Da decenni, prima come ZNKR poi come Spirito Ribelle, ho scelto di proporre una pratica delle Arti Marziali in cui il soggetto principale sia il praticante e l’Arte scelta lo strumento di preparazione e crescita dello stesso. Con ciò rovesciando il consueto modo di insegnare l’Arte come dogma, come modello, a cui il praticante deve piegarsi ed adattarsi cercandone la migliore imitazione possibile.
“Per esempio, la maggior parte delle pratiche didattiche si fonda sull’assunto che lo studente è fondamentalmente un ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si origina lo stimolo è importantissimo, e che lo studente non ha altra scelta se non vedere e capire lo stimolo così come esso “è”. Adesso noi sappiamo che tale assunto è falso”. (N. Postman ‘L'insegnamento come attività sovversiva’)
Non trovo fertile costruire un percorso che non parta da una riflessione sul ‘Chi sei?’ del praticante, visto come individuo nella sua struttura corporeo – sensoriale, fisicoemotiva, nel suo modo di stare in relazione all’ambiente. Questo allo scopo di portarlo a conoscersi nel profondo, migliorando le sue attitudini gestuali, motorie, come condizione fondamentale per farne un guerriero: ‘Colui che sa stare nei conflitti’, quelli abituali in famiglia, al lavoro, nelle relazioni quotidiane e, nel caso, quelli da aggressione fisica vera e propria.
Allo Spirito Ribelle non ci interessa che il praticante raggiunga un livello di conoscenza dato apriori, una imitazione tendente alla copia perfetta del modello dato, quanto accompagnarlo perché percorra il più a lungo e meglio possibile il cammino della propria autorealizzazione grazie alle esperienze che la pratica marziale gli offre.
Proprio in coerenza con l’essere ‘Arte Marziale’, dunque di combattimento, ci affidiamo ad una globalità di stimoli, per esempio il risveglio di tutti i cinque sensi, per portare alla luce l’animalità sepolta da secoli di civilizzazione e ‘buone maniere’, così come pratiche di coordinazione, di ‘attività multipla e simultanea’, capaci di investire tono muscolare, uso delle articolazioni, meccaniche spiraleggianti ed elicoidali. Con ciò favorendo un autentico rapporto con la realtà del confronto con l’altro e l’ambiente, ovvero la padronanza del proprio schema corporeo, dell’orientamento spazio – temporale, dello stare consapevolmente nel ‘qui ed ora’. Quella che sì, realmente, è crescita della persona, pratica che dal Bujutsu (per dirla semplicemente, è: Darle per non prenderle o, almeno, prenderne il meno possibile) sfocia nel Budo, l’arte del buon vivere, del benessere e bellessere.
Sono fermamente convinto che ripetere e ripetere e ripetere gesti e schemi motori dati, valutare i progressi di un praticante in base alla capacità di copiare un modello dato, significa congelare l’intelligenza motoria del praticante (e il praticante stesso!!) in schemi riduttivi e unidirezionali, secondo moduli che inevitabilmente cancellano i molteplici significati di un gesto, di un’attitudine, di una postura, di una sequenza motoria, costringendoli in corto – circuiti causalistici rassicuranti (‘mi adeguo allo stile dato’) quanto impoverenti. Qui io parlo di pratica marziale e di artisti; lascio l’ossessione delle ripetizioni e dell'imitazione spasmodica di un gesto ai praticanti sportivi che vengono giudicati proprio in base alla migliore imitazione e perciò necessitano di una didattica fatta di ripetizioni e sudditanza al modello dato, come accade nelle gare di ‘forme’.
Il corpo, dunque il praticante di cui sto scrivendo, è corpo Leib e non Korper (1). Non è il corpo asettico dell’anatomia, ma il corpo libidinale. Non è mera dimensione misurabile, circoscrivibile in parametri e protocolli spazio – temporali, come dialettica tra tonicità e rilassamento. E’, invece, un corpo su cui lavorare per portare dallo sfondo in figura quelle dimensioni comunemente individuate come caratteristiche di ogni individuo: motivazioni, desideri, paure, tensioni, significati.
Significa, proprio a partire dall’immenso bagaglio che le Arti Marziali offrono, praticare il terreno dell’incertezza che è, paradossalmente, la costante del vivere, praticare l’arte del ‘conosci te stesso’, i propri bisogni ed i mezzi espressivi che ci sono più consoni.
Questo anche praticando le ‘forme’, purché lo si faccia cercandone l’interiorizzazione dell’essenza, che è sempre e del tutto personale. Perché solo quando il movimento è autentico, la forma, qualsiasi forma, diventa poesia.
Prossimamente, un post sul connubio tra pratica marziale e pratica dell’immaginazione attiva, come miglior modo di approcciarsi alle ‘forme’.
1. Leib, corpo vissuto, intrinsecamente legato alla coscienza umana- Korper, oggetto corporeo, materia che può essere osservata e misurata.



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