venerdì 13 giugno 2025

Corpo e immaginazione: Le pratiche somatiche tra l’immaginario del Taiki Ken e di Bachelard. Ovvero del perché di sollevare manubri, kettlebell e ghisa non mi importa nulla

“Il Movimento non ha uno scopo ma un Senso.

Lo scopo si trova fuori di noi, il Senso dentro di noi”

(S. Spaccapanico Proietti) (1)

1. Introduzione: L'Immaginazione Come Strumento        Corporeo


Gaston Bachelard , filosofo (1884 – 1962) definisce la reverie come una forma di immaginazione aperta e contemplativa, un esplorare della mente che si libera dalle costrizioni della logica e della razionalità. Diversamente dal sogno, che spesso segue percorsi involontari, la reverie è un'attività poetica e creativa, in grado di ampliare la percezione sensibile e di arricchire l'esperienza estetica.

Nell'esperienza sensibile, la reverie consente una connessione profonda con il mondo circostante, trasformando elementi quotidiani in oggetti di meditazione poetica, capaci di farci approdare a stati di coscienza espansa. Attraverso questa dimensione onirica della coscienza, Bachelard evidenzia come la sensibilità e la percezione umana possano essere elevati dall'immaginazione, creando un dialogo intenso tra il soggetto e il suo ambiente. In questo senso, la reverie diventa un ponte tra realtà e sogno, tra percezione e emozione, tra il vissuto e il possibile.

Citando ed amplificando un suo esempio: Nel guardare (non vedere, ma guardare. 2) il ramo di un albero, trascuriamo la forma esteriore per immedesimarci nella forza di torsione dello stesso, il suo sforzarsi di evadere dal tronco per esplorare l’ambiente attorno, oppure nello sforzo del tronco di trattenere l’evadere del ramo, oppure ancora nella spinta, nella propulsione del tronco ad indirizzare il ramo all’esterno. Sarà la sensibilità dell’osservatore, l’esperienza carnale da lui vissuta in quel momento, a privilegiare l’uno o l’altro aspetto.

La reverie di Gaston Bachelard, intesa come fantasticheria poetica e stato di coscienza espansa, trova ampie affinità nella concezione taoista, soprattutto nella visione della spontaneità e della contemplazione naturale.

Nel Taoismo, il principio del wu wei ovvero l'azione senza sforzo, richiama l'idea di una rêverie fluida e naturale, dove la mente si lascia trasportare senza costrizioni. Inoltre, lo Zhuangzi (Zhuang Zhou), (uno dei testi fondamentali del Taoismo), descrive stati di coscienza simili alla rêverie, in cui il pensiero si libera dalle strutture rigide della logica e si apre a una percezione intuitiva del mondo.

Ad esempio, nel sogno della farfalla di Zhuangzi, il filosofo racconta di aver sognato di essere una farfalla e, al risveglio, di non sapere più se fosse un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che stava sognando di essere un uomo. Questo paradosso esprime una visione della realtà simile alla rêverie bachelardiana, dove il confine tra immaginazione e realtà si stempera e l'immaginazione diventa un mezzo di esplorazione esistenziale.

Due culture diverse per ambiente ed epoca storica, eppure simili nell’approccio alla realtà

“Non vi sono solo fantasmi e spiriti nel mondo, vi sono fantasmi e spiriti entro il corpo”

(T. Cleary)



Il Taiki Ken, ma generalmente tutte le Arti Marziali che si definiscono “interne”: Neijia / Naido (3), se correttamente (e tradizionalmente) praticate, non possono non fondarsi sull’uso dell’immaginazione come l’abbiamo descritta nelle righe precedenti.

Immaginazione e visualizzazione, reverie, sono componenti fondamentali per sviluppare la consapevolezza corporea, fisicoemotiva, ed aumentare l'efficacia dei movimenti. Per esempio:

  • Immaginare l'energia interna: Il praticante visualizza il Ki (Chi, energia vitale) che scorre nel corpo, percependolo come un flusso continuo che guida i movimenti.
  • Visualizzare una forza elastica: Si immagina il corpo come una molla o un arco teso, pronto a rilasciare energia in modo spontaneo e naturale. Come ebbi già modo di scrivere in precedenti post, fisicamente si tratta di un corpo e di un bacino che lavorano in direzione opposta e contraria agli arti.(4)
  •  Simulare (non fingere, non pensare a, ma simulare) un combattimento: Attraverso la visualizzazione, si lavora per intuire le movenze dell'opponente e si sviluppa una risposta intuitiva, spontanea e fluida.
  • Connettersi con gli elementi della Natura: Diverse pratiche prevedono l'immaginazione di elementi naturali, come il vento o l'acqua, per costruire una forza pastosa, rendere i movimenti più armoniosi e adattabili, costruire un corpo forte e flessibile non solo nei muscoli superficiali ma coinvolgendo anche muscolatura profonda, tendini, tessuto connettivo e articolazioni. Su questo, ricordo, insisteva particolarmente il Maestro Sun Li, dello Iken, come il Maestro Tokitsu, dello Jiseido. Questi scrive: “Per quanto riguarda il rafforzamento (omissis) ho scoperto che potevo ottenere effetti simili (all’uso di carichi esterni) dagli esercizi con il metodo jia – jie: il prestito immaginario dell’yi chuan" (K. Tokitsu in’ Yi Chuan. Metodo energetico di Wang Xiang Zhai’)

D’altro canto, diversi studi scientifici esplorano il rapporto tra immaginazione e movimento, mostrando come la visualizzazione mentale di un'azione attivi circuiti neurali simili a quelli coinvolti nell'esecuzione reale, concreta, del movimento:

  • Una tesi dell'Università di Pisa analizza le basi neurofisiologiche dell'immaginazione motoria e le sue applicazioni nella riabilitazione e nello sport. Gli studi citati mostrano una forte correlazione tra azioni immaginate ed eseguite, con attivazione delle stesse aree corticali. (5)
  • Diverse riviste scientifiche hanno esplorato l'allenamento ideomotorio e il suo impatto sulla forza muscolare e sulla resilienza motoria. L'elettromiografia di superficie ha dimostrato che l'immaginazione di un movimento può generare segnali bioelettrici simili a quelli prodotti durante l'esecuzione reale. (6)

Insomma, pensiero taoista, pensiero filosofico occidentale, pratiche marziali cino-giapponesi, letteratura scientifica contemporanea, tutti concorrono ad evidenziare la capacità della pratica ideomotoria per migliorare le prestazioni fisiche.



2. La Materia dell'Immaginazione in Bachelard

La materia vissuta è un concetto che si intreccia profondamente con la dimensione sensoriale e immaginativa dell’esperienza umana: Non è solo materia fisica, ma materia percepita, interiorizzata e trasformata attraverso il vissuto soggettivo.

Immergersi in pratiche corporee rette da uno stato di reverie trasfigura il mondo materiale. In questo stato, non solo gli oggetti, gli ambienti non vengono più percepiti solo nella loro concretezza fisica, assumendo un valore simbolico e poetico, ma lo stesso agire fisico si arricchisce di una potente formazione fisicoemotiva, che investe tanto un rafforzamento fisico integrale, quanto dona ad ogni gesto una ricchezza emotiva personale. Se il Maestro Hiroo Mochizuki affermava che ogni umano flette l’avambraccio sul braccio e nessuno agisce il movimento opposto, facendo di questa affermazione geniale intuizione didattica nella diffusione del suo Yoseikan Budo (lo stesso gesto che è controdiretto e calcio diretto all’indietro è anche proiezione al suolo per spinta. Pare ovvio, ma è terreno ancora sconosciuto ai più a distanza di oltre mezzo secolo da questa geniale intuizione), possiamo aggiungere che lo stesso gesto “meccanico” ha significato e simboli diversi per ogni soggetto praticante. Questo comporta non solo l’importanza di una didattica ed una pedagogia / andragogia che tenga conto della soggettività dell’allievo, ma consente allo stesso, col tempo e la consapevolezza, la creazione di un suo stile particolare, unico, di gestualità e movimento.

Se una tavola di legno può diventare un frammento di ricordo infantile, una finestra aperta può evocare una nostalgia di libertà o un senso di vertigine, lo scatto del braccio avanti, l’evitamento del tronco, assumeranno contorni e un “senso” diverso per ogni praticante.

Attraverso la reverie, ogni gestualità si anima di significati, di memorie e di stati d’animo. La percezione del mondo fisico non è più solo oggettiva, ma si fa intima e sensibile, dando luogo a una forma di esperienza che è profondamente soggettiva, artistica. È un modo di abitare il mondo che trascende la pura funzione degli oggetti e delle azioni e che li trasforma in presenze vive, capaci di dialogare con la nostra interiorità.

“E’ il buco del centro (della ruota, del non essere) che la rende utile. Il vuoto del vaso lo rende utile. Porte e finestre, buchi della stanza, la rendono utile.

(Lao tzu)



3. L'Immaginazione Somatica nel Taiki Ken

Il Taikiken, Arte Marziale giapponese ispirata allo Yi Quan cinese, enfatizza il movimento naturale e l'intuizione corporea. Uno degli aspetti più affascinanti di questa disciplina è l'uso dell'immaginazione nella pratica marziale: il praticante non si limita a ripetere tecniche predefinite, ma sviluppa una sensibilità istintiva attraverso esercizi di visualizzazione e percezione interna.

Nel Taikiken, l'immaginazione gioca un ruolo chiave nel migliorare la fluidità e l'efficacia dei movimenti ed è pratica consolidata l’agire immergendosi in ambienti che, con varia intensità, contrastano ogni gesto rafforzando la percezione e la concreta efficacia meccanica: Camminare come se si fosse nel fango, sentirsi sospesi nell'acqua, affrontare folate di vento, fino alla creazione personale e personalizzata dei modi di “contrasto” esterni più consoni alla personalità di ogni singolo allievo.


Il Taikiken non impone schemi rigidi, ma invita ogni individuo a scoprire il proprio modo di muoversi, basandosi sulle proprie caratteristiche fisiche e mentali. Questo rende la pratica altamente personalizzata e profondamente connessa alla percezione interiore di ognuno.

Dunque, percepire la fluidità e la resistenza senza la necessità di un impatto reale, di un peso esteriore, ma agendo di corpo come se questi ci fosse. Sviluppare propriocezione, equilibrio e forza interiore attingendo ad un lavoro interno: Neijia / Naido. Altrimenti, che Arte Marziale interna sarebbe se il praticante utilizzasse pesi e manubri per potenziarsi fisicamente e marzialmente?

 



4. Conclusione: Un Corpo Artistico

ll legame tra il gesto immaginato e la rêverie bachelardiana si radica nella concezione di Gaston Bachelard e prima di lui dei taoisti, dell'immaginazione come forza creatrice e trasformativa. La rêverie, secondo Bachelard, è uno stato di coscienza sospeso in cui il pensiero si dimentica di sé e si lascia trasportare dalle immagini senza vincoli razionali.

“Tranquillità nel disturbo significa perfezione”

(Chuang tzu)

Il gesto immaginato, in questo contesto, può essere letto come un atto mentale che anticipa o evoca un movimento senza necessariamente compierlo fisicamente o, nel compierlo realmente, arricchito di presenze estranee, esterne, queste sì immaginate (non pensate, ma immaginate 7.) capaci così di trasformare l’attore in tutto il suo essere fisicoemotivo.

In una pratica siffatta, il gesto diventa un'esperienza artistica e sensoriale, un modo per abitare il possibile e dare forma a mondi interiori, il terreno per creare una personale gestualità dall’interno verso l’esterno (8) e non viceversa, come accade generalmente nei masticatori di arti e stili e tecniche imparate copiando, memorizzate ripetendo, ed apprese con l’addestramento da fonti imposte, da quella che è l’autorità del momento.

E’ chiaro che la rêverie non è un sottrarsi alla realtà, ma anzi un modo per intensificare la percezione e arricchire l'esperienza. Il gesto così vissuto si inserisce in questa dinamica come un atto che non solo prefigura l'azione, ma la trasforma in un'esperienza estetica e artistica.

Il corpo è lo strumento attraverso cui percepiamo e interpretiamo il mondo. Non è solo un mezzo meccanico, ma un veicolo sensoriale e poetico che ci permette di costruire la realtà attraverso l’esperienza diretta.

“L'uomo vero respira dai talloni”

(Chuang Tzu)

La fenomenologia (9), nelle sue diverse correnti, ha evidenziato come il corpo sia radicato nella percezione e nella relazione con lo spazio, rendendo la realtà non un dato oggettivo, ma un fenomeno vissuto. La sensibilità corporea diventa così un atto creativo, un modo di dare forma al mondo attraverso il movimento, il tatto, la postura e il respiro.

Se nelle diverse arti figurative, nella letteratura, il corpo è sovente rappresentato come un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra il concreto e il simbolico, a maggior ragione nelle pratiche in cui è esso stesso ad esprimersi si trova il terreno di caccia per esperienze di stati di coscienza espansa, di contatto sottile con il mondo “dentro” di noi quanto “altro” da noi.

Per questo amo così tanto il fare marziale,

purché praticato in chiave artistica e non meccanica, imitativa.

Per questo comprendo e giustifico gli allenamenti / addestramenti con pesi, kettlebell e ghisa per chi voglia rapidamente raggiungere prestazioni agonistiche, sportive, di livello, modo certo più rapido di un percorso di crescita artistica interiore (Neijia / Naido). Praticanti /atleti legittimamente interessati unicamente alla performance sportiva, alla coppa o a un titolo di campione e non alla pratica artistica e tantomeno alla personale crescita interiore.

Questo è pure comodo modo alla portata di chi legittimamente non è interessato a sapere di sé e del suo posto nel mondo ma piuttosto ad ottenere una cintura nera, un grado “superiore”, una muscolatura possente, la conoscenza di cento forme e mille tecniche (waza), purché non pretenda che io, o altri artisti del Neijia / Naido gli riconosciamo la figura di praticante, di esperto, di una qualsivoglia Arte che si richiami al lavoro interno, qualsiasi nome ad essa appiccichi.

 

1.   1.   Masso-fisioterapista ed osteopata, ideatore del ‘Movimento Biologico’

2.     2"Vedere" deriva dal latino "vidēre", indica la percezione visiva, la capacità di percepire immagini e oggetti con la vista. "Guardare", invece, ha origine dal germanico "*wardōn" (o "*werdōn"), che significa "osservare, stare in guardia, proteggere", e implica un volgere lo sguardo attivo, intenzionato e coinvolgente consapevolmente la sfera emozionale.

3.     3Una concezione generalmente diffusa, ancorché grossolana, definisce le Arti Marziali esterne basate sulla forza muscolare, mentre le Arti Marziali interne sulla trasmissione del Ki, energia interna. Senza dilungarmi oltremodo, personalmente intendo, per “interno”, il formarsi attraverso il sistema parasimpatico e non quello simpatico, l’attivazione della muscolatura profonda, dei tendini e del sistema mio-fasciale in sinergia con il campo emozionale, ovvero una pratica consapevolmente fisicoemotiva, fino al coinvolgimento degli organi interni; il tutto volto, attraverso l’esperienza dello scontro, del conflitto, alla conoscenza e al miglioramento di sé e dell’ambiente circostante. Dubito fortemente che qualsiasi Arte Marziale priva di queste caratteristiche, anche se la si etichetti nel quadro delle Arti “interne”, possa definirsi tale e possa consentire al praticante di percorrere correttamente e sensatamente il percorso dal Bujutsu (il combattere per sopravvivere) al Do (il vivere individuo autodiretto, entusiasta, erotico, attore propositivo all’interno di una comunità).

4.     4. Ogni percorso immaginativo si sostanzia sempre di un movimento fisico ben preciso ed attuato investendo correttamente catene cinetiche, torsioni articolari e spirali, senza le quali si tratta solo di … vaneggiamenti!!

5.    5.  Andrea D’Arata ‘Immaginazione motoria: basi neuro – fisiologiche e applicazioni’ presso Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale. 2016

6.     6. Tra gli altri, Alessandra Calcinotto ‘Valutazione degli effetti dell’immaginazione ideomotoria attraverso l’elettromiografia di superficie’ in Scienza e Movimento. Gennaio – Marzo 2015

7.     7. “prima viene l’immagin’azione e poi la visione dipendente da una vista che percepisce influenzata da immagini già acquisite, sia pure ancestralmente” (S. Guerra Lisi & G. Stefani ‘Il corpo matrice di segni’)

8.    8.  La consapevolezza interiore aumenta l'efficienza fisica, che a sua volta permette di migliorare la tecnica. Stiamo quindi parlando di una tecnica che scaturisce dall'interiorità verso l'esterno, anziché seguire il percorso inverso” (J. Whitmore ‘Coaching’. Citato in https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/le-tre-qualita-che-fondano-una-buona.html)

9.    9.  La fenomenologia è una corrente di pensiero che si occupa dello studio dell’esperienza vissuta, ovvero di come le cose appaiono alla coscienza umana. Oltre che alla filosofia, la fenomenologia può essere accostata ad altre discipline che si interessano dei fenomeni della vita, come la psicologia, la sociologia, la pedagogia e l’antropologia. Queste discipline, infatti, si basano sull’analisi dei modi di essere e di agire degli individui e dei gruppi sociali, cercando di cogliere il senso e il significato delle loro esperienze. La fenomenologia, quindi, offre un metodo e una prospettiva per esplorare la realtà umana in tutte le sue sfaccettature, senza ridurla a schemi astratti o a leggi universali (https://www.ilpensieromediterraneo.it/la-fenomenologia-cose-in-definitiva/)

 

 


 

giovedì 12 giugno 2025

2025 Giugno: Il fuoco violento della corta distanza

 



“Nel bagliore ardente,

danza furia nel vento,

cenere e silenzio”

(Anonimo)

Dal più semplice al più complesso gioco di mani delle Arti Marziali asiatiche; dai Suishou ai Maki, dal Chi Sao ai Sujin Te e dal loro intrecciarsi e sovrapporsi nasce il

fuoco violento delle percussioni a corta distanza (chika ma).

Non solo sperimentare ed approfondire sensibilità, riflessi, intuizione nel confronto a distanza ravvicinata. Che è percepire i movimenti dell’altro sul confine della mia zona intima, anticipandoli e persino indirizzandoli laddove possibile e, laddove non lo sia, riducendo il danno delle sue azioni. Che è prendere l’iniziativa nascondendo lo scopo fino a che il danno che procuro sia irreparabile

Non solo entrare nella relazione mutevole tra me e l’altro, consapevole di “cosa” e “come” sto agendo io, capendo “cosa” e “come” sta agendo l’altro, intuendo cosa l’altro sta comprendendo del mio agire. Che è imparare a stare nelle relazioni, qualsiasi relazione, adattandosi alla presenza altrui per condurre un gioco, una danza insieme, insieme decisa e, laddove io lo ritenga, necessario, recidendola a mio vantaggio.

Non solo.

Ma anche imparare a sostenere il caldo bollente della violazione, con lo spazio, della mia incolumità. Saper accettare e subire percosse sul volto e sul corpo. E pure saper infiggere percosse sul volto e sul corpo dell’altro, violando ogni codice etico di rispetto ed educazione, il detto popolare “gioco di mano, gioco di villano”, l’incapacità diffusa dello stare corpo a corpo, sudore contro sudore, alito contro alito, del prevaricare fisicamente, carnalmente.

Elemento Fuoco: energia, calore, ardente, intenso, vibrante…  imprevedibile, incontrollabile, estremo… acceso, vivace, vivido…brillante, luminoso…incorporeo, ascendente… rapido, impetuoso, prorompente… impulsi, sussulti… scintilla, fiamma, vampata, lingue… scoppiettante, sfrigolante, crepitante.

Il Fuoco, nella sua potenza, brucia la base, l’energia da cui trae la sua vita. Sei disposto a consumarti con esso per vederlo crescere e tutto distruggere, distruggere tutto, te compreso?

Brucia rapidamente, con tutta la sua Intensità, Spazio e Tempo e dunque te stesso. I tre principi si armonizzano in un unico agire: l’alto e il basso – Aria e Terra legati dall’Energia che si espone contemporaneamente con lievità (Aria) e potenza (di Terra).

L’energia ha movenze verticali, antigravitazionali, a punte; la rapidità comporta un succedersi di impulsi spontanei, sussultori, di stampo catartico, perché il Fuoco brucia celermente in modo totale, assoluto, mentre sotto perdura sotterraneo questo ardore in forma trattenuta… ceneri calde. Poi sopraggiunge la quiete con il fumo che diviene Aria. Una quiete sempre pagata a caro prezzo.

Fuoco che, nel corpo umano, è plesso solare da cui montano tutte le pulsioni che danno vita alle cariche come le scariche energetiche di Terra nel ritmo.

Nella Medicina Tradizionale Cinese, l'elemento Fuoco è collegato all'animale della Fenice, simbolo di questo elemento e del suo potere, associato alla rinascita e alla passione. Animale di leggerezza e mistero che porta in seno morte e rinascita verso la Luce, la trasformazione; stato di coscienza così acceso da bruciare se stessa. E tu, sei consapevole del peso che graverà sulle tue spalle per ogni distruzione commessa? Anche (soprattutto?) quelle commesse verso te stesso?

Il volo della Fenice ha andamento sussultorio, sensibile ad ogni soffio d’aria, il che lo rende imprevedibile, proprio come il Fuoco da essa generato. Quanta capacità hai di stare nel fuoco, ovunque esso ti porti, qualsia cosa esso uccida per trasformarla?

“Se c’è un rapporto tra il fuoco e l’amore, è che il fuoco illumina tutto ciò che tocca;

poi lo brucia e lo riduce in cenere”

(Artur Schopenhauer)

 

 


 


martedì 10 giugno 2025

Il mio pensiero di Giugno 2025

 


Sentimenti contraddittori mi danzano dentro. Seguendo i ritmi del cuore mi trovo spaesato a non capire.

Ma, poi, perché capire, voler capire a tutti i cost?

Chiudo gli occhi per non vedere, dai vetri della finestra di casa, correre le prime ombre della sera. Una mano contro il cuore, l’altra a tirare i fili delle mie ferite, delle domande senza risposte.

Siamo invasi da gente che si mostra sorridente, sempre, sui social e più nessuno che abbia imparato a stare male, a reggere l’urto della sconfitta senza fingere di “stare bene”, di appellarsi alla “resilienza” o di cercare riparo presso un farmacista della mente dispensatore di ricette salvifiche.

Siamo invasi dall’ossessiva ricerca di capire, capire qualsiasi cosa vicina o lontana, semplice o complessa; di emettere giudizi su tutto e tutti.

Eppure….

Forse non capire è chiudere la porta ovvia del conscio, dell’interpretare l’altro da sé solo ed unicamente secondo i propri parametri, le proprie sicurezze, ed affacciarsi invece all’inquietante e libera stanza dell’inconscio, aspettando pazientemente un senso che ci indirizzi, coltivando l’arte della consuetudine a non pretendere di capire subito.

Per comprendere a fondo qualcosa occorre accettare di non comprendere subito, immediatamente, risposta pronta e repentina ad ogni questione, ad ogni domanda, ma entrare in quella disposizione fisicoemotiva che richiama alla passività, alla vulnerabilità, all’attesa. Al Tao.

Forse per accettare di vivere occorre accettare anche la mancanza, la sofferenza, che sono anche loro nutrimento del nostro vivere. Non fosse perché, per dirla con Meister Eckhart: “Nulla sa più di fiele del soffrire, nulla sa più di miele dell’aver sofferto”. Unico modo per costruire esperienza.

La tempesta nel cuore ha aperto correnti scure e profonde, ora danzo ritmi marziali, forti e flessibili insieme, più leggero di un alito di vento, più denso di un grumo di gomma.

E’ anche questo il messaggio, la voce che passa allo Spirito Ribelle: Intuizione, apertura, accettare lo smarrimento, stupirsi una volta e poi una volta ancora, scompensare certezze ed aprire varchi di dubbi, accettare di non comprendere aspettando la percezione del corpo.

Attraverso la pratica corporea del conflitto, che è conflitto con se stesso prima ancora che con l’altro, portiamo dentro la pienezza del vivere, dentro il nostro quotidiano, l’accettazione del disagio, della sofferenza e del non capire. Costruiamo, o almeno tentiamo di costruire, individui vitali ed erotici. Soprattutto individui vivi.

“La cosa non si esaurisce nel suo scopo, ma si attua nel suo svolgimento”

(G.W.F. Hegel)

 

 

mercoledì 4 giugno 2025

Le tre qualità che fondano una buona pratica marziale

 


Non so quanto si tratti di estetica, di gusto personale, di influenze sociali e culturali. Non so.

Forse ciò che colpisce, che si apprezza, sta nelle piccole cose, nei piccoli gesti, in un disegno corporeo nello spazio che ci emoziona e non sappiamo il perché, che smuove le nostre sagome interiori, che ci propone un senso.

Forse origina da un equilibrio precario e mutevole tra odine e caos, tra regole e spontaneità. Forse è il risultato, sempre mutevole, del mescolare tra loro flessibilitàgrazia e potenza.

1. Flessibilità, che è arte di adattarsi senza spezzarsi. La flessibilità non è solo un attributo meccanico, ma un’attitudine fisicoemotiva. Essa investe la capacità di aderire ai mutamenti, trovando l’equilibrio perfetto per accompagnarli nel loro evolversi influenzandoli, dosando contrasto e consenso.

2. Grazia, che è leggerezza portatrice di piacere. La grazia, nel movimento, si manifesta sciorinando tutto il repertorio del fluire dosando sapientemente il flusso libero, che emana cedevolezza, passione e semplicità, con il flusso contenuto, che emana attenzione e cautela (1).

3. Potenza, che è l’energia che muove ogni cosa, fuori e dentro di noi. Potenza non come forza bruta, ma come risultato di una gestione raffinata ed una direzione consapevole dell’energia. L’autentica potenza sta nella capacità di canalizzare l’intensità senza deturpare la bellezza. Qualcuno ricorda lo slogan pubblicitario “La potenza è nulla senza controllo”? (2)




La flessibilità credo sia la base. Essere flessibili necessita di un equilibrio interiore, consapevoli che l’equilibrio non è MAI statico, ma sempre il risultato della gestione di diversi squilibri mutevoli e cangianti; dunque l’equilibrio perfetto e immutabile nel tempo non esiste, è sempre una caccia aperta senza mai la sicurezza di afferrare la preda.  Essere flessibili significa adattarsi ai cambiamenti senza perdere la propria essenza, quello che gli antichi, e con loro più recentemente il musicista Franco Battiato, chiamavano il “centro di gravità permanente” accettando che quegli stessi cambiamenti, in un modo o nell’altro, scalfiscano e in parte modellino la nostra essenza. Essere flessibili è muoversi senza rigidità, è apertura alle nuove possibilità, nell’esplorazione del vivere quotidiano come del muoversi, della gestualità nello spazio, affrontando situazioni impreviste con elasticità ed astuzia. Sorta di Ulisse capace di superare le difficoltà ed ingannare le avversità escludendo il ricorso allo scontro aperto.

La grazia origina dalla fluidità. La grazia è ciò che rende il movimento, come ogni nostro comportamento sociale, piacevole ed armonioso. Quando la flessibilità consente di muoversi senza sforzo manifesto, visibile, la grazia tinge quel movimento di qualcosa di bello, semplice e affascinante. Persino i ritmi più sincopati, più stringenti, possono così emanare grazia occultando distruzione ed annientamento. È il modo sottile (forse perverso?) in cui la potenza si manifesta senza mostrarsi brutale e violenta. E’ il pugilato di Muhammad Alì, già Cassius Clay, o di Nino La Rocca.

La potenza è il motore, è energia, forza, intensità. Senza flessibilità appare rigida e come legata; senza grazia, appare rozza e grossolana. Ma quando si bilancia con le altre due qualità, diventa elegante, efficace, capace di ispirare sensazioni profonde e causare danni letali.



Come traduciamo tutto ciò

nella nostra pratica marziale,

pratica Spirito Ribelle?

Le Arti Marziali, in particolare Kenpo Taiki Ken e Tai Chi Chuan, come noi le intendiamo, sono un ottimo banco di prova per equilibrare flessibilità, grazia e potenza, poiché richiedono un'armoniosa combinazione di questi tre elementi al fine raggiungere insieme efficacia / efficienza e bellezza (che è sensibilità interiore e gusto esteriore, mai disgiunti) del movimento.

 

1.      Flessibilità: Adattarsi per affrontare al meglio l’opponente, perché un combattente rigido è prevedibile. La flessibilità fisicoemotiva permette di rispondere rapidamente agli attacchi e di adattarsi alle strategie dell’avversario insinuandosi nelle pieghe del suo agire. Il corpo elastico esegue movimenti fluidi e precisi cogliendo le opportunità di contrattacco. E questo vale anche (soprattutto?) con il nemico più subdolo e pericoloso: Noi stessi.

2. Grazia: Gestione raffinata del movimento. La grazia nelle pratiche marziali si manifesta nella fluidità dell’esecuzione. Non si tratta solo di estetica, ma di efficienza ed efficacia: Ogni gesto è economico, senza fronzoli, senza sprechi di energia, senza gesti parassiti e ridondanti, solo gesti dotati di senso. E’ naturalezza che cela la fatica e l’impegno dietro ogni percossa ed elusione.

3. Potenza: Forza canalizzata con precisione. La potenza è il fulcro di ogni tecnica, ma deve essere controllata, si deve sempre sapere il “cosa” e il “come”. Un pugno o una ginocchiata potente senza precisione rischia l’inefficacia, mentre un colpo mirato, esplosivo e ben soppesato diventa devastante. La vera forza marziale non sta tanto nella forza bruta, incontrollata, ma nella capacità di usarla nel momento giusto e nella direzione esatta, lasciandola sgorgare da una spontaneità formatasi nel tempo non con ripetizioni meccaniche, ma forgiando la consapevolezza di sé nel movimento (3).



Cosè il Kenpo Taiki Ken e come e perché

percorre la strada di cui sopra

Il Taiki Ken (4) è un'arte marziale giapponese creta dal Maestro Kenichi Sawai a partire dallo Yi Quan (I Chuan), arte cinese. E’ un metodo che enfatizza la consapevolezza corporea, la fluidità e l'uso dell'energia interna, perfetto esempio di come flessibilità, grazia e potenza si intreccino per creare un combattente efficace e armonioso.

 

1.      Flessibilità è adattarsi senza resistere oltre misura. Nel Taiki Ken, la flessibilità è fondamentale. I praticanti studiano per originare movimenti naturali e spontanei, evitando schemi fissi. Questo allontana il pericolo di reagire meccanicamente ad uno stimolo esterno, si agisce invece rapidamente adattandosi agli attacchi e scegliendo, di volta in volta, la risposta ritenuta migliore. Non reazione ma azione.

2. Grazia è il movimento senza sprechi. La grazia nel Taiki Ken si manifesta nella capacità di muoversi con fluidità e precisione. Ogni gesto è essenziale, senza inutili tensioni e contrazioni. La formazione (non a caso noi allo Spirito Ribelle parliamo di formazione e non di allenamento / addestramento) include esercizi e giochi di sensibilità e percezione, affinando la capacità di intuire le mosse dell’opponente per rispondere con naturalezza e semplicità. Per usare un’espressione in voga nell’antico Te di Okinawa (il progenitore del Karate giapponese), niente “mani fiorite”.

3. Potenza è energia esplosiva. La potenza (Hakkei) nel Taiki Ken non origina dalla forza bruta, dall’attenzione spasmodica al lavoro muscolare, ma comprende anche attenzione e sinergia con le articolazioni, il tessuto connettivo, i tendini e, a certi livelli, il sistema degli organi interni. Le percosse sono brevi, esplosive e mirate, sfruttando le onde cinetiche (non la rotazione dei fianchi),  il peso del corpo e l’integrità fisicoemotiva, ovvero l’individuo nella sua interezza. Il che significa non unire mente e corpo (che sono già un’unica realtà (5), si tratta solo di comprenderlo!!) ma affrontare il rapporto tra corpo e mondo.

 

Questo è il “modus operandi” qui allo Spirito Ribelle, nel Kenpo Taiki Ken ma anche nel Tai Chi Chuan, perché sono convinto che queste sopra sono le caratteristiche performanti e vincenti di un’Arte Marziale.

Ci sono molte, tante Arti Marziali Tradizionali e loro derivate, invece, che si offrono come strutturate, come un sistema. Io, alla luce delle mie esperienze di vita e marziali, degli studi su libri e documenti, degli incontri fatti con Maestri e praticanti sia del mondo marziale che del mondo corpo e movimento in genere, ho scelto da tempo un percorso in cui sia il praticante il protagonista e l’Arte studiata il mezzo per esplorare di sé e delle relazioni attraverso la pratica del conflitto, del confronto di corpo. 

Non mi occupo di “insegnare” tecniche (waza), di farle imitare fedelmente, cioè scrivere un testo preconfezionato su una pagina bianca, perché nessun individuo è una pagina bianca ma ognuno di noi è una pagina diversa che ha già scritte le sue personali esperienze.

Non mi occupo di riempire vuoti reali o supposti con cose ed attrezzi, ovvero tecniche e gesti preconfezionati, perché: “E’ il buco del centro (della ruota, del non essere) che la rende utile Il vuoto del vaso lo rende utile Porte e finestre, buchi della stanza, la rendono utile (Lao tzu in Tao Te King)

Perché ogni individuo 

è una risorsa

 


1.      1All’opposto del flusso libero normale, sta quello estremo, che è sfogo incontrollato, abbandono totale; all’opposto del flusso contenuto normale, sta quello estremo che è costretto, limitato, inibito, represso (Laban Movement Analysis)

2.      2Pubblicità pneumatici Pirelli, anni ’90. Vedi anche: https://formiche.net/2019/05/pirelli-25-potenza-controllo/#:~:text=Qui%20la%20potenza%20viene%20mostrata,indispensabile%20a%20raggiungere%

3.     3.  La consapevolezza interiore aumenta l'efficienza fisica, che a sua volta permette di migliorare la tecnica. Stiamo quindi parlando di una tecnica che scaturisce dall'interiorità verso l'esterno, anziché seguire il percorso inverso” (J. Whitmore in ‘Coaching’)

4.      4https://taikiken.org/

5.     5.  La mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello” (A. Damasio in ‘L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano’). Per approfondire: La chiave di SOPHIA Giu – Set 2020)

 



martedì 3 giugno 2025

Peng Lu Ji Han: L’Essenza del Tai Chi Chuan in Quattro Movimenti

 



Il Tai Chi Chuan è arte fluida e introspettiva che amalgama equilibrio, energia interna e consapevolezza.

Tra le sue fondamenta si trova la sequenza Peng Lu Ji Han, quattro principi essenziali che incarnano la logica Neijia / Naido (interna) e combattente del Tai Chi Chuan.

Peng, che è espansione, apertura.  Potremmo assimilarla ad un airbag che si gonfia, alla capacità di un pallone di assorbire e rinviare gli urti; potremmo riferirci ad una superficie colpita da un chiodo: Più la superficie è elasticamente densa ed estesa, minore penetrazione avrà il chiodo. Il principio della fisica che spiega come una superficie più ampia riduca la penetrazione di un corpo estraneo è il principio di pressione. Questi spiega che la pressione è direttamente proporzionale alla forza applicata su una superficie e inversamente proporzionale alla superficie stessa: Più la superficie è ampia, minore sarà la pressione esercitata per ogni unità di area e quindi minore sarà la tendenza del corpo estraneo a penetrare.

Dunque non sono solo e tanto le braccia ad aprirsi formando un cerchio, è il corpo tutto che si espande: torace, braccia, gambe ecc. si ampliano ed addensano. Ad alcuni parrà improbabile, ma si può fare.

Peng come concetto di espansione è in stretta relazione con Song / Sung o rilasciare (1), che permette di essere reattivi esprimendo una tensione adeguata a mantenere la nostra struttura fisica quando il nostro corpo viene premuto o spinto. Peng si espande verso l'esterno e muove la nostra energia aderendo a quella dell’opponente, è come una tensostruttura la cui elasticità tanto la sostiene quanto le permette di reggere gli urti che vengano dall’esterno.





Lu, che è tanto arretrare quanto tirare a sé l’opponente. Qui è necessario un movimento fondamentale nel Taiki Ken ed in alcune “vecchie” Scuole di Tai Chi Chuan e Pa Kwa, completamente perso invece, nella stragrande maggioranza dei Kwoon / Dojo. SI tratta ci creare un movimento di opposizione, di direzioni opposte e contrarie tra il bacino e le braccia: Il bacino arretra lanciando le braccia avanti, per poi avanzare nel mentre che tira a sé le braccia. Senza questa “opposizione”, le movenze perdono di efficacia ed efficienza. E’ anche possibile interpretare Lu come l’intercettare un attacco diretto contro il nostro centro e noi vi aderiamo deviandolo contemporaneamente da un lato e quindi nel vuoto, sorta di Mukaete. (2)  




Ji, che è premere o anche colpire. Possiamo immaginare di usare uno scudo per sfondare la difesa dell’opponente, oppure di colpirlo indirizzando la penetrazione in una piccola zona, sì da aumentare la forza di penetrazione. Il movimento sarà composto da un’onda cinetica dall’alto al basso indirizzata a comprimere, a schiacciare.

 

Han, che è deflettere, proteggersi e poi sbattere a suolo l’opponente. Se, a mio sapere, tutte le Scuole convergono sull’essere Han un movimento in cui la forza diretta in arrivo viene prima assorbita e poi diretta per sollevare e allontanare l'opponente, non ho ancora trovato chi la pratichi al meglio. Mi spiego: Usano una spinta verso il basso.

Guardiamo bene. L’ideogramma contiene un individuo in ginocchio e come si fa a squilibrare un opponente, a portarlo a terra? Si può provare a spingerlo in avanti e verso il basso, ma facilmente questi porterà una gamba indietro a recuperare l’equilibrio. Ecco perché un Han efficace ed efficiente DEVE assolutamente esprimersi con un movimento, per noi Spirito Ribelle l’onda, a salire, a togliergli il sostegno della base, dei piedi, ovvero un gesto del tutto opposto a Ji. Chiunque abbia un mino di esperienza, non di combattimento reale, di strada (sarebbe pretendere troppo da tanti nomi di fama come sconosciuti del mondo Tai Chi Chuan) ma anche solo di “combattimento” da palestra o, quantomeno, di Push Hands,  deve aver sperimentato per forza la situazione di pressione e spinta su un compagno che riesce a ridurre il danno portando una gamba indietro. A meno che la pressione e spinta sia portata in direzione obliqua costringendo il partner ad un “intreccio” di gambe per lui davvero problematico, ma non è questa la direzione in cui si esprime Han.

Dunque Han si concretizza al meglio attraverso un’onda cinetica dal basso verso l’alto. Tra l’altro, il movimento in questa direzione mette subito sotto attacco i piedi dell’opponente, quei piedi che, in una lettura fisicoemotiva, richiamano l’aderenza alla realtà, ad essere basi d’appoggio, in cui, anche nel quotidiano, i piedi saldamente piantati al suolo esprimono sicurezza quando non possesso: La sicurezza necessaria per direzionare la volontà.

Attaccare e destabilizzare la base costituisce un ottimo inizio per poi completare lo squilibrio dell’opponente. In fin dei conti, persino nel gioco degli scacchi un’ottima apertura pone le basi per uno svolgimento a proprio favore della partita e un’ottima apertura è fondamentale per condurre un proficuo incontro di Arti Marziali. Se negli scacchi l’apertura è debole e non sa occupare il centro della scacchiera, la partita si metterà subito in salita. Se nelle Arti Marziali l’apertura, il cosiddetto “riscaldamento”, sarà puramente ginnico, sarà un protocollo uguale e ripetuto, diverrà ben arduo coinvolgere i partecipanti in una pratica artistica lasciandoli invece sull’asfittico terreno della meccanica dei gesti.

 


 

1. Il rilassamento è una condizione di passività, di riposo, di torpore, di corpo Lib, secondo la lettura del Laban Movement Analysis, che possiamo tradurre con “collassato”. Dunque corpo non immediatamente pronto ad agire, in cui l’assenza di consapevolezza rallenta la stimolazione nervosa e il successivo mettersi in moto. Il rilasciamento invece è una condizione di attiva vigilanza, che contiene in sé un’attenta presenza e prontezza all’agire. Personalmente, trovo in Tanshu, la danza animalesca del Taiki Ken, con la formazione ad uno stato di rilasciamento anche il gusto della caccia, della predazione, dell’attivazione del cervello rettile, del piacere di danzare la vita. Attenzione, se è eccessivo, dogmatico, affermare che “Le parole creano cose”, è però vero che le influenzano: Se tu Maestro o Sifu continui ad invitare l’allievo a stare rilassato, questi inevitabilmente abbinerà lo stare rilassato alle sensazioni ed emozioni collegate al rilassamento nel suo vivere quotidiano e ti troverai o un praticante lento e tardo nell’agire perché ben rilassato o stressato ed agitato perché in lui lo stare rilassato cozza violentemente con la necessità impostagli di agire rapidamente.

2. “Questo metodo è chiamato mukae-te (mano che incontra) perché, quando un avversario attacca, le braccia si muovono in avanti, entro i limiti di difesa del soggetto, per affrontare l'attacco. Il termine mukae-te viene usato anche per descrivere metodi per parare l'attacco dell'avversario. Il pregio caratteristico del mukae-te è la riduzione della forza massima del colpo dell'avversario.”

(https://taikiken.org/taikiken-neri-kneading-mukae-te-training.html)