradurre con volontà e spirito”. (Intervista di cui ho conservato traccia scritta ma non il riferimento bibliografico)

 

Spirito Ribelle. Sempre nuovi giochi di formazione

 

 




giovedì 10 aprile 2025

Di poeti, di anarchici, di ribelli e di eterni sconfitti al tavolo di gioco della vita

 L’elenco sarebbe lungo, lunghissimo. Perché sin dagli albori dell’umanità hanno vissuto singolari individui capaci di incarnare lo spirito ribelle e sovversivo di chi non canta mai nel coro e non si perita di doverne pagare le conseguenze. Di chi cerca oltre l’orizzonte non per narcisismo, per stupidità, per un malato delirio di onnipotenza, per una fede smisurata e incrollabile in una ideologia, ma per quella genuina sete di sapere mai disgiunta dal sapore beffardo dell’autoironia prima ancora che dell’ironia, dal gusto del maramaldeggiare facendosi beffe del conformismo e delle convinzioni dominanti, dal prendersi sul serio il giusto senza mai innalzarsi sul piedistallo.

Dei tanti, tantissimi, che hanno legittimamente posto nell’elenco, qui mi piace ricordare due uomini agli antipodi tra di loro per collocazione ideologica, per ruolo professionale e sociale, per importanza nella storia grande, per destino.






Ezio Vendrame, calciatore degli anni ’70, di cui lo scrittore Gianni Mura così ebbe a scrivere: “Uno che sostiene che il gol è la cosa più insignificante di una partita, che è molto più divertente mirare il palo, uno che una volta ha dribblato il portiere e poi, a porta vuota, è tornato indietro perché anche un portiere è un uomo e bisogna dargli un’altra possibilità, uno così non deve fare carriera. E non vuole farla”. Con quella testa, Vendrame non sfondò nel grande calcio. Morì a 72 anni per un male incurabile dopo che dal calcio era passato allo scrivere libri e poesie.

Giuseppe Rensi, considerato, da chi ne ha studiato la vita, il padre putativo del fascismo. A lui, militante a sua volta del socialismo rivoluzionario, si deve l’aver portato Benito Mussolini da radicate posizioni socialiste, attraverso l’interventismo, al fascismo.


Rensi ebbe ruoli importanti all’interno del Partito Socialista, tanto da essere direttore de «Lotta di classe» e collaboratore sia con la «Critica sociale» di Filippo Turati che con la «Rivista popolare» di Napoleone Colajanni. Costretto, in seguito ai moti milanesi del 1898, a lasciare l’Italia e a rifugiarsi nel Canton Ticino, lì avviò la sua conversione verso idee di stampo fascista. Fu elogiatore di Lenin, considerò il fascismo l’applicazione coerente delle teorie rivoluzionarie di George Sorel (1) ai ceti medi viste come nuovo socialismo. Una volta che il fascismo divenne regime di potere, gli si rivoltò contro, fedele al suo motto “Dalla parte di vinti e mai dei vincitori”. Da dissidente, fu incarcerato più volte e privato della cattedra universitaria.

Un ribelle “piccolo”, insignificante al palcoscenico della grande storia, e un ribelle che in quel palcoscenico ha avuto un ruolo di levatrice di profondi mutamenti, gravi tragedie.

Mi pare di riconoscere in Vendrame e Rensi due individui che scelgono deliberatamente di porsi controcorrente. Mentre molti di coloro che compiono questa scelta lo fanno nell’ansia di essere accettati, non da tutti indistintamente, è ovvio, ma dal loro ambiente, dalle persone che ammirano e di cui desiderano il rispetto e la considerazione, loro invece si sono posti proprio fuori e contro il loro ambiente: il primo l’ambiente da cui traeva la ‘pagnotta’ ed avrebbe potuto trarne successo, il secondo l’ambiente che lui stesso aveva contribuito a costruire.

Non ho una morale da trarre da quanto scritto sopra, né indicazioni di percorso

per chi volesse ascoltarmi.

Mi piace però pensare che essere un autentico ribelle significhi rinunciare alla illusione di un controllo totale sulle cose e di conseguenza tollerare la paura e l’ansia che originano dalla necessità di vivere in una aleatorietà che non può essere completamente eliminata.

Sapersi fermare, sapere di non potere capire tutto, una sorta di umiltà socratica che rende il dubbio non solo tollerabile ma auspicabile potrebbe essere stato, con diversa profondità, il “cum grano salis” di un piccolo atleta e di un corposo pensatore.

Vendrame autore di gesti sfrontati e irrispettosi, come quando salì a piedi uniti sul pallone e vi rimase per alcuni istanti guardandosi attorno, mano di taglio sulla fronte per comunicare ai compagni che non vedeva nessuno di loro libero a cui passare la palla. Oppure, in una partita il cui risultato di parità era già stato deciso in anticipo, puntò rapidamente la sua porta, dribblò i compagni e, davanti al proprio portiere, mimò di fare autogol perchè lui non tollerava le partite “combinate”. Purtroppo, sugli spalti, uno tifoso morì di infarto!!

Rensi, capace di allontanarsi dalla creatura alla cui nascita aveva tanto contribuito, di non cedere alle persecuzioni della stessa continuando la sua indagine filosofica e la scrittura di numerosi libri. Di attraversare positivismo, idealismo, scetticismo, incurante di ogni contraddizione e scontrandosi senza alcuna remora con colui che, allora, era considerato un gigante del pensiero ed una bandiera del regime: Giovanni Gentile.

Alcuni fallimenti ci spingono a insistere, altri invece a lasciar perdere; alcuni ci danno la forza di perseverare irremovibili, altri ci suggeriscono un cambiamento, e in questo altalenarsi il ribelle sceglie per estro ed istinto, mai per convenienza. Probabilmente, una virtù del fallimento è che non rende necessariamente più saggi, più umili o più forti, ma semplicemente disponibili ad altro: Per Vendrame la sua opera di poeta e scrittore, per Rensi il suo immergersi nella speculazione filosofica. Per altro, ambedue dimenticati e caduti presto nell’oblio sia in riferimento alla loro prima parte di vita che alla seconda!! E’ il destino di ogni autentico ribelle?

I grandi audaci sono grandi estimatori. Dell’altro ammirano sempre la singolarità. Pertanto non lo imitano: l’altro li affascina proprio perché inimitabile, però a lui si ispirano. E’ la bella virtù dell’esemplarità, che non bisogna intendere in senso imitativo, perché gran parte di ciò che siamo convinti di sapere non è altro, in realtà, che semplice fiducia nelle conoscenze di qualcun altro. I ribelli Vendrame e Rensi hanno osato andare oltre e conoscere sulla propria pelle, senza timore di apparire e probabilmente essere contraddittori, persino sciocchi secondo il vigente modo di pensare e giudicare le persone ed i loro atti, ed anche per questo sono stati rapidamente dimenticati.

Nella cultura giapponese, si chiama gyakufu (faccia al vento), chi o cosa si oppone ostinatamente all’ordine delle cose, al pensiero dominante e generalmente condiviso. E gyakufu è connotazione sempre negativa. Eppure la storia dei samurai è ricca di guerrieri antichi e moderni che furono, a loro modo, chi Vendrame chi Rensi.

Nella cosmogonia taoista, tra gli otto immortali, ha un ruolo di spicco Lan Caihe. Forse intersessuale, forse maschio che si credeva femmina, forse semplicemente effeminato, Lan Caihe spicca per le sue stravaganze e un carattere vivace ed irrequieto. Non a caso, la sua figura nella pratica della spada è associata all’imprevedibilità, a colpi e parate del tutto insoliti.

Mi piace pensare che la figura del ribelle, che ogni ribelle, a suo modo ci inviti ad accantonare il timore di non essere accettati, la paura di essere sconfitti, per invece rischiare di nostro quella strada che nostra sentiamo. La vergogna per una nostra presunta diversità, la paura stessa di non farcela dentro la scala di valori su cui si è costruita la società ci lascia impantanati, ci àncora allo status quo anche quando il cambiamento, pur rischioso e persino improduttivo e foriero di calamità, ci tenta, lo sentiamo nostro. E allora a culo quel che pensano gli altri, quel che di disgraziato potrà succederci: Vendrame mai salito alla ribalta del calcio che conta. Rensi perseguitato da quell’apparato che senza di lui mai sarebbe esistito.

E tu, hai un tuo Vendrame o un Rensi che possano ispirarti?

 

1.     1G. Sorel (1847 – 1922) ingegnere e filosofo.

 

 

 

martedì 8 aprile 2025

Pa Kwa / Hakkeshou. Secondo vortice e animale Gru, Falco / Gallo

 



“Guarda la Luna/ tra li alberi fioriti;/ e par che inviti/ ad amar sotto i miti/ incanti ch’ella aduna.

Veggo da i lidi/ selvagge gru passare/ con lunghi gridi/ in vol triangolare/ su ’l grande occhio lunare”

(G. D’Annunzio) (1)

 




Il secondo Vortice, a disegnare con una mano il numero otto / segno dell’infinito parallelo al suolo. Come per ognuno degli otto Vortici, l’avvitamento e la spirale si avviano, alternandosi a piacere, dal dito mignolo, il cuore, e dal dito pollice, il polmone. Il passaggio da un lato all’altro non è effettuato con la torsione dei fianchi, dispersiva, ma con un movimento “a rientrare” anch’esso originato dall’affidarsi alla spirale e particolarmente ficcante.

 





Il secondo Vortice si accompagna all’animale Gru, Falco / Gallo del Pa Kwa / Hakkeshou

Ogni Scuola, ogni insegnamento, si affida ad uno, uno solo, di questi animali. La differenza non è ininfluente, perché ognuno di loro vanta caratteristiche diverse; dunque, con e prima ancora della pratica, ben diversi sono i tratti fisici / fisicoemotivi e di carattere (a volte anche di personalità) che la pratica va a toccare.

Giusto mò di esempio:

  • Ø  Il Gallo / Falco è animale simbolo del coraggio e del combattimento, sopportando ogni rischio per salvare la propria famiglia, il proprio clan.
  • Ø  La Gru è invece simbolo di lunga vita, felicità e buona fortuna. Le gru sono anche simbolo d'amore e fedeltà poiché rimangono con lo stesso partner per tutta la loro vita. Alcune fiabe tradizionali utilizzano la gru per invitare a rispettare la bellezza senza violarla con la curiosità ed il desiderio di sapere ad ogni costo.




Da noi, Spirito Ribelle, pratichiamo

l’animale Gru.

La qualità della relazione che abbiamo con noi stessi e con il mondo, il nostro carattere, il nostro modo di stare nelle relazioni, sono influenzati profondamente dal modo come sentiamo e comprendiamo l'ANIMA-LE dentro di noi. Wilhelm Reich (2) lo chiamava nucleo biologico primario, i taoisti Dan Tian, c’è chi lo definisce Sé, chi parte sacra. Al di là delle tante definizioni, resta un'unica essenza che lega la vita d'ogni individuo alla vita dell'Universo.

Breve schema esplicativo della Gru

Caratteristiche

Polarità opposta

MTC

  • gli uccelli non hanno braccia, perciò stanno su una gamba sola e con l'altra raspano, usano una gamba come mano (il ginocchio si muove come un gomito) per razzolare nel fango, nella terra. Hanno i la capacità di stare in equilibrio su una gamba e lasciare l'altra completamente indipendente. Hanno il collo molto mobile e allungato, usano la testa con movimenti veloci e molto sciolti (beccare). Questa è sempre libera, indagatrice, lo sguardo sempre alla ricerca di qualcosa. Altra caratteristica è il volo, la leggerezza.
    .

Rigido.

Soggetto con carattere inflessibile ed orgoglioso.  Si controlla, trattiene, mostrando rigidità sovente localizzata nella schiena. L’individuo con questa struttura caratteriale è generalmente orientato verso il mondo, ambizioso e competitivo, in lui la passività è indice di vulnerabilità. Quando anche agisce di cuore lo fa sempre anelando al controllo della parte razionale., Per questo desiderio e slancio amoroso sono sempre frenati.

Dal punto di vista affettivo, tale individuo è convinto che le proprie emozioni e i propri impulsi debbano essere controllati per non perdere la propria autostima o per non danneggiare gli altri. Di qui la tendenza a reprimere e a razionalizzare le emozioni. Rigido, impostato, non si abbandona e vive gli affetti in modo coartato.
Si tratta quindi di un disturbo pervasivo, che incide sul funzionamento generale del soggetto, inficiandone a volte l’efficienza e rendendolo così rigido e noioso, da compromettere la qualità delle sue relazioni sociali.  E’ un individuo eccessivamente preciso, affidabile, puntuale, pignolo ed ordinato che, anche nel linguaggio comune, viene reputato “ossessivo”.

Fuoco, cuore, lingua, rosso, gioia;

Domina sangue e vasi (controllo vascolare) si manifesta sul volto, abita lo Spirito e la mente; da esso dipendono consapevolezza, pensiero, qualità del sonno e, in parte capacità mnemoniche (collegate ai reni). Ha quindi il controllo dell'equilibrio psichico.

E' collegato alla lingua e dunque alla capacità oratoria.

Il cuore è associato all’estate. Il meridiano cuore favorisce l’adattamento degli stimoli esterni alla condizione interna del corpo. Ciò lo connette all’emotività e alla funzione regolarizzatrice di tutto il corpo mediante la sua influenza sul cervello ed i cinque sensi.

Rappresenta l’amore, la passione, la violenza.

La pratica della Gru giova a chi,

Ø  Ha timore di abbandonarsi e di essere fragile; a chi associa il cedere alla sottomissione; a chi anche nei rapporti intimi rimane sulla difensiva

Ø  Soffre di spasticità nei muscoli estensori e flessori.

 



Qui allo Spirito Ribelle, la pratica dell’animale Gru comprende, con la camminata in cerchio Pa Kwa / Hakkeshou, anche esercizi e giochi specifici di quell’animale e dei tratti fisicoemotivi e caratteriali che lo interessano:

  • ·         pratiche energetiche e di salute Chi Kung / Kiko;
  • ·         abbinamento tra ritmo e frequenza del respiro e andatura “libera”;
  • ·         meditazione specifica;
  • ·         antica forma Dim Mak, ovvero di percussione sui punti vitali;

oltre che, ovviamente, a giochi vincolati e semiliberi di formazione al combattimento in stile “Gru”.

 

 


 

 

 

 

1. Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938), scrittore ed attivista, profondo ammiratore del Giappone e della sua cultura. Ammirazione ampiamente ricambiata tanto che, a Tokyo e Kyoto, gli si dedicarono grandi festeggiamenti in occasione dell’anniversario dei 150 anni dalla sua nascita.

2. Wilhelm Reich (1897 – 1957), psichiatra e psicanalista, sviluppò una sua psicoterapia corporea chiamata Vegetoterapia Caratteroanalitica: https://desireerenault.it/psicoterapia-corporea-di-wilhelm-reich/