martedì 28 maggio 2019

Emozionati. Il Seminario







•           Il corpo, noi corpo, è l’unica “cosa” che abbiamo sempre con noi, 24 h 24, che non abbandoniamo mai, che non lasciamo mai da qualche altra parte.
Ecco l’importanza di essere corpo, noi corpo, al massimo della salute e dell’efficienza. Questo in ogni situazione, in ogni occasione, con chiunque.
           Il Seminario di Sabato 8 Giugno è l’occasione per conoscere ed imparare un percorso che, dall’antico sapere taoista, coniugato con le ricerche contemporanee su corpo e movimento, fino alle pratiche lottatorie di una delle più letali arti nipponiche del combattimento, ti metta in grado di stare bene e in salute.
Dunque di scoprire ed ampliare il senso del piacere in tutto quello che fai e di essere all’altezza di ogni conflitto, di ogni crisi, di ogni avversità.
           Diversi studi (Mantak Chia, Karl Jung, Fritz Perls, Alexander Lowen, Giorgio Nardone, Moshe Feldenkrais, Ida Rolf, Stefania Guerra Lisi) di discipline diverse tra di loro (Healing Tao, Psicologia e Psicoterapia, Bioenergetica, Globalità dei Linguaggi, Integrazione Strutturale) concordano che ogni individuo è un essere fisicoemotivo.
           E’, dunque, nella forma visibile del corpo e del suo agire nello spazio ed in relazione con l’ambiente che  si esprime sia il modo di essere che il modo di agire di ognuno di noi. Quindi, attraverso queste semplici, ma molto interessanti esperienze corporee, ognuno può acquisire una visione di sé e del mondo che può farlo stare meglio, stare ed agire bene.

Sperimentiamolo insieme, Sabato 8 Giugno.

“Ognuno regola la propria condotta secondo l'immagine che si è fatta di sé. Se si desidera cambiare la propria condotta si dovrà dunque cambiare questa immagine”
(M. Feldenkrais)


Il programma di massima
•           Respirazione addominale e respirazione inversa
Dai luoghi dell’energia alla sua comprensione
           Fushime Taiso
Esserci nel punto di svolta; sapersi per raggiungere la stazione eretta
•           Spirale nel bacino, onda shock e spiralizzazione dei tendini
Costruzione della potenza esplosiva
           Economia di sforzo
Trovare le origini nella disposizione interiore verso i fattori di movimento: peso, spazio, tempo, flusso.
           Pensare in termini di movimento
Orientamento del praticante nel suo spazio interiore
•           I tre elementi: Terra, Acqua, Aria
Dai primordi, il Legno e il Fuoco
           Lo I intuitivo
Sapere emotivo tradotto in agire
           Souei Shou
Spingere è da maleducati
•           Deviare e colpire fluendo
Scorrere senza interruzioni verso il bersaglio, verso la meta
•           Forma e forme di Tai Chi Chuan
Ogni forma che è trans-forma




giovedì 23 maggio 2019

Il cuore dello spadaccino





A volte  il mondo sembra schiacciarmi.
Allora riemerge il ragazzo che ho dentro, nel suo impasto di rabbia e violenza, quel “passeggero oscuro” che attinge alle forze più buie dentro, che mi portò sulla strada “sbagliata”, oltre i confini del lecito.
Ci vuole forza e pazienza per farlo rientrare, in un disordine malsano che mi confonde. Anche perché so che, già domani, ho un altro pezzo di vita da affrontare.

E’ una danza affannata che, con gli anni, con la pratica quotidiana, si è fatta più lieve, si è come affondata.
Sarà senz’altro l’età e, con lei, le buone relazioni costruite nel tempo.
Certamente è anche la pratica marziale, autentico Budo per adulti sinceri, che mi fa scavare nella pancia e nel cuore, dell’animale conserva l’istinto ma è dell’uomo adulto che fa l’attore.
Così è per la pratica Kenshindo, la “ Via dello spirito della spada”. Così è anche oggi, Sabato, al seminario che, ogni mese, da il ritmo al nostro tirare d’acciaio.

Ogni scelta marziale è scelta che fa del “Conosci te stesso” la mappa su cui procedere, perché altrimenti, che senso avrebbe dedicare tempo ed energie a lanciare un pugno o un affondo di lama? Ad affannarsi in un groviglio di corpi al suolo o a portare un fendente d’acciaio?
Come semplice divertimento? Come sfogatoio per repressi?
No, grazie. Queste due strade le lascio a chi ha bendati cuore e cervello, a chi non ha il coraggio di un mondo migliore che cominci da sé, dal togliersi maschera e mantello.
Infatti, per come io lo pratico, per come io lo propongo, ogni momento marziale mischia il piacere e l’appassionarsi con il faticare e lo scontrarsi. Per crescere adulti coraggiosi.

Oggi è riandare ai kata a coppie da un passo di distanza, uno di fronte all’altro, occhi negli occhi. Lesti nello sfoderare l’acciaio che si opponga a quello dell’altro, pazienti nell’aspettare che quello ti piombi addosso.
Un intreccio dalle pause dilatate e dai ritmi sincopati in cui vivi e non muori solo se ogni sfida, ogni scontro, lo affronti nudo nel tuo coraggio e nelle tue paure, nudo perché la tua forza sta nel coraggio e la paura averli accettati.

Col tempo che scorre rapido, arriva la pratica Ryo To, le due spade, corta e lunga, Kodachi e Katana.
Ancora siamo ai primi passi, dunque ancora ad armarci di legno che l’acciaio affilato, quello vero, è strumento pericoloso per chi, come il piccolo gruppo di adepti, si impaccia tra estrazione e falciata, difesa ed attacco che impegnino due mani e due armi contemporaneamente.
Però ci divertiamo, che il sorriso non manca mai ad affiancare la passione, a nutrire l’entusiasmo.

Una buona respirazione chiude l’incontro, tra muscoli stanchi e sguardi contenti.
Ognuno netta il suo acciaio e lo ripone accuratamente pulito nella custodia, come un poco più pulito è senz’altro il cuore di ognuno, ognuno di noi che, anche oggi, tirando d’acciaio, esplorando Kenhindo, ha cercato un pezzo di sé, ha costruito la sua microstoria.









giovedì 9 maggio 2019

La nobile arte della persuasione




Amo profondamente i libri di Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, come le sue elaborazioni confluite nella “Terapia Strategica Breve” (1).
In ogni parola, in ogni azione della sua pratica terapeutica, mi è semplice trovare legami con la pratica marziale e non potrebbe essere altrimenti, trattando entrambe di conflitti e soluzioni nei e dei conflitti.

Qui voglio presentare il suo
“La nobile arte della persuasione”
in un modo che evidenzi, citandone alcuni passi, questo nesso.

Un gioco che mi piace fare e che spero invogli chi mi sta leggendo ad approfondire per suo conto il tema trattandolo dal lato che più sente suo: la comunicazione verbale e para verbale, la terapia d’aiuto alla persona, la pratica del confliggere in ogni suo aspetto, ecc.

Personalmente, nella mia duplice veste di counselor e docente di Arti Marziali, voglio evidenziare, e lo farò nelle citazioni a seguire:
-       Gli approcci diversi che, differenziando il “come” praticare Arti Marziali, ne connotano il cuore, la sostanza stessa, imponendo una totale diversità epistemologica (metodi e fondamenti della conoscenza) e di pratica.
-       L’importante funzione terapeutica, di aiuto e crescita, che la pratica delle Arti marziali può svolgere sia negli specifici incontri di counseling che nei corsi veri e propri di Arti Marziali.

Il persuadere
Il percorso di persuasione non si oppone mai alle convinzioni o credenze dell’altro, ma le rispetta e le utilizza in vista di ulteriori prospettive, permettendo di aggirare le resistenze al cambiamento. (pg. 16)
La pratica marziale come io la intendo e propongo qui allo Spirito Ribelle ZNKR si basa proprio su questo assunto.
Ogni scambio di mano a contatto (push hands, chi sao, maki ecc) non contempla l’erigere una barriera invalicabile per l’opponente quanto invece una membrana sensibile in grado di filtrare ciò che si vuole accettare e respingere / deviare ciò che non si vuole accettare.
Di più, si mette in conto che è proprio l’aprirsi al premere, spingere, colpire dell’opponente, fino a permettergli di portare le sue mani a contatto del corpo, a dare l’opportunità di entrare in relazione autentica con esso fino, realmente, a volgerne l’aggressività offensiva a proprio vantaggio.
Nella mia pratica marziale, ovvero di confliggere per avere la supremazia, che dura da oltre quarant’anni, ho incontrato una sola Scuola che operi in questo modo: l’HME del Maestro Adam Mizner.
Tutte le altre Scuole, di qualsia Arte si occupino, praticate di persona o viste in azione, non accettano il  non si oppone mai”, non accettano, come scrissi in altri post, di “perdere per guadagnare”. Queste vivono ogni spinta o attacco come nemico da cui difendersi in un modo o nell’altro, mai permettendo l’ingresso dentro la propria chinesfera (2), dentro l’area occupata dalle proprie braccia, come strategia fondamentale per volgere la situazione di crisi a proprio vantaggio.
Nella pratica più specificatamente di aiuto, in particolare nella prospettiva gestaltica, la Scuola in cui mi sono formato: “individuo e gruppo sociale non sono entità a sé, ma parti di una stessa unità in reciproca interazione, per cui la tensione che può esistere tra di esse non è da ritenersi l’espressione di un insolubile conflitto, ma il necessario movimento all’interno di un campo che tende all’integrazione e alla crescita.
(omissis)
La capacità del terapeuta di creare un contesto in cui il paziente possa sviluppare la propria integrità si attua attraverso una “danza” tra terapeuta e paziente. Non è la tecnica esercitata da una persona esperta su un’altra persona che chiede aiuto, è la co-creazione di un confine di contatto in cui i valori, le personalità, i modi personali di affrontare la vita giocano un ruolo fondamentale. È la danza che il terapeuta, con tutta la sua scienza e la sua umanità, e il paziente, con tutto il suo dolore e la sua volontà di guarire, creano per ricostruire il ground su cui poggia la vita di relazione, il senso di sicurezza nella terra e nell’altro, e quindi il lasciarsi andare nell’intimità.”
(https://www.gestalt.it/definizione-psicoterapia-gestalt-therapy-hcc-italy-psicologia-cosa-e/)

Il convincere
il convincimento (si realizza) mediante uno scambio ‘dialettico’, ovvero la contrapposizione delle tesi (pg. 25)
E’ la pratica diffusa ovunque, ma non da noi, nei giochi / esercizi citati in precedenza,
Le braccia si ergono a strenua difesa, l’atteggiamento emotivo è quello di alzare una barriera che impedisca l’accesso e da cui partire per invadere lo spazio dell’opponente.
L’atteggiamento corporeo non prevede il rilasciamento muscolare (3) ma una tensione continua, un succedersi di contrazioni o, all’opposto, nelle pratiche formali e “di facciata”, un totale rilassamento indice di assenza di desiderio, di slancio vitale.
Strategia e tattiche sono conseguenti a ciò.

Il manipolare
Il criterio alla base della manipolazione consiste nel forzare  la volontà del soggetto, rispetto alle informazioni trasmesse o alle pratiche cui l’individuo viene sottoposto, attraverso metodi che lo “costringono” a cambiare. (pg. 24)
Qui si gioca una profonda differenza negli esercizi e giochi succitati, in cui il praticante non solo rifiuta ogni relazione di contatto ma, per esempio portando le proprie braccia estese, tende ad escludere ogni scambio.
Ma la differenza investe anche e soprattutto il modo di insegnare / imparare.
Ne ho già scritto più volte, qui mi limito a sottolineare la differenza che è divergenza totale tra un metodo direttivo che “ forza(re) la volontà del soggetto” per piegarlo ad essere un vaso vuoto da colmare con il sapere prestabilito, un passivo imitatore e copiatore di uno stile, un fare, codificato e preconfezionato e, invece, un investimento sulle potenzialità del praticane, sulle sue risorse inconsce che “stimola nell’interlocutore sia la parte cognitiva che quella emotiva” (omissis) “attiva contemporaneamente l’emisfero destro e sinistro del cervello, inducendo risposte contemporanee del telencefalo, la mente ‘moderna’ e del paleoencefalo, la mente ‘antica’” (pg. 17).

Uno sguardo a Oriente
“Per gli occidentali il nesso causa – effetto ha guidato per secoli l’osservazione e la spiegazione della realtà, mente per gli orientali causa ed effetto sono legati da una relazione circolare, come ben espresso dal simbolo del Tao: non esiste nulla che sia diretto a uno scopo senza che questo scopo si ritorca poi su ciò che lo ha prodotto.
Questa concezione filosofica non coincide con la ‘causalità circolare’ (Wiener, Ashby, Von Bartalanffy), ma è una visione che permea totalmente il senso orientale della vita. Come evidenzia ancora una volta Francois Jullien, non esiste una visione eroica del lottare contro le avversità sino a superarle, ma solo un piegarsi alla naturalità delle cose.” (pg. 28)
Qui sono io a smarrirmi.
Se mi ritrovo perfettamente nel motto “Wu wei” inteso come non eccedere, non tirare troppo la corda, mi riesce difficile leggere qualsivoglia pratica marziale, per esempio il Tai Chi Chuan che si rifà al taoismo, come rinuncia alla lotta. Mi pare un controsenso.
Non mi resta che, nel mio praticare e proporre le Arti Marziali, abbracciare un ecumenico incontro tra taoismo e la causalità circolare citata sopra!!

La comunicazione performativa
“il linguaggio indicativo, rappresentato da tutte le forme di comunicazione che prevedono un passaggio di informazioni e forniscono spiegazioni sugli oggetti osservati. In questa modalità comunicativa il focus è l’istruzione relativa alla materia in esame.
ìl linguaggio performativo, rappresentato dalle forme di comunicazione che evocano o inducono sensazioni che a loro volta producono effetti i quali vanno al di là del loro valore semantico. Questi tipologia di linguaggio fa sentire, oltre che capire: il focus è l’effetto pragmatico, ovvero l’influenzamento nella direzione proposta da chi comanda.” (pgg. 39 – 40)

Ecco il primo, e diffuso ovunque, metodo che ordina e dispone: “la maggior parte delle pratiche didattiche si fonda sull’assunto che lo studente è fondamentalmente un ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si origina lo stimolo è importantissimo, e che lo studente non ha altra scelta se non vedere e capire lo stimolo così come esso “è”. (N. Postman. L’insegnamento come attività  sovversiva)
Il secondo, invece, che nelle Arti Marziali è proprio della nostra Scuola e MAI ho incontrato in altre:
-       L’atteggiamento dell’insegnante che adotta il metodo dell’inchiesta, si riflette sul suo comportamento. Quando lo vedete in azione, osservate che:
E’ raro che l’insegnante dica agli studenti che cosa pensa che essi debbano sapere. (…)
Egli si rivolge agli studenti soprattutto mediante domande. (…)
In generale, non accetta una sola affermazione come risposta a una domanda.
Le sue lezioni prendono forma sulla base delle risposte degli studenti e non di una struttura “logica” preordinata”. (ibidem)

-       “Al nostro insegnante che adotta il metodo dell’inchiesta, o “induttivo”, importa anzitutto di aiutare i propri studenti a diventare più abili nell’uso di tali metodi.
Egli misura il successo riportato sulla base del cambiamento intervenuto nel comportamento dei suoi studenti”. (ibidem)

-       “Lo studente deve essere il centro di ogni programma da svolgere. (…) i nostri programmi devono cominciare con quello che egli sente, con quello che di cui si occupa, che teme, per cui si commuove” (ibidem)

Il libro prosegue esplorando la comunicazione scritta e la possibilità d’uso della persuasione in diversi ambiti professionali.

Io mi fermo qui, confidando di avere suscitato in te lettore di questo blog la curiosità tale per aprire il libro di Nardone e, leggendolo, utilizzare ed adattare le sue intuizioni ai campi che a te sono più consoni.
Buona lettura!!




1. Il costrutto operativo centrale è quello di “tentata soluzione che alimenta il problema” formulato dal gruppo di ricercatori del MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto (1974), evolutosi in seguito in quello di sistema percettivo-reattivo da Giorgio Nardone e che identifica tutto ciò che è messo in atto dalla persona e/o dal sistema intorno alla persona per gestire una difficoltà e che, reiterato nel tempo, mantiene e alimenta la difficoltà conducendo alla strutturazione di un vero e proprio disturbo.
Tuttavia la tradizione pragmatica e la filosofia degli stratagemmi come chiave del problem solving strategico vantano una storia più antica. Strategie che sembrano moderne possono essere rintracciate, ad esempio, nell’arte persuasoria dei sofisti, nelle antiche pratiche del buddhismo zen e nell’arte cinese degli stratagemmi, così come nell’antica arte greca della métis. (https://www.centroditerapiastrategica.com/listituto/il-modello-di-psicoterapia-breve-strategica/)

2. Per chinesfera o spazio personale, secondo la definizione di Rudolf Laban, danzatore e coreografo, a cui si deve un radicale mutamento nelle concezioni e pratiche del movimento, si intende l’area  immediatamente attorno al nostro corpo che ha come centro l’ombelico, in cui si sperimentano lo spazio raggiungibile, ovvero le possibilità di allungamento degli arti senza muoversi dal posto in cui si è (spazio della sfera nel contorno);

3. In cinese, il termine indicato è “song”, che non è rilassato quanto “denso”. E’ il risultato di una corretta formazione fisicoemotiva che investa scheletro, tessuto connettivo, tendini, muscoli e organi interni coinvolgendo, in sintonia, gli aspetti emotivi e la stessa cosmogonia taoista, in particolare i cinque elementi.
Nel campo marziale, in questa direzione, ben si distingue la Scuola Tao Garden del Maestro Mantak Chia, mente, più in generale nel campo corporeo, una notevole impulso è dato dall’Anatomia Esperienziale di Jader Tolja.








domenica 5 maggio 2019

Chi è nato prima? Chi è l’originale?





Tu che da un po’ di anni pratichi e, dunque, bazzichi nell’ambiente delle Arti Marziali, del Tai Chi Chuan (Taiji Quan) che ne pensi delle origini di quest’Arte? Che idea ti sei fatto della sua storia? Come hai scelto e scegli il tuo Maestro e la Scuola di appartenenza a cui dedichi le tue energie, il tuo tempo, il tuo denaro?

La tradizione, generalmente condivisa e, dunque, probabilmente anche da te, fa risalire la nascita di quest’arte a Cheng San Feng, personaggio leggendario che sarebbe vissuto nel tredicesimo secolo, e successivamente ad altri maestri di maggiore veridicità storica.

Accantoniamo, per ora, la  figura di Cheng San Feng, mitico personaggio del taoismo che ha sicuramente partecipato allo sviluppo di esercizi corporei,  ma tutti noi, anche tu, sappiamo il termine Taiji Quan si riferisce storicamente a un tipo di arte marziale ben definito.

Lo facciamo e, per primo, abbracciamo il pensiero del Maestro Benjamin Pang Lo (1927 – 2018).
Questi, meglio conosciuto in Occidente come “Ben Lo”, più volte sostenne la tesi che il Taiji Quan non sia stato autonomamente sviluppato dalla famiglia Chen, come questa famiglia  ha a lungo sostenuto (tesi, la sua, riportata anche recentemente nella NL della Associazione Italiana Cheng Man Ch’in e ribadita da anni da ricerche sulle origini di quest’arte) e che nel suo ambito si sia attinto da uno stile di arti esterne da essa praticato sulla base dei principi di un’arte marziale taoista (chiamata Taiji Quan soltanto nel ventesimo secolo).
Secondo il Maestro Ben Lo, studente del gran Maestro Cheng Man Ch’in (1901 – 1975, questi fu allievo del Maestro di Tai Chi Chuan Yang Cheng Fu, caposcuola della Famiglia Yang) e pare suo primo allievo a Taiwan, lo stile Chen non è a tutti gli effetti uno stile di Taiji Quan, poiché non ne applica rigorosamente i principi e non condivide i “testi classici” adottati dalle famiglie Yang e Wu.

Poi, però, leggiamo “Tuttocina” e annotiamo che a cavallo dell’ultimo periodo della dinastia Ming e l’inizio della dinastia Qing, nel 17° secolo, cominciarono a svilupparsi in modo sistematico, in quanto necessità delle truppe imperiali, tutte le tradizioni delle tecniche di combattimento. Tra queste, vi erano soprattutto quelle dette "stile interno" (Nei Jia), nel senso che le forze e le caratteristiche di una tecnica venivano "interiorizzate" o sviluppate internamente al punto tale da sembrare poco efficaci esternamente.
Tra i personaggi di quell’epoca che contribuirono a questa costruzione, ci furono:
- Chen Wangting, un generale dell’impero Ming. Questi, a partire dal lavoro di sistemazione delle arti marziali dei suoi predecessori e aggiungendovi poi anche i concetti della medicina tradizionale cinese, creò una serie di tecniche denominate Taiji Quan. Pare fosse fortissimo nei combattimenti, e questa tecnica, oggi è chiamata Taiji Quan stile Chen.
Secondo questa fonte, Lo si può considerare il capostipite di tutti gli stili di Taiji Quan. Deluso degli ultimi anni della dinastia Ming, Chen alla fine insegnò solo ai membri della sua famiglia, per cui questa scuola rimase nascosta per lungo tempo.
- Yang Luchan (1797-1872), allievo di Chen, rese ancora più morbidi e rotondi i movimenti di Chen. Era così bravo e famoso che il suo modo di combattere veniva chiamato "Taiji Quan stile Yang".

Senza dimenticare, nel calderone, Sun Lutang (1861-1932) creatore dello stile Sun e Wu Jianquan (1870-1941) creatore  dello stile Wu, e le innumerevoli varianti e modifiche che tutti gli stili, pur mantenendo il nome d’origine, in oltre due secoli di vita hanno visto ad opera di Maestri di ogni continente.


Da quanto riportato sopra e da quanto ogni Maestro ed ogni Scuola ci tiene a ricordare, ci viene rimandata la storia di guerrieri e soldati che combattevano usando il Taiji Quan, che proteggevano la propria vita togliendola ad altri con le movenze e le tecniche del Taiji Quan.
Lato affascinante e per niente trascurabile di quest’Arte, tanto lenta e dolce quanto capace di farti stare in buona salute in ambedue i sensi: Ti aiuta a stare bene fisicoemotivamente e resti tale anche se un disgraziato ti mette le mani addosso perché sai neutralizzarlo.
Immagino questo duplice aspetto sia presente nel tuo praticare. Giusto?

 
Tornando a noi e alla storia e alle origini del Taiji Quan, da qualsiasi angolazione la si veda, a me pare che le autentiche origini dell’Arte restino incerte, come combattute siano ancora le dispute, mai tramontate, tra quale sia lo stile originario e, appunto, se uno sia meglio dell’altro.
Per non parlare delle modifiche introdotte nei secoli, vuoi perché lo stesso Maestro, procedendo nell’età, insegnava cose differenti e in modi differenti, vuoi perché l’allievo, divenuto a sua volta Maestro, introduceva altri cambiamenti, altre modifiche, dettate dalla sua diversa costituzione fisicopsichica, dal diverso luogo / nazione in cui insegnava e dal suo stesso invecchiare … e questa sequenza, questo continuo cambiare, consapevole o meno, voluto o meno, si protrae sin dagli albori del Taiji Quan.

Personalmente, da buon eretico e “pratico”, non mi importa alcunché delle autentiche, o presunte tali, origini e trovo alquanto infantili le dispute su “Il mio Taiji Quan è più originale del tuo
(vedi “Di una bella, dei suoi cortigiani e dei suoi possenti amanti 27 Giugno 2013 in

Quel che mi interessa, in linea con l’essenza stessa del Taiji Quan,
è che la pratica mi faccia star bene (1),
contribuisca a costruire un sé fisicoemotivo efficace ed efficiente
e lo faccia servendosi dei principi che, di fatto, sono comuni ad ogni buon Taiji Quan. (2)

Come scrissi più volte e citando Vincenzo Bellia, psichiatra e psicoterapeuta: “Nessun modello, a mio parere, ha validità descrittiva generale e metacontestuale. Ogni modello è culturalmente determinato: ha senso all’interno delle condizioni (antropologiche, culturali, sociologiche, ecc.) in cui è nato, in riferimento ai bisogni ed alle aspettative della comunità scientifica che lo ha formulato”.
Dunque, ad un praticante Taiji Quan italiano del terzo millennio, serve un Taiji Quan ritagliato su misura per lui, che, mi pare incontrovertibile, non lavora nei campi, si muove poco a piedi e molto di più con mezzi motori privati o pubblici, si ciba di una cucina mediterranea o internazionale, si nutre di una cultura ben distante dai dettami di quella cinese passata e pure contemporanea, non professa alcun credo taoista o confuciano o moista, quotidianamente si siede su una sedia o su un divano invece che stare accoccolato per terra, cammina su strade asfaltate, ecc.

Insomma, non è inserito in una società ottocentesca e nemmeno novecentesca, tantomeno cinese, e questo risulta ben evidente nella sua intera persona: struttura fisica, portamento, pensieri ed azioni.

Semplice, no?
E tu, che ne dici? Mi interessa il tuo parere.

1. “La salute non è solamente l’assenza di malattia o di infermità ma un completo stato di benessere fisico psichico e sociale”. (definizione data da OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità). Ovvero stai bene, sei di buon umore, sorridi, ti relazioni in modo adulto e pacato con gli altri, sai scegliere cosa fare, come farlo e con chi, sai fare dei conflitti, delle difficoltà, un’occasione di crescita ulteriore: “La sofferenza ha una dimensione relazionale (si esprime solo nel confine contatto con il mondo esterno ed interno), ha una valenza contestuale e temporale (si esprime nel qui ed ora), nasce da interruzioni nel flusso del processo di adattamento ininterrotto che caratterizza l’interazione tra l'individuo e l’ambiente” (Raffaele Sperandeo: Il Modello Della Gestalt Integrata)

2. Giusto per limitarmi a questi miei ultimi anni di pratica, ho trovato, seppur espressi in modo diverso e proposti con esercizi diversi, gli stessi “principi” nell’insegnamento del Maestro Xia Chaozhen (assoc. Nin Hao), laureato in Medicina Tradizionale Cinese, che  insegna Taiji Quan stile Yang, Sun, Wu e Chen;  nell’insegnamento di Angela Chirico, Istruttrice Certificata Universal Tao, la Scuola del Maestro Mantak Chia; nell’insegnamento di Alexandar Glavan, istruttore della HME, la Scuola del Maestro Adam Mizner.