mercoledì 13 marzo 2024

Il corpo che è rivoluzionario, il movimento che è rivoluzionario

 Possibile che un “certo modo” di essere corpo, di praticare corpo, possa essere rivoluzionario? Possa contribuire a sfaldare “another brick in the wall”? (https://youtu.be/W0bi7OfaKMY?si=3oCDBgpeQX-9K5H3)

Possibile che praticare movimento, movimento di Arti Marziali, come noi Spirito Ribelle facciamo, sia un continuo andare “Gyakufu”, “faccia al vento”, sia andare in “direzione ostinata e contraria” (cit. Fabrizio De André)?

La società impone corpi e movimenti standardizzati, confinati nell’adeguato, dove gli eccessi stessi sono stabiliti e consentiti a priori, funzionali al sistema.

Corpi e movimenti succubi di attrezzi sempre più complessi, rinchiusi in uno spazio sistemato per servire di tutto e di più, tra bar e sala riposo, per favorire una socialità e occasioni relazionali che facciano da momentaneo antidoto allo stress quotidiano quanto alla solitudine della società virtuale dei social e dei like.

Tante offerte di pratiche dai nomi diversi con tanti esercizi che, a ben vedere, sono solo versioni appena modificate degli stessi movimenti. Macchine e attrezzi che di fatto replicano i precedenti.

Persino pratiche antiche di saggezza, salute e ricerca interiore vengono spogliate del loro sapere e ridotte a sequela di esercizi ginnici, vedi Yoga e Tai Chi Chuan; moderne pratiche valide solo nell’uno a uno, vengono piegate al profitto e proposte a gruppi, vedi Pilates.  La necessità di vendere sempre nuovi prodotti, poi, ne inventa di ogni, mischiando senza alcuna logica se non il solleticare curiosità becere.

Corpi oggetto, corpi macchina, espressione immediatamente visibile da un lato dell’essere funzionali al sistema produttivo, al moloch dell’efficienza, dall’altro al narcisismo ed alla vetrinizzazione la più sciocca e superficiale: “Il docile e l’utile, il sottomesso e il funzionale, l’accondiscendente e l’efficace” (C. Pellizzari in Scomodo n° 51).

Il sistema impone e diffonde pratiche di corpo e movimento a cui le masse tutte hanno da assoggettarsi perché tutto scorra liscio, senza sussulti; perché il circuito dell’allenamento, che è addestramento alla ripetizione, all’imitazione obbediente come si fa con gli animali da circo, plasmi individui dipendenti, privi di cognizione incarnata, in cui il corpo diviene “il più bell’oggetto del consumo” (J. Baudrillard, sociologo e filosofo), da mettere in mostra, soggetto alle stesse “leggi di variabilità” della moda e dei prodotti commerciali. Illusione di mente che comanda il corpo quando, dai taoisti alle neuroscienze e pure nella fenomenologia è invece chiaro che le azioni sono inscritte nella carne ben prima che l’intenzione consapevole detti il che fare: illusione di mente e corpo invece che verità di corpo e mondo.

“Noi non dobbiamo solo sapere che l’uomo ‘ha’ un corpo, e come sia fatto questo corpo, ma anche che l’uomo è sempre, in qualche modo, corpo. Questo non significa solo che l’uomo vive sempre corporalmente ma anche che egli parla, e si esprime, permanentemente con il corpo.”

(L. Binswanger, psichiatra)

Praticare Spirito Ribelle, portando alla luce il corpo e la cosmogonia taoista, integrando con pensiero e pratiche di moderni ricercatori quali Laban, Feldenkrais, Bainbridge Cohen, significa rompere la prigione del fitness e delle palestre, delle Arti Marziali depauperate di pathos, sensibilità e mobilità vitale, in cui tutto è segregato in un preciso e limitato margine d’azione. Perché fuori da quegli ambienti, fuori da quella cultura in cui l’azione è consentita in quanto controllata, corpo e movimento sono già di per sé sovversivi, sono ribelli. Perché l’esperienza, ogni esperienza che noi facciamo, sempre lascia un segno indelebile ed è così potente da far sì che io, volente o meno, mi riconosca in quello che faccio e che vivo.

Allora, nella preoccupazione di non riuscire a controllare, di non riuscire ad indirizzare a proprio fine questi corpi sovversivi e ribelli, il pensiero dominante finge che essi non esistano, non dà loro alcuna voce.

Noi Spirito Ribelle, e le correnti di movimento intelligente quali Body Mind Centering o Laban Movement Analysis, operiamo ai margini di un giardino o in piccole sale sconosciute, occupando spazi anonimi o agendo in spazi destinati ad altro come studi fotografici od uffici, fuori dalle correnti modaiole, emarginati dalla pubblicità del settore.

Vivere questi corpi, questo movimento, che sono esclusi dai luoghi di massa, luoghi di vetrina e di esposizione, significa fare di questi corpi, di questo movimento, un luogo di opposizione, un momento di differenziazione.

Vivere questi corpi, questo movimento, che sono portatori di embodiment ovvero sviluppo del canale cenestesico, capacità di sentirsi attraverso il movimento e le sensazioni interne del corpo, conoscenza attraverso l’esperienza del corpo, è ribaltare, rivoluzionare lo status quo del corpo servo sciocco di una mente superiore, che è la condizione necessaria per avere disponibili individui sciocchi servi del sistema.

“La libertà di pensiero è più forte 

della tracotanza del potere”

(Giordano Bruno)

 

 

martedì 5 marzo 2024

Il corpo marziale, il movimento marziale

Un anonimo grigiore diffuso si stempera sui vetri della finestra. Sono uggiose giornate di pioggia che riportano alla memoria i primi, lontani, accadimenti del mio percorso marziale.

Così, rovistando tra i cassetti, mi ritrovo tra le mani la cartelletta di presentazione di un campionato del mondo IAKF (International Amateur Karate Federation), la potente organizzazione mondale di Karate che la FESIKA rappresentava in Italia: Invitato alla cerimonia di presentazione e al pranzo di gala. In mezzo a dirigenti internazionali, giornalisti e atleti pluridecorati, annuso l’aria delle competizioni di alto livello.

Sono gli anni in cui, accanto al karategi per praticare, indosso le vesti del “dirigente sportivo” (1), il che mi consente di organizzare, insieme a Giacomo Spartaco Bertoletti, il deus ex machina della rivista Samurai e della “Pasqua del Budo” (2), intensi stage con Maestri giapponesi di stili di Karate che non fosse lo Shotokan, allora l’unico praticato in nord Italia, scoprendo così di persona la potenza e fluidità del Karate Shito Ryu; di portare dalla Cina a Milano, per la prima volta in assoluto, i monaci Shaolin e ricordo ancora come trafugai dalle rotaie di una linea tramviaria il blocco di pietra che uno di loro avrebbe spezzato in occasione della pubblica esibizione; di conoscere di persona, tentando una impossibile mediazione, i maestri di Judo Tadashi Koike e Cesare Barioli, l’uno sostenitore del Judo sportivo e l’altro del Judo Tradizionale, educativo; di organizzare momenti di pratica e lunghe discussioni con Mario Bottoni, ortodosso Maestro di Kendo, messo ai margini da chi fomentava il Kendo in versione sportiva; di contattare ed organizzare incontri ed allenamenti con i due Maestri più importanti del nascente movimento “Contact”, il Karate dove i colpi vengono portati a contatto, ovvero Falsoni e Bellettini, in rapporti non proprio amichevoli tra di loro, e poi con loro allievi prestigiosi e titolati come Jean Marc Tonus, Isidoro La Spina, Federico Milani.

Sono solo alcuni gli episodi, le situazioni, che mi attraversano ora la memoria; so che, se indugiassi dentro questo pigro mattino abitato da una pioggia incessante, altri salirebbero in superficie.

Preferisco, però, lasciarmi andare a pensieri sparsi, pensieri anche disordinati, su dove stia ora, dopo quasi cinquant’anni di pratica attraverso diverse Arti e sport, asiatici quanto “occidentali”, antichi quanto moderni, contemporanei, la qualità del mio essere corpo, essere corpo in movimento.

Come molti, forse tutti, iniziai a praticare subendo che venissero stabiliti in partenza dei limiti strutturali e concettuali entro cui definire (imprigionare?) i principi del movimento, accettando che un “nome” definisse una costruzione tutto sommato limitata e tendenzialmente immutabile nel tempo.

Direzione prona alla corrente ancora predominante, in cui corpo e movimento sono vissuti come Korper, corpo oggetto, dunque merce e prodotto, e non area di scoperta e sperimentazione di corpo Leib, corpo abitato, corpo vissuto, (3) e movimento studiato nelle sue diverse possibilità e libertà di espressione.  

Tante tecniche, tanti esercizi (nelle varie Arti Marziali come nelle discipline di fitness che sempre più rapidamente cambiano di nome ad ogni cambio di moda) che, di fatto, rappresentano solo versioni parzialmente difformi degli stessi movimenti.

Negli anni, nei decenni, nella pratica marziale passo dalla ricerca dell’Arte che sia la più completa ed efficace, praticando continuativamente o saltuariamente diverse Arti, al ritenere di superare le deficienze che scopro dell’una o dell’altra mischiandole tra di loro, fino a comprendere che la soluzione non sta nella mistura di tecniche e gesti ma nel movimento inteso come linfa del movimento stesso, come pratica corporea esperienziale e consapevole.

Negli anni, nei decenni, imparo a fare del movimento, senza limiti e confini, un mio personale linguaggio, sostanziato sì nelle pratiche marziali, di combattimento, e in quelle energetiche di matrice taoista, ma aperto, fecondato, da domande e proposte di movimento e generi altri. (4)

Così, come “Spirito Ribelle”, da alcuni anni propongo un habitat di cultura pratica, somatica, gestuale, in cui ognuno, forte delle sue caratteristiche, della sua personale storia fisicoemotiva, intraprenda il cammino per scoprire quale sia la miglior versione di se stesso e lo faccia attraverso il movimento perché noi siamo quello che agiamo e come lo agiamo, incontrandosi e anche scontrandosi di corpo, nel solco del combattimento quale modalità di formazione ad ogni tipo di scontro che il quotidiano ci ponga davanti o addirittura ci imponga.

Allora, pur consapevole che “la mappa non è il territorio”, basta un’occhiata a come uno si siede o si alza dalla seggiola, a come sta in piedi, a come avvia il primo passo, a come cambia direzione nello spazio, a come respira quando sorpreso da mutamenti inaspettati, per capirne la qualità del suo essere corpo, essere corpo in movimento, la qualità del suo studiare e praticare di corpo in movimento.

 

1.    1.  Erano quelli anni in cui era considerato disdicevole, irrispettoso, praticare con altri che non fosse il tuo ed unico Maestro. Ogni azione in tal senso era sanzionata con la messa alla porta dal Dojo, sovente preceduta da un pestaggio punitivo. Fu solo il mio carattere per così dire avventato e, soprattutto, il mio ruolo dirigenziale nell’ambiente, che mi consentì di avvicinare, praticando anche, Maestri diversi e di diverse Arti.

2.     2Si deve a GS Bertoletti la creazione e la ripetizione negli anni di un evento, “Pasqua del Budo”, che offriva, in una unica lunga serata, esibizioni di Maestri ed Arti provenienti prima da tutta Italia e poi dal mondo intero. Occasione incredibile per vedere, apprezzando o meno, Maestri più o meno famosi ed Arti di cui capitava di avere letto o sentito dire senza mai averle potuto osservare in azione. Non erano ancora gli anni di you tube o dei social!!

3.    3.  Ne hanno scritto, tra gli altri e per restare all’interno del nostro alveo culturale d’Occidente, Schopenhauer, Husserl, Merleau Ponty, Fuchs, Dagognet, Carbone, Galimberti, Borgna.

4.    4.  Ho praticato, saltuariamente o continuativamente, Trager, Feldenkrais, Expression Primitive, Danza sensibile. Da alcuni anni pratico Body Mind Centering, Danza Terapia, Laban Movement Analysis.







giovedì 29 febbraio 2024

Il mio pensiero di Marzo 2024

 

Nati nel 1980, nel corso degli anni, dei decenni, ci siamo trasformati nello spirito, Shen. Da palestra di Karate e Arti Marziali (palestra nel suo antico significato di luogo di esercitazione, addestramento e competizione, significato in voga tutt’ora in tutte le “palestre”, i “gym” di qualsiasi sport, disciplina o fitness, arti marziali varie comprese) a “Scuola”, intesa come nella Grecia antica quale “paideia”, luogo della formazione mediante la cultura; per noi cultura dell’individuo fisicoemotivo, dunque del corpo tutto: “Il nostro corpo è abitato: sangue, ossa, organi, muscoli segnalano una vita interna che non si esaurisce nella sua fisiologia, ma che produce intrecci, sovrapposizioni e risonanze nella nostra esperienza emozionale, affettiva, psichica” (I. Gamelli. Pedagogia del corpo) (1). 

Così diveniamo Dojo, che è “a place of severe confrontation between oneself and one’s self - luogo di aspro confronto tra sé e se stessi. Trad. mia (D.F. Draeger. Classical Budo) (2).

Diveniamo uno spazio collettivo di pratica e cultura ‘altra', in cui ogni singolo praticante, come il gruppo tutto, può scoprire un nuovo contatto con se stesso; immergersi in Neijia, il profondo, l‘interno; attingere a personali risorse fino ad allora inesplorate; attraversare antiche alchemiche pratiche taoiste e moderne espressioni di movimento per costruire un adulto autodeterminato, vitale, erotico e propositivo.

E’ un percorso scelto da tutti coloro che intendono riappropriarsi dell’autentico senso del corpo fisicoemotivo e del corpo in movimento, costruendo attraverso la pratica corporea il Do, la Via, per la propria conoscenza e crescita.

Con tutto il rispetto (ma anche la distanza) verso chi si addestri ripetendo esercizi e tecniche preordinate, imitando gesti imposti da altri, da noi il muoversi non è una espressione imprigionata dentro sequenze di ‘gestualità’ specifiche, per giunta uguali per tutti, ma è IL processo che sostiene l’esistere umano.

Da noi “Spirito Ribelle” (3), la pratica si compone di diverse connessioni tra i sistemi corporei originando un’area di appassionato fare e confrontarsi in cui “Pratichiamo la sensibilità per espandere la nostra creatività” (E. Parrello) (4); in cui le Arti Marziali sono metafora e metonimia degli incontri e scontri quotidiani al lavoro, in famiglia, in ogni relazione, sostenendo il praticante verso la capacità di stare nel conflitto, in ogni tipo di conflitto.

Da ZNKR (“scuola antica di tutta la Via della mano vuota giapponese”) a “Spirito Ribelle”, come a dire “corpo e mondo antagonista, persino alternativo, al pensiero e alle pratiche dominanti”.

Mica poco!!

“Essere indipendenti è l’unico modo 

per continuare ad essere chi siamo”

(in “Scomodo” n.51)

1.         Ivano Gamelli, pedagogista e professore associato di Pedagogia generale e sociale all'Università degli Studi di Milano-Bicocca

2.         Donn F. Draeger (1922 – 1982,) pioniere delle arti marziali giapponesi, autore di numerosi libri sulle arti marziali asiatiche. Una sua beve biografia in https://budojapan.com/feature-articles/donn-f-draeger-the-pioneer/.

3.         Di questa nuova svolta ho già scritto più volte. Sinteticamente posso scrivere che abbiamo lasciato alle spalle un’affascinante struttura che molto ha dato sotto ogni aspetto della loro vita ai praticanti, come anche a chi solo vi si è accostato come spettatore, per intraprendere un cammino errante con poche regole, ancor meno certezze e tanta passione “gyakufu”, “faccia al vento”.

4.         Eleonora Parrello, insegnante, educatrice del movimento somatico e del movimento in età evolutiva, practitioner diplomata presso The School for Body-Mind Centering. A lei, dopo una iniziale esperienza con Jader Tolja vent’anni or sono, devo la mia introduzione all’anatomia esperienziale.

 



mercoledì 21 febbraio 2024

Com’è e cos’è praticare Spirito Ribelle?

Sono narrazioni di corpo e gestualità che, nei giochi e negli incontri, negli scontri e nelle evasioni, nel fluire e nello spezzarsi dei gesti, raccontano di cos’è e com’è praticare Spirito Ribelle.

Pratica Ribelle è contro una corporeità, un movimento, dominato dall’alienazione di un corpo Korper (oggetto, estraneo) a scapito di un corpo Leib (abitato, esperito); è contro corporeità e movimento subordinati alla legge del profitto e della mercificazione, della ripetizione pedissequa, di una meccanica povera e superficiale, di donne e uomini addestrati come animali da circo. Pratica Ribelle è, invece, coraggiosa voglia di scoprirsi e scoprire; di superare gli angusti confini del già saputo per entrare nel mondo del corpo personale e ancora inesplorato. E’ corporeità vitale ed erotica

Pratica Ribelle, attraverso corporeità e movimento semplici, fluidi, mai banali, è immergersi nel piacere dell’abitare lo spazio, dello stupore nell’incontrare l’altro da sé. Il che porta a stare bene, stare meglio, molto meglio, nel quotidiano vivere in famiglia, al lavoro, negli affetti, negli incontri e scontri che ogni giorno affrontiamo.

Pratica Ribelle 

è 

abitare Poteri Potenti.

 

 


 

 

 

 

giovedì 15 febbraio 2024

Di doman (del presente?) non c’è certezza

Lorenzo de' Medici, conosciuto come “il Magnifico”, così scriveva nel quindicesimo secolo, invitando a godere giorno per giorno delle gioie della vita, esaltando la giovinezza, con i suoi amori, le sue gioie, i suoi momenti spensierati.

Quanto di questo invito al godimento è rimasto oggi? Il consumismo compulsivo, il narcisismo diffuso che scorrazza indisturbato nei “social”, la vetrinizzazione di corpi oggetti, la smania di stupire, l’esaltazione di ogni eccesso, il “limite” visto come una pecca di cui liberarsi, sono la testimonianza dell’attualità del moto del “Magnifico”? O, invece, nella loro spasmodica tensione, nella loro delirante ossessione, sono lì a testimoniare una paura profonda, un radicato senso di smarrimento esistenziale e il disperato tentativo di sfuggirli?

Da alcuni anni, secondo alcuni dopo la destabilizzante esperienza del covid e le restrizioni imposte dal potere politico a cui si sta aggiungendo la percezione di una guerra globale strisciante che si manifesta attraverso diverse guerre locali; una crisi economica che funge da divaricatore smisurato tra i pochi che hanno molto ed i molti che hanno poco, molti le cui fila si ingrossano con l’ingresso di quelli che una volta erano i ceti medi ed oggi precipitano ai confini della povertà; le sensazioni soggettive hanno preso una piega estremamente critica e pessimista verso l’ambiente, la società ed il futuro prossimo. Come a dire: “Comunque vada là fuori, noi stiamo male e non ci fidiamo affatto”.

Paolo Iacci, figura di spicco nel mondo del lavoro e della direzione del personale, scrive: “Viviamo in una sensazione di malessere ampio e generalizzato che investe non solo il mondo del lavoro, ma anche l’intera società civile e il nostro universo relazionale”. (HR n°3. a. 2024)

Insomma, che i dati oggettivi siano ancora lontani dalla catastrofe o ne siano invece sempre più prossimi, l’attenzione e la percezione della realtà si è spostata dall’oggetto analizzato al soggetto analizzante, soggetto con un carico emozionale tale mettere in figura quel che uno prova, sente, e cacciare sullo sfondo quel che (forse) è.

Chi si occupa di studiare i fenomeni sociali suddetti, ha individuato alcune caratteristiche di questo atteggiamento.

- La fragilità: l’individuo si scopre sempre più precario in un ambiente, sia generale che privato ovvero quello a lui vicino, vieppiù vacillante e transitorio. Ogni certezza appare sempre velata dal dubbio di una sua caduta, di una possibile aggressione esterna tale da farla crollare.

Qui la pratica marziale, la nostra pratica Spirito Ribelle, è formazione a non affidarsi mai ad alcuna certezza, a stare nel “qui ed ora” come continuo mutamento; a trasformare la fragilità in flessibilità, in apertura che sappia filtrare quanto ci arriva addosso secondo le nostre personali ed autonome decisioni. Quella delicata e forte insieme linea che, nel segno del Tao, è tanto confine quanto preziosa sutura tra una metà e l’altra.

- Fragilità e precarietà partoriscono l’ansia. Se la paura è un nostro prezioso alleato nel farci muovere sensatamente davanti ad un pericolo, l’ansia si prefigura come una paura totalizzante e paralizzante non solo davanti ad un pericolo individuato ma anche, e qui sta la gravità, quando il pericolo, la minaccia, non è affatto incombente ma abita solo nella nostra mente.

Qui la pratica marziale, la nostra pratica Spirito Ribelle, è sfida nel cogliere le opportunità là dove altri vedono solo il pericolo, la minaccia; è, nel segno del Tao, fare leva sul pur minuscolo punto nero che campeggia nel campo bianco e viceversa.

- La “non linearità (ibid). Ovvero la percezione di forze e spinte che si contrappongono originando contraddizioni apparentemente insanabili, problematicità apparentemente ingestibili.

Qui la pratica marziale, la nostra pratica Spirito Ribelle, punta a percorre quella linea sottile che si traccia nel bel mezzo del Tao seguendo un percorso sempre curvilineo, sempre dolce e pure inarrestabile, scartando la direzione retta per assumere quella avvolgente, quella periferica. Vulnerabilità che si fa forza.

- L’imperscrutabilità, laddove non solo ci sentiamo privati del controllo, ma manchiamo di comprensione. La complessità che il mondo ha assunto ci trova impreparati, privi degli strumenti necessari per leggere quanto ci accade. La massa caotica di informazioni in cui giacciamo non solo è superficiale, ma pure approssimativa quando non mendace.

Qui la pratica marziale, la nostra pratica Spirito Ribelle, legge la semplicità e profonda intelligenza del Tao nel suo essere figura perfetta, che il cerchio non ha inizio né fine, che la sfera non perde mai il suo equilibrio.

Noi Spirito Ribelle traduciamo tutto ciò in pratiche corporee profondamente trasformatrici, capaci, attraverso un particolare e sapiente modo di muoversi, di affidarsi a stupore e curiosità alla scoperta di connessioni, relazioni e incontri all’interno del nostro sé - corpo che è sempre e indissolubilmente corpo e mondo; di far crescere vitalità ed erotismo quali caratteristiche di ogni praticante.

Che siano Suishou, Yuri, Peng Lu Ji Han, Hakkei, Iron Shirt, Randori d’Entraide, Chi Sao, Fushime Taiso, Kumite, che ci si affidi alle mani nude o ai bastoni nelle loro diverse lunghezze o ai coltelli, che siano agiti a solo, in coppia o in gruppo, sono giochi, incontri e scontri di corpo, capaci di introdurci ai segreti dei Poteri Potenti, alla meraviglia quotidiana del vivere.

Senza la paura che del domani non vi sia certezza e 

affrontando consapevolmente quel che ci accade oggi.





 

 

 

 

 

giovedì 1 febbraio 2024

Narrare a ritmo di cuore

Come ogni narrazione che si rispetti, la nostra narrazione Spirito Ribelle parte dal corpo e si dipana attraverso il movimento.

Come ho scritto più volte,

l’embodiment, la conoscenza incarnata,

si fonda su schema corporeo e immagine corporea.

L

o schema corporeo è un sistema di processi sensomotori che struttura postura e movimento. È flusso che si sostanzia grazia alla relazione continua tra un corpo vivo ed il suo mondo. Flusso di cui è difficile prendere coscienza, se non attraverso intense pratiche introspettive o nei momenti di crisi fisicoemotiva tipici della formazione marziale. In questo, Kenshindo, la nostra pratica del Katana, è palcoscenico profondamente perturbante.

Lo schema corporeo è mediato dalle percezioni provenienti dal proprio corpo (la cosiddetta propriocezione) e dal processo di rappresentazione, momento per momento, delle sensazioni somatiche provenienti dal corpo stesso (l’interocezione).

Questo modo di percepire si rapporta con le sensazioni viscerali, con la postura, con il movimento, con il respiro, tutti aspetti inevitabilmente condizionati da come entriamo in contatto con l’ambiente, con l’altro da noi.

Per questo aborro quel modo di praticare di corpo, di Arti Marziali, di combattimento, tutto centrato sull’imparare tecniche o sullo sfogarsi a picchiare un sacco quanto un “avversario”. Tanto quanto conservo un autentico distacco verso quel modo di praticare che insaporisce di spunti psicologici queste pratiche che, comunque, restano superficiali. Anche queste seconde, ben lontane da quegli “stati di coscienza espansa” che sono il cuore del fare marziale. (1)

Limmagine corporea è invece un sistema di percezioni, emozioni, credenze che nutriamo verso il nostro corpo. Tutto ciò è mediato dall’immagine corporea che abbiamo di noi stessi. Come scriveva Moshe Feldenkrais, non potrò mai agire efficacemente se la mia idea di me corpo è dissonante dalla realtà. Il che succede generalmente.

Praticare di corpo Leib

, di “conoscenza incarnata”, è abbandonare ogni pretesa di insegnamento, di indottrinamento, di “Maestro” che sa e deposita il suo sapere su allievi passivi. E’, invece, incuriosire, stimolare nel praticante l’esperienza del fare. E’ abitare il mistero di significanti liberi di errare, nel duplice senso di muoversi liberamente quanto di essere liberi di fallire, senza essere prigionieri di uno e un solo significato. E’ apertura sullo scrigno che si chiama “Segreto”, qualità perturbante, persino iniziatica, di un sapere che non può essere né indottrinato né piattamente uguale per tutti; né, tantomeno, mostrato come modello da copiare perché esso è in realtà portatore di un senso interpretato soggettivamente: Il modello da imitare, da copiare, è il contrario della comunicazione che è invece terreno fertile di condivisione.

Noi Spirito Ribelle, lo sappiamo bene. E lo pratichiamo bene.

 

 1. Lo schema corporeo è una nozione che prova a rendere pensabile quello che in fenomenologia è definito Leib, il corpo soggetto, corpo abitato, di contro a Korper, il corpo oggetto. “Si tratta di una forma dialogo (…) diretta ed immediata con il mio corpo, che si esprime senza mediazioni linguistiche ma con le parole della carne. Infine, possiamo dire che lo schema corporeo è un sistema autorganizzato di abitudini che l’organismo ha scoperto essere funzionali al perseguimento dei propri scopi vitali (…). Questi schemi di interazione, (…), si strutturano nel corpo diventando, per esempio, un certo modo di respirare, caratterizzato da una certa ampiezza e da una certa profondità, un certo modo di star seduti o di intonare la propria voce”. (G. Salerno, psicologo e psicoterapeuta. “Un approccio fenomenologico alla psicologia dello sport”) Queste “forme caratteristiche della carne” (ibid) emergono e strutturano l’esistenza di ognuno sottomettendone altre, costruendo l’identità personale di ciascuno di noi, la nostra “coerenza”.

 




mercoledì 24 gennaio 2024

Botero

 Finalmente di nuovo con mio figlio Lupo a mostre: Entrambi appassionati di Botero, ci rechiamo al

Museo della Permanente

dove è esposta

Via Crucis. La Passione di Cristo

ciclo di opere realizzate da Fernando Botero tra il 2010 e il 2011.

Di Botero ho letto critiche anche aspre, come quella di Francesco Bonami in “Lo potevo fare anch’io”, ma io, quando vent’anni or sono ne scoprii le opere, rimasi subito ben impressionato.

Delle opere esposte mi ha colpito la presenza solenne, forte, di Cristo. Mai domo ancorché sottoposto a torture ed umiliazioni, la sua fisicità tiene testa ad ogni avversità. La sua presenza sovrasta ogni accadimento. Per contro, Il suo corpo, massiccio, quando tra le mani di altri, pare lieve, etereo, non leggo alcuno sforzo nel sostenerlo.

Solo nell’immagine abbandonato tra le braccia di Maria, lo si nota piccolo, in dolce subordine. Altrimenti è figura piena, dominante. Persino quando accasciato al suolo sotto il peso della croce, conserva una sua dignità, un suo sereno prostrarsi.

Appare evidente che per l’artista questa narrazione drammatica della Passione è un simbolo di dolore e ingiustizia che travalica ogni senso religioso, ogni appartenenza religiosa. E’ autentico spettacolo di forza e dolore dentro il mondo umano, terribilmente umano, del “male”.

Personalmente, come faccio ad ogni esplorazione dentro l’arte della pittura, ho provato ad entrare nel cuore di ogni dipinto variando il “modo” di guardarlo, ovvero una volta inspirando e l’altra espirando, da angolazioni diverse, ecc. ma, soprattutto, assimilando posture e gesti dei soggetti rappresentati.

Immediato è scoprire che tutte le parti del corpo sono in relazione, dunque modificare una parte porta a modificare l’intero: imitare una postura dà un certo senso, poi modificarla lievemente, ascoltando le sensazioni proprie del momento, dove mi porta? Che relazione stringe con l’immagine davanti a me?

Poiché noi stiamo e ci muoviamo sempre in rapporto alla terra, alla gravità, cosa colgo del dipinto nel momento in cui, imitandone la postura, vario il peso da “pesante” a “leggero”?

Cosa succede nel mio gustare l’immagine quando muto la connessione centro / periferia, ovvero quando privilegio uno schema corporeo che dal centro si propaghi alle estremità oppure privilegio l’inverso?

E se provassi a dare continuità all’immagine fissa? A darle movimento nello spazio?

Mi piace entrare nei dipinti usandomi di corpo. Così trascurando una lettura, che è comunque sempre “interpretazione”, razionale, magari indirizzata da recensioni e commenti altrui altrettanto razionali. Mi piace stabilire con le opere d’arte un rapporto carnale, somatico; inevitabilmente soggettivo ma così del tutto mio: Allora sì gusto l’opera. Come avviene (per chi ama e sa vivere!!) in ogni aspetto della vita quotidiana, in ogni aspetto vissuto attraverso una consapevole esperienza carnale, fisicoemotiva, di embodiment: che sia un buon piatto di pasta a tavola o una stretta di mano ad un nuovo incontro, un tramonto sopra Milano o una passeggiata al parco, l’ascolto di una musica o il soffiare del vento sul volto.

Splendido insegnamento delle Arti Marziali quando praticate come da noi Spirito Ribelle: Ovvero esplorazione e comunicazione di corpo. Ghiotta opportunità perché la pratica marziale sia chiave di lettura di noi nel mondo, di noi nell’ambiente, di noi… davanti, anzi dentro, un’opera d’arte.

Museo della Permanente

v. F. Turati 34. Milano

F. Botero “Via Crucis” Novembre – Febbraio 2024