Amo profondamente i libri di Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, come le sue
elaborazioni confluite nella “Terapia Strategica Breve” (1).
In ogni parola, in ogni azione della sua pratica
terapeutica, mi è semplice trovare legami con la pratica marziale e non
potrebbe essere altrimenti, trattando entrambe di conflitti e soluzioni nei e
dei conflitti.
Qui voglio presentare il suo
“La
nobile arte della persuasione”
in un modo che evidenzi, citandone alcuni passi, questo
nesso.
Un gioco che mi piace fare e che spero invogli chi mi sta
leggendo ad approfondire per suo conto il tema trattandolo dal lato che più sente
suo: la comunicazione verbale e para verbale, la terapia d’aiuto alla persona,
la pratica del confliggere in ogni suo aspetto, ecc.
Personalmente, nella
mia duplice veste di counselor e docente di Arti Marziali, voglio
evidenziare, e lo farò nelle citazioni a seguire:
- Gli
approcci diversi che, differenziando il “come” praticare Arti Marziali, ne connotano
il cuore, la sostanza stessa, imponendo una totale diversità epistemologica (metodi
e fondamenti della conoscenza) e di pratica.
- L’importante
funzione terapeutica, di aiuto e crescita, che la pratica delle Arti marziali
può svolgere sia negli specifici incontri di counseling che nei corsi veri e
propri di Arti Marziali.
Il
persuadere
Il
percorso di persuasione non si oppone mai alle convinzioni o credenze
dell’altro, ma le rispetta e le utilizza in vista di ulteriori prospettive,
permettendo di aggirare le resistenze al cambiamento. (pg.
16)
La pratica marziale come io la intendo e propongo qui
allo Spirito Ribelle ZNKR si basa proprio su questo assunto.
Ogni scambio di mano a contatto (push hands, chi sao,
maki ecc) non contempla l’erigere una barriera invalicabile per l’opponente
quanto invece una membrana sensibile in grado di filtrare ciò che si vuole
accettare e respingere / deviare ciò che non si vuole accettare.
Di più, si mette in conto che è proprio l’aprirsi al
premere, spingere, colpire dell’opponente, fino a permettergli di portare le
sue mani a contatto del corpo, a dare l’opportunità di entrare in relazione
autentica con esso fino, realmente, a volgerne l’aggressività offensiva a
proprio vantaggio.
Nella
mia pratica marziale, ovvero di confliggere per avere la supremazia,
che dura da oltre quarant’anni, ho incontrato una sola Scuola che operi in
questo modo: l’HME del Maestro Adam
Mizner.
Tutte le altre Scuole, di qualsia Arte si occupino,
praticate di persona o viste in azione, non accettano il “non si
oppone mai”, non accettano, come scrissi in altri post, di “perdere
per guadagnare”. Queste vivono ogni spinta o attacco come nemico da cui
difendersi in un modo o nell’altro, mai permettendo l’ingresso dentro la
propria chinesfera (2), dentro
l’area occupata dalle proprie braccia, come strategia fondamentale per volgere
la situazione di crisi a proprio vantaggio.
Nella
pratica più specificatamente di aiuto, in particolare nella
prospettiva gestaltica, la Scuola in cui mi sono formato: “individuo e gruppo sociale non sono entità a sé, ma parti di una stessa
unità in reciproca interazione, per cui la tensione che può esistere tra di
esse non è da ritenersi l’espressione di un insolubile conflitto, ma il
necessario movimento all’interno di un campo che tende all’integrazione e alla
crescita.
(omissis)
La
capacità del terapeuta di creare un contesto in cui il paziente possa
sviluppare la propria integrità si attua attraverso una “danza” tra terapeuta e
paziente. Non è la tecnica esercitata da una persona esperta su un’altra
persona che chiede aiuto, è la co-creazione di un confine di contatto in cui i
valori, le personalità, i modi personali di affrontare la vita giocano un ruolo
fondamentale. È la danza che il terapeuta, con tutta la sua scienza e la sua
umanità, e il paziente, con tutto il suo dolore e la sua volontà di guarire,
creano per ricostruire il ground su cui poggia la vita di relazione, il senso
di sicurezza nella terra e nell’altro, e quindi il lasciarsi andare
nell’intimità.”
(https://www.gestalt.it/definizione-psicoterapia-gestalt-therapy-hcc-italy-psicologia-cosa-e/)
Il
convincere
il
convincimento (si realizza) mediante uno scambio ‘dialettico’, ovvero la
contrapposizione delle tesi (pg. 25)
E’ la pratica diffusa ovunque, ma non da noi, nei giochi
/ esercizi citati in precedenza,
Le braccia si ergono a strenua difesa, l’atteggiamento
emotivo è quello di alzare una barriera che impedisca l’accesso e da cui
partire per invadere lo spazio dell’opponente.
L’atteggiamento corporeo non prevede il rilasciamento
muscolare (3) ma una tensione continua,
un succedersi di contrazioni o, all’opposto, nelle pratiche formali e “di
facciata”, un totale rilassamento indice di assenza di desiderio, di slancio
vitale.
Strategia e tattiche sono conseguenti a ciò.
Il
manipolare
Il
criterio alla base della manipolazione consiste nel forzare la volontà del soggetto, rispetto alle
informazioni trasmesse o alle pratiche cui l’individuo viene sottoposto,
attraverso metodi che lo “costringono” a cambiare.
(pg. 24)
Qui si gioca una profonda differenza negli esercizi e
giochi succitati, in cui il praticante non solo rifiuta ogni relazione di
contatto ma, per esempio portando le proprie braccia estese, tende ad escludere
ogni scambio.
Ma la differenza investe anche e soprattutto il modo di
insegnare / imparare.
Ne ho già scritto più volte, qui mi limito a sottolineare
la differenza che è divergenza totale tra un metodo direttivo che “ forza(re) la volontà del soggetto” per
piegarlo ad essere un vaso vuoto da colmare con il sapere prestabilito, un
passivo imitatore e copiatore di uno stile, un fare, codificato e
preconfezionato e, invece, un investimento sulle potenzialità del praticane,
sulle sue risorse inconsce che “stimola
nell’interlocutore sia la parte cognitiva che quella emotiva” (omissis) “attiva contemporaneamente l’emisfero destro
e sinistro del cervello, inducendo risposte contemporanee del telencefalo, la
mente ‘moderna’ e del paleoencefalo, la mente ‘antica’” (pg. 17).
Uno
sguardo a Oriente
“Per
gli occidentali il nesso causa – effetto ha guidato per secoli l’osservazione e
la spiegazione della realtà, mente per gli orientali causa ed effetto sono
legati da una relazione circolare, come ben espresso dal simbolo del Tao: non
esiste nulla che sia diretto a uno scopo senza che questo scopo si ritorca poi
su ciò che lo ha prodotto.
Questa
concezione filosofica non coincide con la ‘causalità circolare’ (Wiener, Ashby,
Von Bartalanffy), ma è una visione che permea totalmente il senso orientale
della vita. Come evidenzia ancora una volta Francois Jullien, non esiste una
visione eroica del lottare contro le avversità sino a superarle, ma solo un
piegarsi alla naturalità delle cose.” (pg. 28)
Qui sono io a smarrirmi.
Se mi ritrovo perfettamente nel motto “Wu wei” inteso come non eccedere, non
tirare troppo la corda, mi riesce difficile leggere qualsivoglia pratica
marziale, per esempio il Tai Chi Chuan che si rifà al taoismo, come rinuncia
alla lotta. Mi pare un controsenso.
Non mi resta che, nel mio praticare e proporre le Arti
Marziali, abbracciare un ecumenico incontro tra taoismo e la causalità
circolare citata sopra!!
La
comunicazione performativa
“il
linguaggio indicativo, rappresentato da tutte le forme di comunicazione che prevedono
un passaggio di informazioni e forniscono spiegazioni sugli oggetti osservati.
In questa modalità comunicativa il focus è l’istruzione relativa alla materia
in esame.
ìl
linguaggio performativo, rappresentato dalle forme di comunicazione che evocano
o inducono sensazioni che a loro volta producono effetti i quali vanno al di là
del loro valore semantico. Questi tipologia di linguaggio fa sentire, oltre che
capire: il focus è l’effetto pragmatico, ovvero l’influenzamento nella
direzione proposta da chi comanda.” (pgg. 39 – 40)
Ecco il primo, e diffuso ovunque, metodo che ordina e
dispone: “la maggior parte delle pratiche
didattiche si fonda sull’assunto che lo studente è fondamentalmente un
ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si origina lo stimolo è
importantissimo, e che lo studente non ha altra scelta se non vedere e capire
lo stimolo così come esso “è”. (N. Postman. L’insegnamento come
attività sovversiva)
Il secondo, invece, che nelle Arti Marziali è proprio della nostra Scuola e MAI ho incontrato
in altre:
- “L’atteggiamento dell’insegnante che adotta
il metodo dell’inchiesta, si riflette sul suo comportamento. Quando lo vedete
in azione, osservate che:
E’
raro che l’insegnante dica agli studenti che cosa pensa che essi debbano sapere.
(…)
Egli
si rivolge agli studenti soprattutto mediante domande. (…)
In
generale, non accetta una sola affermazione come risposta a una domanda.
Le
sue lezioni prendono forma sulla base delle risposte degli studenti e non di
una struttura “logica” preordinata”. (ibidem)
- “Al nostro insegnante che adotta il
metodo dell’inchiesta, o “induttivo”, importa anzitutto di aiutare i propri
studenti a diventare più abili nell’uso di tali metodi.
Egli
misura il successo riportato sulla base del cambiamento intervenuto nel
comportamento dei suoi studenti”. (ibidem)
- “Lo studente deve essere il centro di
ogni programma da svolgere. (…) i nostri programmi devono cominciare con quello
che egli sente, con quello che di cui si occupa, che teme, per cui si commuove” (ibidem)
Il libro prosegue esplorando la comunicazione scritta e
la possibilità d’uso della persuasione in diversi ambiti professionali.
Io mi fermo qui, confidando di avere suscitato in te
lettore di questo blog la curiosità tale per aprire il libro di Nardone e,
leggendolo, utilizzare ed adattare le sue intuizioni ai campi che a te sono più
consoni.
Buona lettura!!
1. Il costrutto operativo centrale è quello di “tentata
soluzione che alimenta il problema” formulato dal gruppo di ricercatori del MRI
(Mental Research Institute) di Palo Alto (1974), evolutosi in seguito in quello
di sistema percettivo-reattivo da Giorgio Nardone e che identifica tutto ciò
che è messo in atto dalla persona e/o dal sistema intorno alla persona per
gestire una difficoltà e che, reiterato nel tempo, mantiene e alimenta la
difficoltà conducendo alla strutturazione di un vero e proprio disturbo.
2. Per chinesfera o spazio personale, secondo la definizione
di Rudolf Laban, danzatore e coreografo, a cui si deve un radicale mutamento
nelle concezioni e pratiche del movimento, si intende l’area immediatamente attorno al nostro corpo che ha
come centro l’ombelico, in cui si sperimentano lo spazio raggiungibile, ovvero
le possibilità di allungamento degli arti senza muoversi dal posto in cui si è
(spazio della sfera nel contorno);
3. In cinese, il termine indicato è “song”, che non è
rilassato quanto “denso”. E’ il
risultato di una corretta formazione fisicoemotiva che investa scheletro,
tessuto connettivo, tendini, muscoli e organi interni coinvolgendo, in
sintonia, gli aspetti emotivi e la stessa cosmogonia taoista, in particolare i
cinque elementi.
Nel campo marziale, in questa direzione, ben si distingue
la Scuola Tao Garden del Maestro Mantak Chia, mente, più in generale nel campo
corporeo, una notevole impulso è dato dall’Anatomia Esperienziale di Jader
Tolja.